Il magistero

 Il magistero  QUO-015
19 gennaio 2023

Venerdì 13

Spiritualità dell’incontro

La Confederazione è stata istituita nel 1959 da san Giovanni xxiii ... per favorire la comunione tra Congregazioni che condividono lo stesso carisma.

Gli obiettivi sono di unire i rami del vostro Ordine in un vincolo di carità, valorizzare il significato evangelico del carisma e aiutarvi vicendevolmente, per quanto riguarda la dimensione spirituale, la formazione dei giovani, la formazione permanente e la promozione della cultura.

Anche se ogni Congregazione gode della propria autonomia, ciò non impedisce un coordinamento che eviti l’indipendenza e l’isolamento.

Attenzione alla malattia dell’autoreferenzialità e a custodire la comunione. Praticare la spiritualità dell’incontro è essenziale per vivere la sinodalità.

Come ogni altra forma di vita consacrata, anche la vostra deve adattarsi alle circostanze del tempo, dei luoghi e delle culture, alla luce del Vangelo e del proprio carisma.

La vita consacrata è come l’acqua, se non scorre, marcisce; come il sale che perde sapore, diventa inutile.

La memoria buona è feconda, è la memoria “deuteronomica” delle origini.

Non dobbiamo accontentarci di una memoria archeologica, perché trasforma in pezzi da museo, degni di ammirazione ma non di imitazione; invece la memoria deuteronomica aiuta a vivere senza paura.

Anche voi — come scrisse san Giovanni Paolo ii — «avete una gloriosa storia da raccontare», ma soprattutto «una grande storia da costruire! Guardate al futuro».

Regola fondamentale è la sequela di Cristo proposta dal Vangelo.

Sia il vostro vademecum, in modo che, stando lontani dalla tentazione di ridurlo a ideologia, esso rimanga spirito e vita.

Il Vangelo riporta continuamente a porre Cristo al centro della vita e della missione... al “primo amore”.

Amare Cristo significa amare la Chiesa, suo corpo.

La vita consacrata nasce nella Chiesa, cresce con la Chiesa e fruttifica come Chiesa. È nella Chiesa, insegna sant’Agostino, che scopriamo il Cristo totale.

La vostra occupazione principale è la costante e quotidiana ricerca del Signore.

Cercarlo nella vita comunitaria, riflesso dell’essere di Dio e della sua consegna e testimonianza che «Dio è amore».

Tessitori
di fraternità

La koinonia vi faccia sentire costruttori, tessitori di fraternità.

Cercare il Signore nella Scrittura, nelle cui pagine risuonano Cristo e la Chiesa; nella liturgia, nell’Eucaristia, che realizza l’unità nell’armonia della carità.

Cercarlo nello studio, nella pastorale ordinaria... nelle realtà del nostro tempo, sapendo che nulla di ciò che è umano può esserci estraneo e che, liberi da ogni mondanità, possiamo animare il mondo con il lievito del Regno di Dio.

Sono le diverse vie di un’unica ricerca, che presuppone il cammino dell’interiorità, della conoscenza e dell’amore del Signore, alla scuola di Agostino.

(Alla Confederazione dei canonici regolari
di sant’Agostino)

Sabato 14

Una Chiesa
che sa uscire

Ricordo la mia visita nel maggio 2015 e la Messa nella Cappella.

Il vostro soggiorno a Roma coincide con il cammino sinodale che la Chiesa sta intraprendendo.

Un cammino che implica l’ascolto dello Spirito e vicendevole, per discernere come aiutare il popolo santo di Dio a vivere il dono di comunione.

Questa è la sfida che siete chiamati a raccogliere mentre percorrete la strada che conduce all’ordinazione sacerdotale e al servizio pastorale.

Tre elementi ritengo essenziali: il dialogo, la comunione e la missione. Possiamo vederli nel Vangelo che racconta di Andrea e di un altro discepolo di Giovanni Battista che incontrano Gesù, restano con Lui per un certo tempo e poi conducono altri, in particolare Simon Pietro.

Dialogo

Quando Gesù si accorse che i discepoli lo seguivano, chiese cosa stessero cercando. Quando lo interrogarono sul luogo in cui alloggiava, invitò: “Venite e vedrete”.

Il Signore entra in un dialogo personale con voi, chiedendo “che cosa cercate” e invitando a “venire e vedere”, a parlare con Lui e a donarvi con fiducia.

Coltivare una relazione quotidiana, alimentata dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio, dall’aiuto dell’accompagnamento spirituale e dall’ascolto silenzioso davanti al Tabernacolo.

In questi momenti di relazione familiare con il Signore possiamo meglio ascoltare la sua voce e scoprire come servire Lui e il suo popolo con generosità.

Comunione

Rimanendo con Gesù, i discepoli cominciarono a imparare, dalle sue parole, dai suoi gesti e dal suo sguardo, ciò che contava e ciò che il Padre lo aveva mandato ad annunciare.

In modo simile, il cammino di formazione sacerdotale richiede una costante comunione: con Dio e con coloro che sono uniti nel corpo di Cristo, la Chiesa.

Durante i vostri anni a Roma, tenete gli occhi aperti sia sul mistero dell’unità della Chiesa, manifestata nella legittima diversità ma vissuta nell’unicità della fede, sia sulla testimonianza profetica della carità che la Chiesa, in particolare qui a Roma, esprime attraverso atti concreti di condivisione e di assistenza ai bisognosi.

Queste esperienze vi aiutino a sviluppare quell’amore fraterno capace di vedere la grandezza sacra del prossimo, di trovare in Dio ogni essere umano, di sopportare le molestie della vita in comune.

Missione

Dopo essere rimasto con Gesù, Andrea andò a cercare suo fratello Simone e lo portò da Lui.

Qui vediamo come la testimonianza, nata dal dialogo e dalla comunione con Cristo, diventa missione: i discepoli chiamati, vanno a attirare altri con la testimonianza.

Ogni volta che Gesù chiama uomini e donne, lo fa per inviarli dai più vulnerabili e da coloro che sono ai margini della società, che siamo chiamati a servire, dai quali possiamo anche imparare molto.

Le persone hanno bisogno di noi perché ascoltiamo i loro interrogativi, le loro ansie e i loro sogni, in modo da poterle accompagnare meglio al Signore.

Mentre svolgete le opere di misericordia spirituali e corporali attraverso i vari apostolati educativi e caritativi, siate sempre segni di una Chiesa che sa uscire e andare incontro, condividendo la presenza, la compassione e l’amore di Gesù.

(Al Pontificio collegio Americano del nord)

Domenica 15

Libertà dagli
attaccamenti

Il Vangelo (Gv 1, 29-34) riporta la testimonianza di Giovanni il Battista su Gesù: «Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me».

Questa dichiarazione rivela lo spirito di servizio di Giovanni... inviato a preparare la strada al Messia senza risparmiarsi.

Umanamente si potrebbe pensare che gli venga riconosciuto un “premio”, un posto di rilievo. Invece no.

Giovanni, compiuta la sua missione, si ritira dalla scena per fare posto a Gesù.

Si mette a sua volta in umile ascolto. Da profeta diventa discepolo.

Non lega nessuno a sé. Questo è difficile ma è il segno del vero educatore.

Giovanni mette i suoi discepoli sulle orme di Gesù. Non è interessato ad avere un seguito, prestigio e successo, ma dà testimonianza e poi fa un passo indietro.

Possiamo dire: apre la porta e se ne va. Con questo spirito di servizio, con la capacità di fare posto a Gesù, insegna la libertà dagli attaccamenti.

È facile attaccarsi a ruoli e posizioni, al bisogno di essere stimati e premiati.

E questo, pur essendo naturale, non è una cosa buona, perché il servizio comporta la gratuità, il prendersi cura degli altri senza vantaggi.

Farà bene anche a noi coltivare la virtù di farci da parte al momento opportuno.

Imparare a congedarsi... a non prendere qualcosa come un contraccambio per noi.

Pensiamo a quanto è importante questo per un sacerdote, chiamato a predicare e celebrare non per protagonismo o interesse, ma per accompagnare gli altri a Gesù.

Pensiamo a quant’è importante per i genitori, che crescono i figli ma poi li devono lasciare liberi di prendere la loro strada nel lavoro, nel matrimonio, nella vita.

E lo stesso vale per altri ambiti, come l’amicizia, la vita di coppia o comunitaria.

Liberarsi dagli attaccamenti del proprio io e saper farsi da parte costa, ma è il passo decisivo per crescere.

Siamo capaci di far posto agli altri? Di ascoltarli, di lasciarli liberi, di non legarli a noi? Anche di lasciarli parlare, a volte?

Attiriamo gli altri a Gesù o a noi stessi? Sappiamo gioire del fatto che prendano la loro strada e seguano la loro chiamata? Ci rallegriamo per i loro traguardi, con sincerità e senza invidia?

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 16

La salute non
è un lusso

I professionisti sanitari, negli ultimi tre anni, hanno vissuto l’esperienza difficilmente immaginabile della pandemia.

Senza il vostro impegno e le vostre fatiche molti non sarebbero stati curati.

Il senso del dovere animato dall’amore vi ha permesso di prestare la vostra opera, anche mettendo a rischio la salute.

L’11 febbraio ricorrerà la Giornata Mondiale del Malato, che invita a una riflessione sull’esperienza della malattia.

Ciò è oggi tanto più opportuno, perché la cultura dell’efficienza e dello scarto spinge a negarla.

In modo opposto agisce la cultura della cura, impersonata dal buon Samaritano.

Egli non gira lo sguardo, si avvicina al ferito con compassione e si prende cura.

La vostra professione nasce da una scelta: “rialzare e riabilitare” i vostri assistiti.

Al centro dev’esserci sempre la persona, in tutte le sue componenti: una totalità in cui si armonizzano le dimensioni biologiche e spirituali, culturali e relazionali, progettuali e ambientali dell’essere umano.

Questo principio, alla base della vostra Costituzione etica, permette di non cedere a sterili efficientismi o a un’applicazione fredda dei protocolli. I malati sono persone e è importante relazionarsi a loro con umanità ed empatia.

Anche avete bisogno di qualcuno che si prenda cura di voi, attraverso il riconoscimento del vostro servizio, la tutela di condizioni adeguate di lavoro e il coinvolgimento di un numero appropriato, affinché il diritto alla salute venga riconosciuto a tutti.

Spetta ad ogni Paese adoperarsi per ricercare strategie e risorse perché a ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute.

La salute non è un lusso! Un mondo che scarta gli ammalati, che non assiste chi non può permettersi le cure, è un mondo cinico e non ha futuro.

Ricordiamo: la salute è per tutti.

I valori se uniti al sapere scientifico e alle competenze, permettono di accompagnare nel migliore dei modi le persone.

(Ai rappresentanti italiani delle professioni sanitarie tecniche di radiologia, riabilitazione
e prevenzione)

Mercoledì 18

Un cuore
pastorale
vicino a tutti

Mercoledì scorso abbiamo avviato un ciclo di catechesi sulla passione di evangelizzare, cioè sullo zelo apostolico che deve animare la Chiesa e ogni cristiano. Oggi guardiamo al modello insuperabile dell’annuncio: Gesù.

Il Vangelo del giorno di Natale lo definiva “Verbo di Dio”. Il fatto che sia la Parola indica un aspetto essenziale: Egli è sempre in relazione, in uscita, mai isolato.

La parola, infatti, esiste per essere trasmessa, comunicata.

Così è Gesù, Parola eterna del Padre protesa a noi, comunicata a noi.

Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una Parola, un messaggio.

Se guardiamo alle sue giornate, descritte nei Vangeli, vediamo che al primo posto c’è l’intimità con il Padre, la preghiera.

Tutte le decisioni e le scelte più importanti le prende dopo aver pregato.

In questa relazione che lo lega al Padre nello Spirito, Gesù scopre il senso del suo essere uomo, della sua esistenza nel mondo perché Lui è in missione per noi.

È interessante il primo gesto pubblico che compie dopo la vita nascosta a Nazaret. Non un grande prodigio, non un messaggio ad effetto, ma si mischia con la gente [per] farsi battezzare da Giovanni.

Così offre la chiave del suo agire: spendersi per i peccatori, facendosi solidale senza distanze, nella condivisione totale.

Parlando della sua missione, dirà di non essere venuto «per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita».

Ogni giorno, dopo la preghiera, Gesù dedica tutta la giornata all’annuncio del Regno di Dio e la dedica alle persone, soprattutto ai più poveri e deboli, ai peccatori e agli ammalati.

Gesù è in contatto con il Padre nella preghiera e poi è in contatto con tutta la gente per la missione, per la catechesi, per insegnare la strada del Regno di Dio.

Se vogliamo rappresentare con un’immagine il suo stile di vita, non abbiamo difficoltà a trovarla: Gesù stesso ce la offre, parlando di sé come del buon Pastore.

Fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva tempo e impegno; era un vero e proprio modo di vivere: ventiquattrore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, prendendosi cura di quelle più deboli.

Gesù, in altre parole, non fa qualcosa per noi, ma dà tutto, dà la vita per noi.

Il suo è un cuore pastorale. Fa il pastore con tutti noi.

Per riassumere l’azione della Chiesa si usa spesso il termine “pastorale”. E per valutare la nostra pastorale, dobbiamo confrontarci con il modello, con Gesù buon Pastore.

Lo imitiamo abbeverandoci alle fonti della preghiera, perché il nostro cuore sia in sintonia con il suo?

L’intimità con Lui è, come suggeriva il bel volume dell’abate Chautard, «l’anima di ogni apostolato».

Se si sta con Gesù si scopre che il suo cuore pastorale palpita sempre per chi è smarrito, perduto, lontano.

Per allenare
lo zelo
apostolico

E il nostro? Quante volte il nostro atteggiamento con gente che è un po’ difficile si esprime con queste parole: “è un problema suo, si arrangi”.

Ma Gesù mai ha detto questo, è andato sempre incontro a tutti.

Era accusato di stare con i peccatori, perché portava loro la salvezza.

Se vogliamo allenare lo zelo apostolico, è da avere sempre sotto gli occhi la parabola della pecora smarrita, contenuta nel capitolo 15 del Vangelo di Luca.

Lì scopriamo che Dio non sta a contemplare il recinto delle sue pecore.

Piuttosto, se una esce e si perde, non la abbandona, ma la cerca.

Non dice: “Se n’è andata, colpa sua”. Il cuore pastorale reagisce: soffre, rischia.

Dio soffre per chi se ne va e, mentre lo piange, lo ama ancora di più.

Il Signore soffre per quanti non conoscono la bellezza del suo amore e il calore del suo abbraccio.

Ma, in risposta a questa sofferenza, non si chiude, rischia: lascia le novantanove pecore che sono al sicuro e si avventura per l’unica dispersa, facendo qualcosa di azzardato e pure di irrazionale, ma consono al suo cuore pastorale, che ha nostalgia di chi se n’è andato.

Quando sentiamo che qualcuno ha lasciato la Chiesa cosa ci viene da dire? “Che si arrangi”.

No, Gesù ci insegna la nostalgia di coloro che se ne sono andati. Non ha rabbia o risentimento.

E noi abbiamo sentimenti simili? Magari vediamo come avversari o nemici quelli che hanno lasciato il gregge.

Incontrandoli a scuola, al lavoro, nelle vie, perché non pensare invece che abbiamo una bella occasione di testimoniare loro la gioia di un Padre che li ama e che non li ha mai dimenticati?

Una parola
buona

C’è una parola buona per quelli che hanno lasciato il gregge e a portarla abbiamo l’onore e l’onere di essere noi a dire quella parola.

Perché la Parola, Gesù, ci chiede questo, di avvicinarsi sempre, con il cuore aperto, a tutti, perché Lui è così.

Magari seguiamo e amiamo Gesù da tanto tempo e non ci siamo mai chiesti se ne condividiamo i sentimenti, se soffriamo e rischiamo in sintonia con il cuore di Gesù, con questo cuore pastorale!

Chiediamo nella preghiera la grazia di un cuore pastorale, aperto, che si pone vicino a tutti, per portare il messaggio del Signore e anche sentire per ognuno la nostalgia di Cristo.

Amore
che rischia

Perché la nostra vita senza questo amore che soffre e rischia non va.

I pastori che sono pastori di se stessi, invece di essere pastori del gregge, sono pettinatori di pecore “squisite” [migliori]. Non bisogna essere pastori di se stessi, ma di tutti.

Preghiere
per il viaggio
in Africa

Saluto il gruppo di fedeli proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, Paese che andrò a visitare alla fine di questo mese e che raccomando alle vostre preghiere!

Ricordo
del prete
ucciso
in Nigeria

Chiedo di pregare con me per padre Isaac Achi, della diocesi di Minna, nel nord della Nigeria, ucciso domenica scorsa nella casa parrocchiale. Quanti cristiani soffrono sulla propria pelle la violenza: preghiamo per loro!

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )