Umiltà e determinazione nella vita e nella missione di Joseph Ratzinger

Alla continua ricerca
della verità

 Alla continua ricerca della verità  QUO-013
17 gennaio 2023

In un villaggio nella Danimarca c’era un circo. Avvenne che una notte, il circo prese fuoco. Il proprietario del circo incaricò uno dei clown di recarsi al villaggio e dare agli abitanti la notizia dell’incendio e pregarli di venire in soccorso ai lavoratori del circo che stavano cercando di spegnere il fuoco. Però il clownsubito si accorse che malgrado le sue grida nessuno gli prestava ascolto. Non perché la gente non lo sentisse, ma perché vedendo che colui che gridava era un clown, lo trattarono come tale. Pensavano si trattasse di una sorta di pubblicità per invogliare le persone a visitare il circo. La gente non gli credette e lo ignorò. Il clown non fu compreso.

Questo racconto si trova in uno degli scritti del filosofo danese Kierkegaard. Però è anche il racconto con il quale Joseph Ratzinger apre quello che è uno dei suoi libri più belli, Introduzione al cristianesimo. Ratzinger, in continuità con Kierkegaard, ritiene che la persona credente, o persino la Chiesa, somiglino un po’ al clown del racconto. Essi gridano ma nessuno presta attenzione. L’uomo credente odierno è l’uomo che è costantemente incompreso.

Nella storia del clown e nel fatto che lo stesso Ratzinger nel 1968, allora giovane teologo, abbia scelto di iniziare il suo libro con questo racconto, intravedo una suggestione: la storia del clown e la storia personale di Joseph Ratzinger hanno delle affinità. Anche se Ratzinger non lo disse mai in modo esplicito, io intravedo un’identificazione o almeno una somiglianza, appunto, tra la storia del clown e la storia personale del Papa teologo bavarese.

Simile al clown, anche Joseph Ratzinger aveva un messaggio importante da trasmettere. Non si trattava della distruzione del circo ma della distruzione metaforica che la dominazione del relativismo stava apportando nella cultura europea. Ahimè, come successe al clown, così Ratzinger rimase spesso una voce incompresa. E questa è stata una costante nella sua vita, nella teologia e nel papato di Joseph Ratzinger.

Joseph e la famiglia Ratzinger non furono compresi quando, nel contesto nazista della Germania, espressero una resistenza passiva.

Joseph Ratzinger non fu compreso come teologo, quando nel periodo del post-concilio Vaticano ii, si domandò se certe riforme proposte da alcuni suoi amici fossero veramente per il bene della Chiesa. Per questo motivo, pagò un caro prezzo. Non solo dovette lasciare la cattedra prestigiosa che aveva presso l’università di Tübingen, ma dovette sacrificare la sua amicizia con diversi compagni teologi.

Ratzinger non fu compreso nel periodo in cui visse a Roma come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, dove aveva la reputazione di essere una persona rigida e inflessibile – “Panzerkardinal”.

Ratzinger non fu compreso neppure come Papa. A mo’ di esempio accenno qui al discorso che egli tenne nell’università di Ratisbona e la sua insistenza sulla contiguità tra ragione e fede.

Ratzinger non fu compreso neanche quando si dimise. La sua figura e la sua memoria sono talvolta utilizzate e politicizzate per creare un antagonismo tra Papa Benedetto e Papa Francesco.

Questi pochi esempi mostrano chiaramente quanto l’incomprensione sia stata un fattore costante nella vita e nella missione di quest’uomo. La storia del clown e la storia di Joseph Ratzinger sono parallele e simili in tanti punti. Questo non significa, da un lato, che Ratzinger non fosse consapevole che la sua storia era come quella del clown di Kierkegaard, e neppure, dall’altro lato, che desiderasse assomigliare al clown incompreso da tutti.

Dinanzi a sé, Ratzinger ha avuto una duplice scelta: permanere nella ricerca della verità e della sola verità — e per lui la verità non era altro che lo stesso Gesù — con il rischio che questo apporta, di non essere compreso dal mondo contemporaneo; o, invece, per cessare di essere visto come un clown, scendere a compromessi con la verità, cessare di cercare ciò che è giusto, buono e vero. Per Ratzinger la risposta è stata ovvia. Non è stato mai disposto a scendere a compromessi con la verità, a cessare di cercare la verità, costi quel che costi. Certamente Ratzinger non avrebbe voluto essere il clown, ma talvolta essere il clown è il prezzo da pagare se si vuole vivere secondo la verità.

Ratzinger è stato un uomo che ha cercato la verità sopra ogni cosa, però è stato anche l’uomo umile che non pretese mai di sapere tutto, di aver trovato l’intera verità. Infatti, la sua vita è tutta una continua ricerca della verità, un desiderio continuo di entrare nel mistero di Dio. E quando non comprese Dio, non ebbe paura di domandare, come fece quando visitò il campo di concentramento di Auschwitz: «Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?» (Discorso ad Auschwitz-Birkenau, 28 maggio 2006). La ricerca di Ratzinger per la verità non era mai priva di quell’umiltà dinanzi al mistero sempre più grande di Dio.

Infine, per Ratzinger, malgrado fosse un teologo brillante, la verità che cercava non era mai una verità astratta. Pascal distingueva tra il Dio dei filosofi e il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Lo stesso fece Ratzinger. Non ricercava concetti filosofici, ma il Dio di Gesù Cristo. Era l’amore per questo Dio, il suo incontro con Gesù, che guidò tutta la sua vita. Infatti, come soleva dire: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1). Questa Persona è Gesù Cristo.

Abbiamo celebrato da poco l’Epifania. I magi lasciarono tutto per andare alla ricerca del bambino. T. S. Eliot, nella sua poesia The Journey of the Magi, dice «this was all folly» – “tutto questo era follia”. È follia lasciare tutto per andare alla ricerca di un bambino. La follia dei magi somiglia alla follia di Ratzinger. La ricerca di Gesù Cristo, la verità incarnata, l’astro brillante della sua vita, lo spinse a fare cose sbalorditive, apparentemente folli, e per esse dovette pagare un caro prezzo, incluso quello di apparire come un clown incompreso.

Joseph Ratzinger deve mettere noi in crisi. Perché anche noi, con il passar degli anni, diventiamo sempre più simili a quel clown incompreso. Ritengo che in questo contesto è doveroso domandarci perché stiamo apparendo come dei clown. Abbiamo forse svuotato il messaggio di Cristo? In tal caso, allora è necessario che rivediamo quello che diciamo e il modo in cui lo esprimiamo e lo viviamo. Ma ci può essere un’altra ragione. Appariamo come dei clown perché cerchiamo di essere discepoli autentici della verità del Vangelo; perché nel mondo c’è sempre stato e sempre ci sarà un’ostilità verso il messaggio del Vangelo (cfr. Gv 15, 18). Se è questa la ragione per la quale appariamo come dei clown, allora possiamo guardare alla figura del Papa Benedetto e prenderlo come modello. Lui che non scese mai a compromessi con la verità, fosse quel che fosse il prezzo da pagare. Lui credette che la salvezza, in fin dei conti, proviene dalla stoltezza: perché siamo discepoli del Gesù Crocifisso, il clown appeso al legno, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (cfr. 1 Cor 1, 23).

Questa è la scelta che fece Ratzinger. Una scelta non facile, che ha un prezzo alto. Questa è la scelta che noi siamo invitati a fare come Chiesa e come cristiani. E se talvolta sopraggiunge un momento di scoraggiamento, rammentiamoci di quello che Benedetto xvi disse all’inizio del suo pontificato: «non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo — e troverete la vera vita» (Omelia dell’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005).

di Mario Grech
Cardinale segretario generale del Sinodo dei vescovi