Il magistero

 Il magistero  QUO-009
12 gennaio 2023

Venerdì 6

Inquietudine,
cammino,
adorazione

Qual è il luogo in cui possiamo trovare e incontrare il nostro Signore?

Dall’esperienza dei Magi, comprendiamo che il primo “luogo” in cui Egli ama essere cercato è l’inquietudine delle domande.

Il cammino della fede inizia quando, con la grazia di Dio, facciamo spazio all’inquietudine che ci tiene desti; quando ci lasciamo interrogare, quando non ci accontentiamo della tranquillità delle nostre abitudini, ma ci mettiamo in gioco nelle sfide di ogni giorno; quando smettiamo di conservarci in uno spazio neutrale e decidiamo di abitare gli spazi scomodi della vita, fatti di relazioni con gli altri, di sorprese, di imprevisti, di progetti da portare avanti, di sogni da realizzare, di paure da affrontare, di sofferenze che scavano nella carne.

Il secondo luogo in cui possiamo incontrare il Signore è il rischio del cammino. Gli interrogativi, anche quelli spirituali, possono infatti indurre frustrazioni e desolazioni se non ci mettono in cammino, se non indirizzano il nostro movimento interiore verso il volto di Dio e la bellezza della sua Parola.

La nostra fede, senza un cammino continuo e un dialogo costante con il Signore, senza ascolto della Parola, senza perseveranza, non può crescere.

Non lo dimentichiamo mai: la fede è un cammino, un pellegrinaggio, una storia di partenze e ripartenze.

Infine, dopo l’inquietudine delle domande e il rischio del cammino, il terzo luogo in cui incontrare il Signore è lo stupore dell’adorazione.

Le nostre inquietudini, le nostre domande, i cammini spirituali e le pratiche della fede devono convergere nell’adorazione del Signore. Lì trovano il loro centro sorgivo perché tutto nasce da lì, perché è il Signore che suscita in noi il sentire, l’agire e l’operare.

Tutto nasce e tutto culmina lì, perché il fine di ogni cosa non è raggiungere un traguardo personale e ricevere gloria per sé stessi, ma incontrare Dio e lasciarsi abbracciare dal suo amore.

Non abbiamo paura, è il percorso dei Magi, è il percorso di tutti i santi della storia: ricevere le inquietudini, mettersi in cammino e adorare.

(Omelia della messa dell’Epifania nella basilica Vaticana)

Tre doni
ricevuti
dai re Magi

Oggi, solennità dell’Epifania, il Vangelo ci parla dei Magi che, arrivati a Betlemme, aprono i loro scrigni e offrono a Gesù oro, incenso e mirra.

Questi sapienti d’Oriente sono famosi per i doni che hanno fatto; pensando però alla loro storia, potremmo dire che essi, prima di tutto, ricevono tre doni.

Il primo dono è il dono della chiamata. I Magi non l’hanno avvertita per aver letto la Scrittura o aver avuto una visione di angeli, ma l’hanno sentita mentre studiavano gli astri.

Questo ci dice una cosa importante: Dio ci chiama attraverso le nostre aspirazioni e i nostri desideri più grandi.

Ma i Magi ci parlano poi di un secondo dono: il discernimento.

Non si lasciano ingannare da Erode. Sanno distinguere tra la meta del percorso e le tentazioni che trovano sul cammino.

Quant’è importante, fratelli e sorelle, saper distinguere la meta della vita dalle tentazioni del cammino!

Infine, i Magi ci parlano di un terzo dono: la sorpresa.

Accolgono la sorpresa di Dio e vivono con stupore l’incontro con Lui, adorandolo: nella piccolezza riconoscono il volto di Dio.

Umanamente siamo tutti portati a ricercare la grandezza, ma è un dono saperla trovare davvero: saper trovare la grandezza nella piccolezza che Dio tanto ama.

(Angelus in piazza San Pietro)

Domenica 8

Come
un compleanno

Non dimentichiamo quando siamo stati battezzati. È come un compleanno, perché il Battesimo ci fa rinascere alla vita cristiana.

Per questo vi consiglio di insegnare ai vostri figli la data del Battesimo, come un nuovo compleanno: che tutti gli anni ricordino e ringrazino Dio per questa grazia di essere diventati cristiani.

Questi bambini che voi portate adesso incominciano una strada, ma è a voi e ai padrini che spetta di aiutarli ad andare avanti su questa strada.

Che imparino la preghiera, da bambini, perché la preghiera sarà quello che darà loro forza durante tutta la vita: nei momenti buoni, per ringraziare Dio, e nei momenti brutti, per trovare la forza. È la prima cosa che voi dovete insegnare: pregare.

(Omelia della celebrazione dei battesimi nella Cappella Sistina)

Una scena
stupefacente

Oggi celebriamo la Festa del Battesimo del Signore e il Vangelo ci presenta una scena stupefacente.

È la prima volta che Gesù appare in pubblico dopo la vita nascosta a Nazaret; arriva sulla riva del fiume Giordano per farsi battezzare da Giovanni.

Vedendo Gesù che si mischia con i peccatori, si resta stupiti e viene da chiedersi: perché Gesù ha fatto questa scelta? Lui, che è il Santo di Dio, il Figlio di Dio senza peccato, perché ha fatto quella scelta?

Troviamo la risposta nelle parole che Gesù rivolge a Giovanni: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Adempiere ogni giustizia: che cosa vuol dire?

Facendosi battezzare, Gesù ci svela la giustizia di Dio, quella giustizia che Lui è venuto a portare nel mondo. Noi tante volte abbiamo un’idea ristretta di giustizia e pensiamo che essa significhi: chi sbaglia paga e soddisfa così il torto che ha compiuto.

Ma la giustizia di Dio, come la Scrittura insegna, è molto più grande: non ha come fine la condanna del colpevole, ma la sua salvezza, la sua rinascita, il renderlo giusto: da ingiusto a giusto. È una giustizia che viene dall’amore.

Sulle rive del Giordano, Gesù ci svela il senso della sua missione: Egli è venuto ad adempiere la giustizia divina, che è quella di salvare i peccatori; è venuto per prendere sulle proprie spalle il peccato del mondo e discendere nelle acque dell’abisso, della morte.

Egli ci mostra oggi che la vera giustizia di Dio è la misericordia.

Noi pure, discepoli di Gesù, siamo chiamati a esercitare in questo modo la giustizia, nei rapporti con gli altri, nella Chiesa, nella società: non con la durezza di chi giudica e condanna dividendo le persone in buone e cattive, ma con la misericordia di chi accoglie condividendo le ferite e le fragilità delle sorelle e dei fratelli, per rialzarli.

Facciamo come Gesù: condividiamo, portiamo i pesi gli uni degli altri invece di chiacchierare e distruggere.

(Angelus in piazza San Pietro)

Martedì 10

Nell’orizzonte
dell’intelligenza
artificiale

Sono grato alla Pontificia Accademia per la Vita e alla Fondazione RenAIssance, per l’impegno nel promuovere attraverso la Rome Call un’etica condivisa riguardo alle grandi sfide che si aprono nell’orizzonte dell’intelligenza artificiale.

Dopo la prima firma nel 2020, l’evento di oggi vede il coinvolgimento anche delle delegazioni ebraiche e islamiche, che guardano alla cosiddetta intelligenza artificiale con uno sguardo ispirato dalle parole dell’Enciclica Fratelli tutti.

La fraternità tra tutti è la condizione perché anche lo sviluppo tecnologico sia al servizio della giustizia e della pace ovunque nel mondo.

Siamo tutti consapevoli di quanto l’intelligenza artificiale sia sempre più presente in ogni aspetto della vita quotidiana, sia personale che sociale. Essa incide sul nostro modo di comprendere il mondo e noi stessi. Le innovazioni in questo campo fanno sì che tali strumenti siano sempre più decisivi nell’attività e perfino nelle decisioni umane

Sono lieto di sapere che volete coinvolgere anche le altre grandi religioni mondiali e gli uomini e le donne di buona volontà affinché l’algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, sia sempre più presente, oltre che nel dibattito pubblico, anche nello sviluppo delle soluzioni tecniche.

Ogni persona, infatti, deve poter godere di uno sviluppo umano e solidale, senza che nessuno sia escluso.

Ricordiamoci sempre che il modo con cui trattiamo l’ultimo e il meno considerato tra i nostri fratelli e sorelle dice il valore che riconosciamo all’essere umano. Si può fare l’esempio delle domande dei richiedenti asilo: non è accettabile che la decisione sulla vita e il destino di un essere umano venga affidata ad un algoritmo.

Le adesioni alla Rome Call, cresciute nel tempo, sono un passo significativo per promuovere un’antropologia digitale, con tre coordinate fondamentali: l’etica, l’educazione e il diritto.

(Udienza ai partecipanti all’incontro « ai Ethics: An Abrahamic commitment to the Rome Call»)

Mercoledì 11

La passione
per l’evangelizzazione

Iniziamo oggi un nuovo ciclo di catechesi, dedicato a un tema urgente e decisivo per la vita cristiana: la passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico.

Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, nasce missionaria, non proselitista e dall’inizio dovevamo distinguere questo: essere missionario, essere apostolico, evangelizzare non è lo stesso di fare proselitismo, niente a che vedere una cosa con l’altra.

Lo Spirito Santo la plasma in uscita — la Chiesa in uscita, che esce —, perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù.

Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica.

Oggi vorrei iniziare da un episodio evangelico in qualche modo emblematico, lo abbiamo sentito: la chiamata dell’apostolo Matteo.

Tutto inizia da Gesù, il quale “vede” — dice il testo — «un uomo». In pochi vedevano Matteo così com’era: lo conoscevano come colui che stava «seduto al banco delle imposte».

Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un “pubblicano”, così si chiamava. Ma, agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza.

Gesù non si ferma agli aggettivi, Gesù sempre cerca il sostantivo.

Gesù va alla persona, al cuore, questa è una persona, questo è un uomo, questa è una donna, Gesù va alla sostanza... Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è amato da Dio

Tutto parte
da uno sguardo

Questo sguardo di Gesù che è bellissimo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della passione evangelizzatrice. Tutto parte da questo sguardo.

Lui guarda sempre ciascuno con misericordia anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti “lontani”.

E se ognuno di noi si sente giusto, Gesù è lontano, Lui si avvicina ai nostri limiti e alle nostre miserie, per guarirci.

Prima lo sguardo, Gesù vide, poi il secondo passaggio, il movimento. Matteo era seduto al banco delle imposte; Gesù gli disse: «Seguimi». Ed egli «si alzò e lo seguì».

Il testo sottolinea che “si alzò”. Perché è tanto importante questo dettaglio? Perché a quei tempi chi era seduto aveva autorità sugli altri.

La prima cosa che fa Gesù è staccare Matteo dal potere: dallo stare seduto a ricevere gli altri lo pone in movimento verso gli altri, non riceve, no: va agli altri; gli fa lasciare una posizione di supremazia per metterlo alla pari con i fratelli e aprirgli gli orizzonti del servizio.

Questo è fondamentale per i cristiani: noi discepoli di Gesù, noi Chiesa, stiamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri?

Uno sguardo — Gesù vide —, un movimento — si alza — e terzo, una meta.

Dopo essersi alzato e aver seguito Gesù, dove andrà Matteo...? Per prima cosa Gesù va a casa sua; lì Matteo gli prepara «un grande banchetto», a cui «partecipa una folla numerosa di pubblicani».

Matteo torna nel suo ambiente, ma ci torna cambiato e con Gesù. Il suo zelo apostolico non comincia in un luogo nuovo, puro, un luogo ideale, lontano, ma lì, comincia dove vive, con la gente che conosce.

Ecco il messaggio per noi: non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo.

Testimoniare
la bellezza
dell’Amore

E non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non comunicare noi, ma lo stesso Signore.

Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia, no: annunciamo Gesù.

Bisogna mettere in contatto Gesù con la gente, senza convincerli, ma lasciare che il Signore convinca... La Chiesa cresce non per proselitismo, cresce per attrazione.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )