A 13 anni dal devastante sisma che provocò 220.000 vittime, la situazione nel Paese rimane «preoccupante»,
ha ricordato Papa Francesco. La popolazione vive in condizioni di «povertà e paura»,
testimonia Medici Senza Frontiere

Haiti
Emergenza mai finita

A woman walks in the streets left empty by a general strike in Port-au-Prince, Haiti, September 28, ...
12 gennaio 2023

Una devastazione da cui Haiti non si è mai ripresa. Il 12 gennaio 2010 un terremoto di magnitudo 7 rase al suolo la parte occidentale dell’isola di Hispaniola, spazzando via secondo le Nazioni Unite case, infrastrutture, in sintesi futuro, per tre milioni di persone. Il bilancio delle vittime fu di oltre 220.000 morti, quasi 300.000 feriti e 1,5 milioni di sfollati. Una tragedia che mise in ginocchio il Paese caraibico, tra i più poveri al mondo, in una terra che ha conosciuto poi altri terremoti: soltanto ad agosto 2021 un sisma della medesima intensità uccise più di 2.200 persone.

Il centro storico della capitale Port-au-Prince non è stato ancora ricostruito. «Il terremoto del 2010 ha lasciato i suoi segni e le sue cicatrici evidenti», testimonia Chiara Montaldo, referente medico di Medici senza frontiere-Italia, rientrata a inizio dicembre da una missione ad Haiti.

Ad aggravare il quadro generale, l’instabilità causata dall’assassinio nel luglio 2021 del presidente Jovenel Moïse. Da allora gruppi della criminalità organizzata e bande armate si contendono il controllo del territorio, in scontri e attacchi che minano la sicurezza degli 11 milioni di abitanti. Lunedì scorso Papa Francesco, ricevendo i membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, aveva parlato di «preoccupante situazione» ad Haiti, dove pure — aveva aggiunto — si stanno «compiendo alcuni passi per affrontare la crisi politica in atto da tempo»: l’invito del Pontefice era stato, come per altri Stati del continente americano, a «superare le logiche di parte e adoperarsi per l’edificazione del bene comune».

«A causa della povertà e dell’instabilità del Paese, ci sono a tutt’oggi intere zone dove, li ho visti con i miei occhi, i segni del terremoto sono ancora chiari», riferisce l’infettivologa di Msf, parlando di «case e ospedali distrutti, strutture inutilizzate che andrebbero riabilitate. Molte persone — va avanti — non si sono mai riprese da un punto di vista economico e sociale».

«La maggioranza della popolazione vive in condizioni di povertà e di paura: nella capitale Port-au-Prince al momento si registrano tra i 10 e i 15 rapimenti al giorno da parte delle bande armate», riporta Chiara Montaldo. «Al di là della crisi del petrolio — causata da un blocco messo in atto nei mesi scorsi da alcuni gruppi criminali al principale terminal del Paese, ndr — gli spostamenti sono resi difficili proprio da questioni di sicurezza: per andare da Port-au-Prince a Carrefour, in una strada che normalmente si percorre in poco più di un’ora, ho dovuto attendere tre giorni, a causa degli scontri armati incessanti nella zona», ricorda il medico.

Negli ultimi mesi a peggiorare le condizioni di Haiti, che questa settimana si è trovata spogliata anche della sua ultima istituzione democraticamente eletta, con il mandato del Senato ormai scaduto, è stata inoltre una crescita allarmante dei casi di colera, malattia che già a seguito del terremoto di tredici anni fa infettò oltre mezzo milione di haitiani: nel giro di poco tempo, allora, morirono più di settemila persone.

«Da ottobre scorso c’è stato un aumento dei casi di colera, con un picco a novembre. Ad oggi siamo a più di 22.000 casi sospetti nel Paese. Dall’inizio di dicembre i numeri stanno scendendo, ma non si arriva ad un azzeramento. Ci si sta avviando verso una fase che sembra quasi di endemia», spiega l’infettivologa. All’origine dei nuovi focolai «diversi fattori», aggiunge il medico, ma oltre a un sistema sanitario al collasso quello che è apparso «più significativo», dice, è stato proprio il blocco dei carburanti nell’intero Paese per l’azione delle bande armate, che poi ha provocato un arresto «di tutte le attività» e un conseguente «peggioramento delle condizioni per l’approvvigionamento di acqua: le persone, non potendo spostarsi né lavorare, non sono state più in grado di avere accesso o comprare acqua potabile, pulita». Medici senza frontiere, che è presente dal 1991 ad Haiti, in questi mesi ha aperto 6 centri per far fronte alle ultime criticità, oltre a portare avanti attività di prevenzione e di distribuzione di acqua potabile, di cloro e di altro materiale disinfettante. Lavorare ad Haiti, nella situazione attuale, «è rischioso», ammette il medico, ma diventa ancora più importante perché l’impegno dell’organizzazione non si ferma all’emergenza colera ma prosegue con il supporto al sistema sanitario locale, in particolare nel campo traumatologico e materno infantile. 

di Giada Aquilino