Nello sguardo di Christian Bobin

Allenarsi all’imprevisto

 Allenarsi all’imprevisto  QUO-009
12 gennaio 2023

«Forse non sappiamo pregare come bisogna: sempre troppo rumore sulle nostre labbra, sempre troppe cose nei nostri cuori. Nelle chiese non prega nessuno tranne le candele. Si dissanguano. Consumano tutto il loro stoppino. Non trattengono nulla per sé, danno ciò che sono, e questo dono si trasforma in luce». Un pezzo su un libro di Christian Bobin — in questo caso Mille candele danzanti (Otranto, AnimaMundi Edizioni, 2022, pagine 96, euro 12, traduzione di Sara Saorin) — potrebbe limitarsi a un arcobaleno di citazioni, senza aggiungere nulla, senza accrescere il peso specifico che ogni sua parola manifesta spontaneamente e in modo così esatto e insieme sostanzioso.

E allora l’unica cosa davvero utile che si può fare è porsi sull’altro versante della creatività dell’autore. Risalire la sua corrente per cercare di capire quale percezione del mondo è stata capace di regalarci del mondo quelle immagini che noi non siamo assolutamente in grado neanche di pensare.

In quella sorta di diario confessione che è Autoritratto al radiatore (AnimaMundi Edizioni, 2012) c’era già un indizio eloquente di questa particolare forma mentale che per lo scrittore francese, recentemente scomparso, diviene attitudine creativa. «Anche un volto — scriveva Bobin — una parola, una foglia d’albero possono certamente condurmi in quelle zone dove lo sbarramento della coscienza esplode, liberando le acque del rapimento».

Ecco allora il punto. Cosa sono quelle zone? Dove sono e come le si abita? Possiamo provare a intuirlo e cercare di esprimerci poeticamente seguendo la sua stessa strada. Tra l’anima e le cose c’è uno spazio infinito di significati. Non è un’illusione romantica, decine di filosofi del linguaggio e psicolinguisti lo hanno circondato, assediato quello spazio in cerca della porta razionale d’ingresso. Ma come scriveva Novalis, in un celebre frammento, comportandoci così «aspiriamo all’infinito ma troviamo solo cose». Bobin invece, con la sua prosa poetica, con le sue illuminazioni linguistiche, con le sue associazioni paradigmatiche ci dice che in quella zona le parole hanno una loro vita segreta, fremono di possibilità, sono recipienti in attesa che non vogliono mai sentirsi colmi. Uno spazio di significati, ancora non rivelati, che solo lo sguardo poetico riesce a intravvedere e quindi trasportare di qua nel mondo così come appare alla nostra vista inerte e limitata.

Ecco allora che grazie a lui diventa plausibile pensare a un vento cui serve «molta astuzia, amore e pazienza» per andare a trovare due bambine che camminano tra le villette, o al dolore delle donne che è come «un gatto che si intrufola tra le loro gambe mentre stirano la biancheria» o ancora trovare definizioni misteriose e impensate al rapporto di intimità tra madre e figlio: «Lei gli cede tutte le sue frasi. Rovescia il latte dai calamai e fascia il bambino di pagine bianche. Lui ne fa delle ombre cinesi, degli strilli, delle risate. Ne fa qualunque cosa». Perché quello per lui è il «bene più prezioso, La sua voce». Ma c’è anche «un’erba obbediente», una «voce che è come una luna sopra acque nere», un bimbo che «lecca Dio, lo beve, fino ad addormentarsi tra le sue braccia».

Mantenendosi sempre al di qua del rischio della retorica, queste associazioni di senso oltrepassano le logiche convenzionali, ne dilatano le maglie, fanno «esplodere» non solo «lo sbarramento della coscienza», ma insegnano a quella coscienza una logica poetica, che genera un’emozione fisica, una risposta del nostro Io che si scopre desideroso di leggere e rileggere quel particolare passaggio, esattamente come quando ricominciamo ad ascoltare da capo una musica che ci ha conquistati.

Ed è questa un’educazione diversa al nostro animo, che ci allena all’imprevisto, desta la complessità dei nostri sensi, ci rende vigili a quel mondo nascosto di emozioni che troppo spesso ignoriamo. Ci aiuta a non essere impreparati di fronte a quello che davvero ci sazierebbe il cuore. In uno degli ultimi racconti di questa raccolta Bobin ce lo ricorda con un micro apologo fulminante. Incontriamo un personaggio, un giornalista incredulo e stanco oramai disilluso che chiede allo scrittore «E se arrivasse un amore, una passione, che farebbe? E l’altro con la voce improvvisamente schiarita. Ma questo non si può impedire. Di fronte a ciò non si può fare nulla. L’amore è ben più grande di noi, ben più grande di tutto». Solo addestrandosi a questa logica, solo abituandosi ad «abitare poeticamente il mondo», che è il titolo di un altro suo libro, possiamo capire quanto di fronte all’amore sia umana, nobile, colma e infinitamente appagante questa resa.

di Saverio Simonelli