Cresce la protesta contro
le esecuzioni in Iran

 Cresce la protesta contro   le esecuzioni in Iran  QUO-007
10 gennaio 2023

La pena di morte non è giustizia, non è un deterrente, ma solo uno strumento che «alimenta la sete di vendetta». Pertanto, «è sempre inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona» e va «abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo». Lo ha detto chiaramente ieri Papa Francesco, ricevendo in udienza il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e facendo riferimento specificamente all’Iran: «Il diritto alla vita è minacciato anche laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne».

Nella Repubblica islamica continua da quattro mesi, implacabile, la brutale repressione delle manifestazioni di protesta esplose dopo la morte di Mahsa Amini, arrestata e deceduta a settembre perché non indossava il velo correttamente. Quattro le pene capitali eseguite finora, ma altre tre sono già state annunciate: si tratta di Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi e Said Yaghoubi, accusati di essere coinvolti nella morte di tre membri delle forze di sicurezza durante le manifestazioni nella provincia di Isfahan il 16 novembre 2022.

E crescono i timori per la sorte di almeno 109 manifestanti che rischiano di essere condannati al carcere o alla pena capitale. Tra loro, c’è anche Faezeh Hashemi, figlia dell’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani. Ex parlamentare e attivista per i diritti delle donne Faezeh Hashemi ha 60 anni. Arrestata a Teheran lo scorso 27 settembre, è stata condannata a cinque anni di prigione per «cospirazione contro la sicurezza nazionale, propaganda contro la Repubblica islamica e disturbo dell’ordine pubblico per la partecipazione a raduni illegali». Inoltre, dall’ultimo rapporto di Iran Human Rights emerge che, durante le proteste di questi mesi, le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 481 persone, tra cui 64 minori e 35 donne.

A continuare senza sosta però, non è soltanto la repressione, ma anche la mobilitazione degli iraniani in diverse città del mondo, alle cui voci si uniscono ogni volta migliaia di cittadini, così come lo sdegno della comunità internazionale: il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha espresso su Twitter la condanna da parte della Casa Bianca, chiedendo poi «l’immediata cessazione di questi abusi. L’Iran sarà considerato responsabile».

Ugualmente ferma la richiesta dell’Unione europea: il segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna, Stefano Sannino, ha convocato l’ambasciatore dell’Iran presso l’Ue, Hossein Dehghani, per «ribadire il forte sgomento dell’Ue» di fronte alle esecuzioni capitali e per chiedere alle autorità di Teheran la cessazione immediata di tale pratica, «garantendo un giusto processo a tutti i detenuti».

Forte anche la sottolineatura della «opposizione ferma e di principio dell’Ue all’uso della pena di morte in ogni momento e in ogni circostanza». Sulla stessa linea anche il Consiglio Onu per i diritti umani che, sempre ieri, in un tweet, ha espresso «seria preoccupazione» per le condanne a morte eseguite finora, chiedendo lo stop immediato della pena capitale.

Si allunga, nel frattempo, la lista di Paesi che hanno convocato i rispettivi ambasciatori iraniani per esprimere il proprio dissenso: l’ultima, in ordine di tempo, è stata l’Austria, preceduta da Norvegia, Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi. Il Canada, invece — ha resto noto il ministero degli Esteri di Ottawa — ha imposto sanzioni a due persone e tre entità iraniane per violazione dei diritti umani.