All’altezza dei bambini

 All’altezza dei bambini   QUO-006
09 gennaio 2023

Aveva ragione la Szymborska quando cantava che «alla nascita di un bambino il mondo non è mai pronto». Questo vale sempre, e ancora di più se il bambino che nasce è anche il creatore di quel mondo sempre impreparato, se quel bambino che piange per il freddo nell’umida grotta di Betlemme coincide con l’Onnipotente perché, come diceva Jan Twardowski «l’Onnipotenza è capace di tutto / dunque anche di piangere / l’Onnipotente quando ama sa anche essere / il più fragile».

Noi cittadini del Vecchio Continente (o Continente Vecchio?) siamo i meno pronti alla nascita di Gesù e quindi di nessun bambino: non riusciamo a reggere tutta quella complessità, la ricchezza di quella sorpresa, quell’essere presi in contropiede da uno simile a noi ma più piccolo, che è quindi al tempo stesso più fragile e dipendente ma anche più forte di noi, che nasce nudo e povero e quindi più libero.

Per i cattolici il paradosso del Natale, di un Dio che per rifare tutto il percorso umano ha preferito correttamente nascere in una caverna, è diventato più pesante da sopportare, forse perché abbiamo intellettualizzato la fede, perdendone quella fisicità che però è un aspetto fondamentale: il cattolicesimo è la religione più materialista secondo la lezione di Romano Guardini. Siamo diventati per davvero quei «sapienti e intelligenti» a cui il Signore ha tenuto nascoste le cose «per rivelarle ai piccoli» (Matteo 11, 25), e i piccoli le cose di Dio le conoscono, basta fermarsi un attimo e guardarli, con attenzione, cercando di stare alla loro altezza, che ci supera.

Chiunque abbia vissuto l’esperienza di educare i cuccioli d’uomo (e tutti prima o poi siamo chiamati a vivere tale esperienza, perché tutti abbiamo la responsabilità delle generazioni successive alla nostra) comprende la verità dei versi di Janusz Korczack: «Dite: È faticoso frequentare i bambini. / Avete ragione. / Poi aggiungete: / perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, / inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. / Ora avete torto. /Non è questo che più stanca. / È piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi / fino all’altezza dei loro sentimenti. / Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. / Per non ferirli».

Abbiamo perso la fisicità della fede e forse smarrito “il dialetto” tanto caro a Francesco, che è il canale per trasmettere la fede. Ieri mattina, nell’omelia nella Santa Messa per il battesimo di alcuni bambini, il Papa ha invitato tutti a riflettere «un po’ sul fatto che questi bambini che voi portate adesso incominciano una strada, ma è a voi e ai padrini che spetta di aiutarli ad andare avanti su questa strada. Ci viene insegnato a pregare, da bambini: che imparino a pregare, come bambini, almeno a fare così con le mani, con i gesti… Che imparino la preghiera, da bambini, perché la preghiera sarà quello che darà loro forza durante tutta la vita: nei momenti buoni, per ringraziare Dio, e nei momenti brutti, per trovare la forza. È la prima cosa che voi dovete insegnare: pregare».

L’invito del Papa mette in moto l’immaginazione, fa venire in mente la scena dei bambini che imparano, magari goffamente, a ripetere per la prima volta le preghiere, la scena più bella del mondo, secondo il poeta Charles Péguy o, meglio, secondo Dio: così infatti immagina Péguy, questo genio francese di cui due giorni fa abbiamo ricordato (anche su queste pagine) i centocinquanta anni dalla nascita. A questo punto lasciamo lo spazio al celebre brano del suo poema Il mistero dei Santi Innocenti, che non ha bisogno di altre parole di commento.

 

«Non conosco nulla di così bello in tutto il mondo, dice Dio. Come un bambinetto paffuto, ardito come un paggio, timido come un angelo, che dice venti volte buon giorno, venti volte buonasera saltando. E ridendo e scherzando. Una volta non gli basta. Ci mancherebbe. Non c’è pericolo. Gli ci vuole, dire buongiorno e buonasera. Non ne hanno mai abbastanza. È che per loro la ventesima volta è come la prima. Loro contano come me. È così che io conto le ore. Ed è per questo che tutta l’eternità e che tutto il tempo è (come) un istante nel cavo della mia mano.

Nulla è bello come un bambino che s’addormenti nel dire la preghiera, dice Dio. Vi dico, nulla è così bello al mondo. E dire che ne ho viste di bellezze, nel mondo. E me ne intendo. La mia creazione trabocca di bellezze. La mia creazione trabocca di meraviglie. Ce n’è tante da non sapere dove metterle. 

Ho visto milioni e milioni d’astri ruotare sotto i miei piedi come le sabbie del mare. Ho visto giornate ardenti come fiamme. Giorni d’estate, di giugno, luglio, agosto. Ho visto sere d’inverno distese come un mantello. Ho visto sere d’estate calme e dolci come una pioggia di paradiso. Tutte disseminate di stelle. Ho visto queste colline della Mosa e queste chiese che sono le mie case. E Parigi e Reims e Rouen e cattedrali che sono i miei palazzi, i miei castelli. Così belli che li conserverò nel cielo. 

Ho visto la capitale del regno a Roma capitale della cristianità. Ho sentito cantare la messa e i vespri trionfali. Ho visto queste pianure e queste valli di Francia. Che sono la cosa più bella. Ho visto il mare profondo, e la profonda foresta, e il cuore profondo dell’uomo. Ho visto cuori divorati d’amore durante l’intera vita. Estatici di carità. Che bruciavano come fiamme. Ho visto martiri così animati di fede, saldi come roccia sul cavalletto sotto i denti di ferro. (Come un soldato che resista da solo per tutta la vita). Per fede. Per il suo generale (apparentemente) assente. Ho visto martiri in fiamme come torce. Prepararsi così le palme sempre verdi. Ho visto stillare sotto gli uncini di ferro gocce di sangue splendenti come diamanti. Ho visto stillare lacrime d’amore Che dureranno più a lungo delle stelle del cielo. 

E ho visto sguardi di preghiera, di tenerezza, estatici di carità che brilleranno in eterno per notti e notti. Ho visto vite intere dalla nascita alla morte, dal battesimo al viatico, svolgersi come una bella matassa di lana. 

Ora vi dico, dice Dio, non conosco nulla di così bello in tutto il mondo come un piccolo bimbo che s’addormenti nel dir la preghiera sotto l’ala dell’angelo custode e che sorride da solo scivolando nel sonno. E già mescola tutto insieme e non ci capisce più nulla e arruffa le parole del Padre Nostro e le infila alla rinfusa tra le parole dell’Ave Maria mentre già un velo gli cala sulle palpebre, il velo della notte sul suo sguardo, sulla sua voce. Ho visto i santi più grandi, dice Dio. 

Ebbene, io vi dico. Non ho mai visto nulla di più buffo e quindi di più bello al mondo di questo bimbo che s’addormenta nel dir la preghiera (di quest’esserino che s’addormenta fiducioso) e che mescola Padre Nostro e Ave Maria. Nulla è più bello, e in questo perfino la Santa Vergine è d’accordo con me. Su quest’argomento, e posso ben dire che sia il solo punto su cui andiamo d’accordo. Perché generalmente siamo di parere contrario. Perché lei è per la misericordia. E io, bisogna pure che io sia per la giustizia». 

di Andrea Monda