La buona Notizia
Il Vangelo della festa del Battesimo del Signore (Mt 3, 13-17)

Il Giusto in fila
con i peccatori

 Il Giusto in fila con i peccatori  QUO-002
03 gennaio 2023

Ponendo occhi e ragione sui versetti evangelici della festa odierna, il Battesimo di Gesù (Matteo, 3, 13-17), quali evidenze narrative ed esistenziali emergono? Anzitutto, il narratore ci comunica un dettaglio di peculiare rilevanza: un uomo giusto, di nome Yeshua, si mette in fila tra “i frantumati”, i peccatori, per essere immerso nelle acque del Giordano. Apprendiamo della “giustizia” di quest’uomo, comparso improvvisamente sulla scena, dalla reazione immediata del Battezzatore: «Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”» (Matteo, 3, 14). Tuttavia non la riluttanza dell’ultimo profeta ma l’ostinata volontà del misterioso giusto ha la meglio: «Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”» (Matteo, 3, 15). Yeshua, il giusto, viene dunque immerso nel giordano come qualsiasi altro peccatore spezzato dal peccato, chiamato a conversione.

Come se tanto paradosso non bastasse, il dato più sconcertante del presente brano matteano sopraggiunge, in realtà, solo a questo punto; infatti, dopo l’immersione di Yeshua «si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui» (Matteo, 3, 16) e una voce dall’alto diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Matteo, 3, 17). Voce che tutti i presenti odono o solo il rabbi nell’intimo del suo cuore? Resta qui un importante sospeso. Ciò che possiamo cogliere con chiarezza è, però, la stravagante e vitale paradossalità della Scrittura evangelica.

Il Vangelo, nel brano precedente (3,1-12), ci parlava proprio un mese fa — ii Domenica di Avvento — di “ingiusti santi”, ovvero coloro che, accecati riguardo alla propria frantumazione esistenziale, la rivestono di sacra religiosità (Matteo, 3, 9); oggi, invece, il Vangelo ci sconcerta narrandoci di un “santo ingiusto” — Santo per eccellenza — che “entra liturgicamente” nel peccato e assapora realmente ogni conseguenza della colpa. È proprio questo scandaloso rivestirsi d’ingiustizia da parte del maestro di Galilea che spinge Adonai a una straordinaria esclamazione-professione di amore (Matteo, 3, 17). Se decidiamo di dar presto retta a quanto ci suggerisce la teologia dogmatica, quel Gesù altri non sarebbe che Dio, il Figlio; e, se così è, il Vangelo di questa domenica ci narra di un “Dio frantumato” tra gli uomini frantumati. La frantumazione dello spirito, assunta da Yeshua con decisa volontà come assunzione della conseguenza della colpa, la nudità della sua carne (un corpo denudato, pronto per l’immersione nelle acque), apre i cieli e muove Adonai alla sua viscerale-cosmica professione di Amore.

Dio si denuda e s’immerge. Innanzi a questa provocazione che cosa faremo noi? Vorremo ancora ostentare sontuosi paramenti, saziarci di riti e di formule religiose, illudendoci di salvar per questo noi stessi? La modalità sconcertante con cui Yeshua attua la sua figliolanza è l’anticipo di un passaggio-pasquale che annunzia a noi una figliolanza senza meriti, l’esser riconosciuti in Lui figli amati per Grazia preveniente. Nell’abbraccio tra il Figlio Amato-frantumato e il Padre frantumato-Amante siamo raccolti noi tutti, crepati nella e dalla vita e, per questo, nudi nella verità. Nessun appiglio religioso può difenderci. Dio ci precede nella nudità. Frantumati nello spirito e nella carne: così siamo abbracciati. La frantumazione apre i cieli (Matteo, 3, 16). 

di Deborah Sutera