Capodanno pasquale

FILE PHOTO: Pope Benedict XVI prays while holding a candle light as he arrives to lead a vigil mass ...
02 gennaio 2023

Il Capodanno è una festa racchiusa all’interno del tempo di Natale. Oggi però il sapore, il tenore di questo Capodanno è squisitamente pasquale. Lo è sempre, in genere, per il Natale che per i cristiani è una festa inscritta nel mistero pasquale. Gli stessi pochi cenni che i due Vangeli di Matteo e Luca fanno della natività possono essere definiti “racconti pasquali dell’infanzia di Gesù”. Ma questa coincidenza che l’ultimo giorno del 2022, un sabato, è stato anche il giorno della morte, dies natalis per i cristiani, di Benedetto xvi , getta una forte luce pasquale su questo particolare momento.

Il 16 aprile 1927, 95 anni fa, nasceva Joseph Ratzinger in Baviera ed era Sabato Santo, il giorno del grande silenzio, l’unico giorno senza messa e senza liturgia dell’anno liturgico della Chiesa cattolica. Il giorno dopo, Pasqua, il piccolo Joseph fu battezzato. E tutta la sua esistenza è stata vissuta all’interno del mistero del triduo pasquale, con tanto di passione, silenzio, gioia. Lo si può vedere anche soltanto per il periodo degli 8 anni di pontificato, iniziati il 19 aprile 2005, ma forse già cominciati, in nuce, la sera del 25 marzo che era appunto Venerdì Santo. Quel giorno il cardinale Ratzinger fu chiamato da Giovanni Paolo ii a commentare e a presiedere il rito della Via Crucis al Colosseo. Le sue parole colpirono tanto tantissime persone, soprattutto quando meditando sulla nona stazione, disse: «Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione». Nella passione di Cristo e nella passione di Benedetto, suo Vicario. E che forza e coraggio manifestò il timido teologo bavarese come successore di Pietro nell’affrontare le tante crisi e i gravi scandali che sporcarono la Chiesa durante il suo pontificato!

Dopo il Venerdì di passione, il Sabato del silenzio. Su questo giorno così particolare e al tempo stesso così rappresentativo della condizione umana, di tutti gli uomini, sospesi tra lo smarrimento e l’attesa, l’angoscia e la speranza, il teologo Ratzinger ha speso parole e testi di straordinaria intensità, quasi a voler restituire il dono ricevuto per l’essere nato proprio in quel giorno. E ora per l’essere morto proprio di sabato, dopo quasi dieci anni vissuti, per sua libera scelta, nel silenzio. Un silenzio orante, sempre “nel recinto di san Pietro” che ha fatto di Benedetto quel “nonno saggio” più volte ricordato affettuosamente da Francesco sempre a disposizione della famiglia della Chiesa. All’inizio dell’agiografia dedicata a San Francesco d’Assisi, l’autore inglese G.K. Chesterton parla di san Benedetto di Norcia e afferma che «quello che aveva seminato Benedetto, Francesco lo ha sparso nel mondo». Si potrebbe applicare, senza nemmeno sostituire i nomi, alla Chiesa degli ultimi 18 anni. E la semina è un lavoro silenzioso, che agisce in modo operoso nel segno della fiducia e della speranza, perché chi semina non è lo stesso che poi raccoglierà e spesso non vede nemmeno il frutto del suo lavoro. Benedetto però qualche segno lo ha visto e ne ha gioito.

Dopo la passione del Venerdì, il silenzio del Sabato, c’è l’esplosione della gioia della Domenica. La gioia è stato il filo rosso, la corda sottesa a tutta la vita e l’opera di Joseph-Benedetto: «Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile» confiderà a Peter Seewald. Una gioia squisitamente cristiana, che nasce da un incontro. Lo esprimerà bene nell’incipit della sua prima enciclica, la Deus caritas est, quando ricorderà che il cristianesimo non è frutto di una grande idea o di una decisione etica, ma di un incontro con Gesù, perché è Lui che prende l’iniziativa e viene incontro all’uomo. Tutto il cuore dell’esistenza umana è se ci lasciamo incontrare e abbracciare dall’amore di Gesù morto e risorto per noi. Parafrasando un altro grande teologo tedesco, se opponiamo resistenza o ci arrendiamo a Cristo. È Cristo il perno su cui ha ruotato tutta la vita del Papa emerito, la roccia su cui ha costruito la sua speranza. Nel saggio del 1977 sulla escatologia, forse il suo capolavoro teologico insieme a Introduzione al cristianesimo, Ratzinger afferma: «La speranza cristiana è personalizzata; il suo centro non è nello spazio o nel tempo, nella domanda sul dove o sul quando, bensì essa è incentrata sul rapporto con la persona di Gesù Cristo e sul desiderio della sua vicinanza» e si e ci chiede: «Ha mantenuto la cristianità questa tensione?». Benedetto l’ha mantenuta, intatta, ha conservato la fede custodendo e alimentando il fuoco della fede e oggi è vicino al suo Gesù, nella gioia del Suo abbraccio.

Si chiude un anno e il nuovo si apre di domenica, il primo giorno della settimana, perché il sabato, apparentemente silenzioso e buio, non si chiude al tramonto ma si apre alla speranza dell’alba della domenica. Una nuova creazione si spalanca davanti agli occhi di Benedetto e anche noi possiamo vederla, con gli occhi del cuore, perché «il programma del cristiano — il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù — è “un cuore che vede”» (Deus caritas est, 31), un programma a cui Joseph-Benedetto è stato per 95 anni fedele.

di Andrea Monda