Amore e gratitudine

SS Benedetto XVI - Visita al Santuario Mariano del Divino Amore - 01-05-2006
02 gennaio 2023

«Signore, ti amo», sono le ultime parole di Benedetto XVI, a coronamento di un’intera esistenza vissuta all’insegna di queste parole. Tra i tanti testi (e gesti) che lo dimostrano, colpiscono le parole pronunciate il 24 maggio 2006 nella catechesi per l’udienza generale: «La generosità irruente di Pietro non lo salvaguarda, tuttavia, dai rischi connessi con l’umana debolezza. È quanto, del resto, anche noi possiamo riconoscere sulla base della nostra vita. Pietro ha seguito Gesù con slancio, ha superato la prova della fede, abbandonandosi a Lui. Viene tuttavia il momento in cui anche lui cede alla paura e cade: tradisce il Maestro (cfr. Mc 14, 66-72). La scuola della fede non è una marcia trionfale, ma un cammino cosparso di sofferenze e di amore, di prove e di fedeltà da rinnovare ogni giorno. Pietro che aveva promesso fedeltà assoluta, conosce l’amarezza e l’umiliazione del rinnegamento: lo spavaldo apprende a sue spese l’umiltà. Anche Pietro deve imparare a essere debole e bisognoso di perdono. Quando finalmente gli cade la maschera e capisce la verità del suo cuore debole di peccatore credente, scoppia in un liberatorio pianto di pentimento. Dopo questo pianto egli è ormai pronto per la sua missione». Quindi Benedetto ricorda il dialogo tra Gesù risorto e Pietro sulle sponde del lago di Tiberiade, sottolineando la distinzione tra il verbo “filéo” (che esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante) e il verbo “agapáo” (che significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato) e concludendo che sembra che sia proprio Gesù che «si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine [...] Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto. Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale, passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore. E mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza. Sappiamo che Gesù si adegua a questa nostra debolezza».

Dieci anni dopo, il 28 giugno 2016, in occasione della commemorazione del 65° anniversario di ordinazione sacerdotale di Benedetto, Papa Francesco, rivolgendosi al Papa emerito lì presente, è tornato su quelle parole: «In una delle tante belle pagine che Lei dedica al sacerdozio sottolinea come, nell’ora della chiamata definitiva di Simone, Gesù, guardandolo, in fondo gli chiede una cosa sola: “Mi ami?”. Quanto è bello e vero questo! Perché è qui, Lei ci dice, in quel “mi ami?” che il Signore fonda il pascere, perché solo se c’è l’amore per il Signore Lui può pascere attraverso di noi [...] È questa la nota che domina una vita intera spesa nel servizio sacerdotale e della teologia, che Lei non a caso ha definito come “la ricerca dell’amato”; è questo che Lei ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi: che la cosa decisiva nelle nostre giornate — di sole o di pioggia —, quella solo con la quale viene anche tutto il resto, è che il Signore sia veramente presente, che lo desideriamo, che interiormente siamo vicini a Lui, che Lo amiamo, che davvero crediamo profondamente in Lui e credendo Lo amiamo veramente. È questo amare che veramente ci riempie il cuore, questo credere è quello che ci fa camminare sicuri e tranquilli sulle acque, anche in mezzo alla tempesta, proprio come accadde a Pietro. Questo amare e questo credere è quello che ci permette di guardare al futuro non con paura o nostalgia, ma con letizia, anche negli anni ormai avanzati della nostra vita».

Nella sua risposta Benedetto xvi introduceva un’altra parola che ritroviamo nelle sue ultime, in particolare nel suo testamento, un’altra parola che ha contraddistinto la sua intera vita: grazie.

«65 anni fa» disse Benedetto, «un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: “Eucharistomen”, convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. “Eucharistomen” dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre! La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio. [...] “Eucharistomen” ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il Pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore. Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore, e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare per la transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte».

di Andrea Monda