Non sono d’accordo con la decisione di Dio

 Non sono d’accordo con la decisione di Dio   ODS-006
30 dicembre 2022

Roma, via Marsala. Ostello “Don Luigi Di Liegro”. Sono le 18,30 e ti aspetto. Mentre ti aspetto, Mariella, mi guardo intorno. Altre persone lo fanno e mi chiedo cosa aspettino invece loro. Sedute sulle panchine, disposte in piccoli capannelli, accomodate su sedie di plastica verdi aspettano.

Aspettano che la sera si faccia notte, che la notte si faccia giorno, che il giorno sia diverso da quello precedente o semplicemente uguale. Basterebbe già che non presentasse ulteriori e inattesi scossoni.

Immigrati, trans, italiani dalle grandi giacche le cui maniche coprono quasi del tutto le mani. Mentre mi interrogo sul perché gli indumenti delle persone senza una dimora sono sempre un po’ più grandi della misura richiesta dalla loro corporatura, eccoti arrivare.

Dieci anni hai atteso, Mariella, prima di avere una casa tutta per te. Anche tu hai aspettato che la sera si facesse notte e la notte giorno. C’è voluto tempo, ma quel giorno è arrivato.

Ci salutiamo stringendoci le mani. Entriamo, dirigendoci verso la biblioteca.

Prima di sederci l’una dinnanzi all’altra, saluti gli operatori dell’Ostello. C’è familiarità nei vostri abbracci, forse c’è la voglia, Mariella, di farmi sapere che lì ti vogliono bene, che quella è stata casa tua dopo casa tua, prima di casa tua. Soprattutto durante il tuo vivere senza una casa.

È curato il tuo aspetto, il tuo profumo di pulito infrange la barriera della mia mascherina, un filo di smalto lucido sulle dita, come se questo momento fosse stato preceduto da una preparazione, da un’attesa fatta di piccoli rituali per offrire la migliore versione di te.

Mi convinco che anche tu mi aspettavi.

Per familiarizzare, mi avvalgo delle ragioni della cucina pugliese. La tua, la mia. La nostra meravigliosa terra.

«Quante volte hanno provato a cambiarti?».

È questa la mia prima domanda ufficiale, taccuino alla mano.

«Spesso, ma decido io».

Questa la tua prima risposta.

Il tuo interloquire è breve, asciutto, immediato. Non ti dai il tempo della riflessione, del ripensamento.

Solido è il tuo modo di starmi di fronte, ma gli occhi, quegli occhi di cui non riesco a definire il colore… I tuoi occhi, Mariella, peregrinano continuamente tra passato e presente.

Vanno, ritornano, si muovono. Evitano i miei per poi tornare a sfidarli.

Solo il futuro sembra essergli inibito.

Sei brava a farmelo credere, ma non ci casco, amica mia.

Lavoro nei Ser.D. (Servizio per le Dipendenze) da anni, conosco la corazza delle donne che senza l’apparente durezza si sentirebbero infinitamente più fragili.

Mi è nota la diffidenza che è difesa, la sfrontatezza sfoderata per rendere accettabile anche la peggiore delle trincee, la fragilità del corpo che ha incassato troppi colpi.

Ti sei fatta forte, Mariella. E quanto deve esserti costato.

«Io non ce l’ho un futuro. Non me la posso permettere la speranza e nemmeno la paura. Per me esiste il presente e un tutto che è impegnativo e doloroso. Sono una matricola della fede e una veterana della solitudine. La mia famiglia sta qua, anche se ci si può sentire soli tra tanta gente. Forse proprio tra tanta gente ci si sente ancora più soli. Non mi fermo, però. Lotto sempre e comunque, perché ho imparato ad amare i dolori e ho imparato conoscendone le cause. Mi prendo cura di me e della mia malattia».

Se la mente si adegua, il corpo non lo fa e comincia a parlare la lingua dell’imponderabile.

«Ho la sclerosi multipla».

Sorridi.

«Il mio sorriso è una maschera. Non vuole dire che prendo in giro il dolore, però. No. Lo rispetto, ma non gli do più importanza di quella che ha. Se lo facessi non riuscirei ad andare avanti e io voglio farlo. Ci vuole coraggio a togliersi la vita e io sono una vigliacca. Ci ho provato, ma non ci sono riuscita fino a riconoscere di avere più confidenza con la morte che con la vita. Sono nata in Puglia e ho vissuto a lungo a Bari. Mi sono laureata in Statistica a 23 anni e di questo devo ringraziare i miei genitori adottivi. Mio padre mi dava da bere, però…».

Quanto può essere confondente la rabbia e il rispetto. Il bisogno e la sofferenza inferta dalla realtà.

Lottare, lottare e ancora lottare.

Non sei tenuta, Mariella, ad onorarlo tuo padre se quel rispetto non se l’è guadagnato davvero.

In compenso, avevi e hai diritto alla tua vita senza trucchi né inganni.

Le droghe (legali e illegali) riescono a reprimere ogni genere di sentimento negativo. Tacitano la paura, il dolore, la solitudine fintanto che perdurano gli effetti, poi è solo altra sofferenza.

«Non bevo più da anni. Ho sciolto l’intreccio tra presente e passato. Ho iniziato che avevo solo 12 anni. Ho smesso 8 anni fa. Ora vado a fare il tagliando ogni 3 mesi… Io la chiamo la malattia dell’anima. L’alcol mi aiutava a buttare giù. Quando sei per strada, poi, lo fai anche perché lo fanno tutti. Non metto la bandierina su niente, però. Lo faccio per paura. Se ricominciassi non connetterei più e io voglio essere autonoma».

Sorridi, Mariella. Ci tieni a farmi sapere che il tuo corpo non l’hai venduto.

No. Se qualcuno se l’è preso è stato contro la tua volontà.

«Avrei voluto una famiglia. Un figlio maschio. Ė più facile per un uomo. Ha meno problemi e più libertà. Non restano incinte gli uomini e possono divertirsi come gli pare. Per le donne è tutto più difficile. Oggi mi piacerebbe avere un cagnolino. Ė più facile amare un cucciolo. Non ho mai fatto del male a nessuno. Quando ero per strada, dormivo quasi tutto il tempo. Se mi guardo indietro, ti dico che non sono d’accordo con la decisione di Dio, ma che posso farci. Avrei fatto andare diversamente la mia vita, se a decidere fossi stata io… O, chissà, è andata proprio così perché a decidere, a scegliere non è Dio, ma siamo solo noi. Ė difficile comprenderlo e allora ti viene più facile prendertela con Dio. Nonostante tutto sono viva, Paola!».

Hai scelto di pronunciare il mio nome una sola volta, hai scelto il secondo, quello che mia madre ha aggiunto ad Anna, il nome di sua madre, come nella migliore tradizione del nostro comune Sud.

Di Bari hai ricordi chiari, ti piacerebbe tornarci a vivere. Sarebbe più difficile, però, senza una casa, un lavoro, degli affetti. Con le tue sorelle non c’è più la familiarità di una volta, non ci sono i tuoi amici, i tuoi riferimenti, la persona che ti aiuta a non perdere la tua mobilità.

«Lui è bravissimo, si prende cura di me. Mi aiuta nella rieducazione motoria. Oggi seguo le regole anche grazie a lui. Non posso più permettermi di non farlo. Mi devo alzare la mattina, fare le cose, seguire un’alimentazione corretta. Non posso fare quello che voglio. Non posso essere me stessa, sarebbe un danno. Non devo esagerare, però, e allora provo a mettere dei filtri. Sono meno rigida che in passato. Ogni tanto mi rilasso e mi faccio una coccola. Mi terrorizza l’idea di restare su una sedia a rotelle. Sono la presidente del laboratorio dei prelievi. Ho provato diverse terapie. Nessuna ha dato i risultati sperati. Mi sono stancata…».

Si fermano i tuoi occhi, cercando con decisione i miei. Mi guardi come a suggerirmi di scriverlo.

Lo faccio, Mariella, non preoccuparti. Scrivo anche che oggi ti piaci e che questo apprezzamento me lo fai arrivare con un «Sì, vado bene…», che è un riscontro, ma anche un proponimento.

«Quando c’è la possibilità, come per la parrocchia dei SS. Apostoli qui a Roma, mi piace portare la mia testimonianza ai ragazzi. Se la mia storia può essere utile a qualcuno, io la racconto volentieri».

Che tu lo faccia senza farti sconti è evidente, così come lo è la tenerezza che accompagna il tuo raccontare esperienze di questo tipo.

Non ci casco, Mariella, quando mi dici che stai bene da sola.

Non ci casco quando pensi che non è possibile per te incontrare una persona con cui condividere il tuo quotidiano, anche se di questo appari davvero convinta: «È più facile che una persona ti resti accanto se la malattia subentra a rapporto già avviato. Più difficile è trovare qualcuno che ti ami e ti accetti con il tuo problema di salute».

Non ci casco, perché mi dici di amare il teatro.

Perché questa serata sono convinta ti piacerebbe durasse ancora un po’.

Perché vorrei davvero che tu ci credessi. Non ho il diritto, però, di chiedertelo e allora me lo auguro soltanto.

Un «… poi chissà» pronunciato timidamente, fermatosi a mezz’aria.

Poi chissà.

La paura bisogna tenerla a bada, si attacca a tutto, soprattutto alla speranza, ma tu, Mariella, questo lo sai bene.

Ci facciamo un applauso.

Come a teatro, ma più ancora per esserci permesse il dietro le quinte, lì dove senza maschere vive il Sé più autentico.

Questo incontro si conclude sul chiudersi delle porte di un autobus che ti riporterà a casa.

La tua casa.

Il tempo di un altro saluto. Un abbraccio. Ti stringo senza stringerti. Fai altrettanto con me.

Ti guardo mentre prendi posto vicino all’austista, vicino alla porta.

Una via d’uscita a portata di mano, il controllo sulla strada da percorrere.

Questa e tanto altro è Mariella.

Mariella e Anna Paola Lacatena