L’altra copertina

“Il futuro… viverlo oggi ”

 “Il futuro… viverlo  oggi ”  ODS-006
30 dicembre 2022

Il futuro si deve pensare con i piedi radicati nel passato. Gli antichi dicevano che la storia, anche la piccola storia personale dei nostri ambienti, è sempre maestra di vita.

Anni ’70 del secolo scorso. Ho avuto la grazia di vivere come educatore nel Seminario Minore di Roma. Allora ci interrogavamo sul futuro dei seminari. Ci interrogavamo sul futuro della scuola che frequentavano i seminaristi, ma anche sulla scuola stessa. Il pensiero dominante era: «Nei tempi passati, nei tempi antichi, le scuole dei monasteri, le scuole dei seminari erano appetite, per la modalità di formazione. Erano interessanti, ricche di cultura, forgiavano caratteri, davano prospettive, aiutavano a mettere in discussione la propria vita per la Chiesa e formavano, eventualmente, anche uomini per la società. La scuola di oggi, ci domandavamo, è all’altezza per essere desiderata dai sacerdoti, dalle famiglie stesse? Forma persone con sguardi ampi, orizzonti nuovi?».

Inventammo, monsignor Carlo Graziani che era il rettore, una scuola a tempo pieno (dalle 8 alle 17), riconosciuta dal Ministero della Pubblica Istruzione, una scuola dove non solamente si apprendeva leggendo libri, ma soprattutto si aveva una didattica esperienziale, una scuola dove si avesse la voglia di imparare e non la paura di essere giudicati. La storia: vista sui luoghi archeologici romani, musei, biblioteche. Italiano: editando un giornale, sul quale, i ragazzi dopo aver letto e riletto ed essersi confrontati, potevano esprimere i loro pensieri, le loro riflessioni. La manualità: ceramica. Lingue: inglese e francese. Comunicazione. Sì, comunicazione. E come professore, Giampiero Gamaleri, illustre docente, studioso di McLuhan.

Proprio su questo tema, un episodio mi ha segnato. Qualche volta, per situazioni e circostanze straordinarie, il prof. Gamaleri non poteva essere presente alla lezione. Io, da vicepreside, lo supplivo in classe — prima media — per l’ora libera. Con il professor Gamaleri studiavamo e facevamo comprendere ai ragazzi le nuove tecniche comunicative, televisive. Registravo la sera “Carosello” e, con apparecchiature antidiluviane, ma sufficienti, lo proiettavo in classe. I bambini dovevano guardare i gesti, misurare i tempi, ascoltare le parole per capire quali fossero le dinamiche usate per catturare l’attenzione della gente su un determinato prodotto in vendita. Studio accurato, sereno, sulla comunicazione, che faceva sviluppare la capacità critica del bambino, il controllo della comunicazione.

Quando, come dicevo, qualche volta, il professore mancava, facevo il supplente. Non avendo la preparazione specifica, ho dovuto “arrangiarmi”. Ho trovato nei cassetti una pellicola, di quelle che allora si proiettavano con semplici macchinette con la luce, con disegni a colori di Craveri, un vignettista che pubblicava le sue storie su «Il Vittorioso». Parlava di un topolino “Yoyò fotografo”. Avevo solo le foto del fotografo sbarazzino… che faceva intuire rocambolesche ed esilaranti situazioni. Ma non avevamo le parole.

Ecco allora lo sforzo in gruppo di interpretare le immagini, stilare un testo e… registrarlo con le voci dei bambini. Arriva Filippo, alunno esuberante ed estroso: «Posso fare la sigla con il pianoforte?». Inizio… intervalli… musica/sigla di Filippo. Ai genitori, chiamati per gli auguri di Natale, vedere ed ascoltare le voci dei figli ha significato toccare il cielo con un dito.

Ma… eh sì, c’è un ma! La pellicola terminava con la scritta “fine primo tempo”. Oddio... che fare? È iniziato allora il lavoro inverso… inventare le storie insieme… disegnare le immagini da scegliere e da fotografare… riprendere la registrazione del testo… musica/sigla di Filippo… i bambini entusiasti… Yoyò fotografo continuava le sue avventure.

Ma, e qui c’è il “ma” vero, che ancora mi commuove al pensiero. Dopo circa 12 anni da quella esperienza, la mamma mi ha chiamato dicendomi che Filippo mi voleva vedere. Sorrisi, saluti, abbracci.

«Don Enrico, ho voluto vederti perché… ti ricordi di “Yoyò fotografo”?… Ti ricordi che ho registrato il tutto su una cassetta e te l’ho regalata?... Ho voluto riversare quel contenuto su una cassetta indelebile… eccola… grazie».

Filippo aveva un tumore. E poco dopo, a 24 anni, ci ha preceduto nella casa del Padre. Quel lavoro fatto in classe è stato talmente importante da sentire il bisogno, prima di partire, di ricordarlo e ringraziare.

Grazie a te Filippo. Bambino dinoccolato, esuberante, e pieno di gioia. Ci hai insegnato che le cose vere e vissute in autenticità, con gioia, con profondità ci aprono la strada verso il domani, verso il futuro. Ci fanno intuire quello che sarà.

del cardinale Enrico Feroci