Buon Natale a Giovanni e a tutti quelli che rimangono in piedi

 Buon Natale a Giovanni  e a tutti quelli che rimangono in piedi   ODS-006
30 dicembre 2022

Giovanni, Jonus, è un mio amico. L’ho conosciuto in un angolo di una strada di Roma. Era in piedi. Indossava un vestito grigio, una camicia bianca, una cravatta e il suo inseparabile cappello, che sottraeva alla vista la sua testa bianca. Stendeva la mano verso le persone che gli passavano accanto. Ma non verso tutte. A me fece un cenno e mi fermai a parlare con lui. È così che è nata la nostra lunga amicizia.

Negli anni l’ho incontrato molte altre volte. Come se le nostre strade fossero destinate a incrociarsi continuamente. Io passavo in moto e il mio sguardo cadeva su quell’uomo, sempre più piccolo, sempre più accartocciato sul suo bastone, sempre più vecchio. Ma sempre in piedi e sorridente. Quando potevo mi fermavo e nel corso degli anni e degli incontri ci siamo raccontati le nostre vite.

Jonus, Giovanni era un uomo retto, un uomo colto, un uomo buono. Era nato il 29 gennaio del 1915 in Albania. Era un insegnante. Con l’avvento della repubblica socialista e con l’instaurazione del regime comunista, Jonus, insieme a migliaia di altri albanesi, finì in carcere per trent’anni. Dopo altri dieci anni di lavori forzati. Quarant’anni della sua vita passati così, senza mai perdere la forza di rimanere comunque in piedi.

Nel 1991, con la caduta del regime, Jonus decise di andarsene. Decise di attraversare il mare Adriatico e di venire in Italia. Qui ha cercato di rifarsi una vita. Di vivere al meglio la seconda parte della sua vita. L’aiuto che chiedeva per strada, che si aggiungeva alla sua piccola pensione, lo utilizzava spesso per aiutare i pochi parenti che gli erano rimasti in Albania.

L’ultima volta che l’ho incontrato per strada aveva difficoltà a rimanere in piedi. Era diventato quasi cieco e un tumore alla prostata lo costringeva a rimanere fuori di casa solo per poche ore di mattina.

Un giorno un’ambulanza l’ha portato in un ospedale e poi in un altro ancora. Fino al ricovero in un centro di lunga degenza vicino Roma.

Sono andato a trovarlo. Mi aveva telefonato e mi aveva chiesto di passare a salutarlo.

Ormai era completamente cieco. Il tumore lo aveva consumato. L’ho trovato sorridente e seduto sul suo letto. Quando ha sentito la mia voce, mi ha detto: «Sei proprio tu, Ernesto?». «Sì, Giovanni, sono io». Ha teso le sue braccia verso la mia voce e ci siamo abbracciati. Mi ha stretto e abbiamo parlato a lungo.

Ecco quello che mi ha detto. Ecco quello che è stato il mio regalo di Natale più bello.

«Sai Ernesto, io sono sempre stato attento alle parole. Tu sai che in tutta la mia vita ho sempre cercato di fare la mia parte, di non essere di peso e di rimanere sempre in piedi davanti a tutti. Adesso sono ridotto così. E adesso capisco quello che deve aver provato Napoleone sull’isola di Sant’Elena. Lui che non aveva mai avuto paura di morire in battaglia, nell’ultimo periodo della sua vita ha provato su di sé la paura di vivere. Anch’io adesso ho paura di vivere.

Prego ogni giorno. Ed ogni volta chiedo a Dio il perché. Perché sono ridotto così? Perché non mi consente di finire la mia lunga vita? Perché non mi concede di riposare?

Non spaventarti Ernesto. Sono domande che appartengono ad ogni uomo che vuole capire il senso della propria esistenza. Ed ognuno deve trovare la propria risposta. Non preoccuparti Ernesto. Io sono sicuro che andrà tutto bene. E sono felice della mia vita. Sono felice di essere vissuto.

Adesso sono solo molto, molto stanco e vorrei potermi addormentare. Sai, sempre più spesso mi viene in mente il monologo di Amleto. Lo ricordi?».

E, con la sua voce ancora ferma e inconfondibile, iniziò a recitare in inglese quei versi. «Essere o non essere; questo è il problema: se sia più nobile nell’animo sopportare i sassi e i dardi dell’oltraggiosa Fortuna, o prender l’armi contro un mare di guai e contrastandoli por fine ad essi. Morire - dormire - nulla più; e con un sonno dire che noi poniamo fine alla doglia del cuore e alle infinite miserie naturali che sono retaggio della carne! Questa è la soluzione da accogliere ardentemente. Morire - dormire - sognare forse».

«Morire, caro Ernesto, chiedo solo di potermi addormentare. Ma non sta a me decidere e anche se volessi, in queste condizioni come potrei? La vita è un mistero ed è questa l’unica cosa che ho capito in questi anni. Un bellissimo mistero che mi ha sempre lasciato senza fiato.

Mi domando in continuazione che senso abbia la mia vita, che senso abbia continuare a vivere in queste condizioni. Forse, caro Ernesto, oggi il senso è quello di averti permesso di venire a trovarmi e di poterci abbracciare ancora una volta per augurarci buon Natale».

Buon Natale caro Giovanni, buon Natale a te e a tutti quelli che hanno trovato la forza di rimanere sempre in piedi, proprio come te, amico mio.

Ernesto