I grandi discorsi del Pontificato
La prima udienza alla Curia romana

La giusta ermeneutica
del concilio Vaticano II

SS BENEDETTO XVI - SALA CLEMENTINA - AUGURI CURIA ROMANA - 22-12-2005
31 dicembre 2022

Il 22 dicembre 2005 Benedetto XVI incontrò per la prima volta la Curia romana durante la tradizionale udienza di fine anno per gli auguri natalizi. In quell’occasione pronunciò un discorso che partiva dal ricordo di Giovanni Paolo II e, dopo aver accennato alla celebrazione della Gmg a Colonia dell’agosto precedente e al Sinodo dei vescovi sull’Eucarestia svoltosi ad ottobre, dedicava ampio spazio al tema dell’“ermeneutica” del concilio Vaticano ii a quarant’anni dalla sua conclusione. Eccone alcuni dei passaggi più significativi.

Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o — come diremmo oggi — dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. (...)

Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue «il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr. Lumen gentium, 8). (...)

Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un “segno di contraddizione” (Lc 2, 34) — non senza motivo Papa Giovanni Paolo ii, ancora da Cardinale, aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa Paolo vi e alla Curia Romana. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell’uomo. Era invece senz’altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza. Il passo fatto dal Concilio verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. (...)

Il dialogo tra ragione e fede, oggi particolarmente importante, in base al Vaticano II ha trovato il suo orientamento. Adesso questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento. Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa.