Intervista di Papa Francesco

Quando la guerra
toglie il sorriso ai bambini

epa10361338 Members of the Plast National Scout Organization of Ukraine share the Flame of Bethlehem ...
19 dicembre 2022

«Io ho ricevuto tanti bambini dall’Ucraina... Nessuno sorride; ti salutano, ma nessuno può sorridere; chissà cosa ha visto quel bambino». È il sorriso perduto degli innocenti che vivono nelle zone teatro di guerra una delle immagini più forti tra quelle evocate da Papa Francesco nell’intervista “Il Natale che vorrei” condotta da Fabio Marchese Ragona e trasmessa ieri, domenica 18, in prima serata sul canale 5 della televisione italiana.

Un colloquio, quello a Casa Santa Marta tra il Pontefice e il vaticanista di Mediaset, scandito da diversi simboli che quest’ultimo ha mostrato collegandoli alle domande preparate. E così una piccola colomba dipinta da una bambina rifugiata ha offerto lo spunto per parlare della tragedia del popolo ucraino. «Stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzetti — esordisce Francesco —. Quella dell’Ucraina ci sveglia un po’ perché è vicina, ma la Siria da 13 anni è in guerra: terribile. Lo Yemen quanto? Myanmar, dappertutto in Africa. Il mondo è in guerra. Fa soffrire tanto». E il ricordo va al 2014, quando il Papa visitò il cimitero militare di Redipuglia che ospita caduti nel primo conflitto mondiale: «Ho pianto! — confida —... Non potevo credere a questo: l’età» dei giovani soldati. «Ma come mai si distruggono vite a quell’età? È come una mistica della distruzione la guerra» aggiunge riferendosi poi allo sbarco in Normandia durante la seconda guerra mondiale: «lì sono rimasti 30.000 ragazzi sulla spiaggia»; e il pensiero non può non andare alle madri di quegli eroi. «È una pazzia la guerra, distrugge sempre... perché un’aggressione ne porta» altre, e «poi, anche la fame, il freddo... distruzioni» per colpa del «commercio delle armi. Un’industria che invece di far progredire l’umanità fa delle cose per distruggere». Da qui l’invito del vescovo di Roma: «piangiamo un po’. Ci manca piangere oggi su queste crudeltà».

La bolletta del gas a prezzo decuplicato


L’intervistatore fa allora riferimento ai discorsi raccolti nel libro che Francesco ha definito “Un’enciclica sulla pace in Ucraina” e alle conseguenze del conflitto anche in Italia, mostrando la bolletta del gas di una lavanderia industriale il cui costo è decuplicato rispetto allo scorso anno. «Questi sono gli effetti della guerra — osserva il Papa —. I prezzi volano, si perde l’oggettività. Non si può manovrare perché tutto è connesso. Ci sono dei Paesi», come «lo Yemen, dove c’è la possibilità di morire di fame, i bambini. E questa (indica la bolletta) è l’inflazione tipica della guerra. Questo è il gas, poi c’è la luce» e si arriva alla fame. «Né tu né io sappiamo cosa sia fare la fame — dice al giornalista —. Lo sapremo, forse? C’è tanta gente che già incomincia a saperlo».

In proposito l’intervistatore fa notare che in effetti c’è anche chi non ha il problema delle bollette perché non ha nemmeno la casa e indica una coperta e del pane sistemati sul tavolino vicino ai due interlocutori. «C’è una cosa che a me preoccupa — interviene Papa Bergoglio —: è l’atteggiamento dell’indifferenza... Il peggio che a noi può accadere è guardare da un’altra parte. Per favore misurate le spese di Natale. Questo è un Natale triste... di guerra. C’è gente che muore di fame. Abbiate un cuore grande e non fate le spese come se nulla accadesse». Contro «l’indifferenza dobbiamo lottare tanto — ammonisce — e voi giornalisti avete la missione di svegliare i cuori per non cadere in questa cultura dell’indifferenza. “Io guardo da un’altra parte, me ne lavo le mani, non è un problema mio”. Il problema è di tutti». Come «lo spreco. Noi dobbiamo prendere coscienza di questo momento storico, della povertà. Che ci sono dei bambini che hanno fame. C’è gente che muore di fame. Almeno festeggiamo la Natività perché la Natività è una cosa bella, è un bel messaggio». Va bene «fare festa, ma facciamola con moderazione».

Marchese Ragona accenna poi al tema della corruzione tornato d’attualità a livello europeo. «Questo scandalizza — rimarca il Pontefice —. Tutti siamo peccatori... E dobbiamo chiedere perdono al Signore tutti i giorni per i nostri sbagli. Io mi spavento. Peccatore sì, corrotto mai. Oggi si scivola dal peccato alla corruzione, per cui noi non dobbiamo tollerare questo. Come mai, con il bisogno che c’è in Europa di tante cose, questa gente che è nell’amministrazione scivola in questa maniera nella corruzione? Ognuno ha il proprio punto» debole: «uno perché è bugiardo, uno ha un po’ di ira, uno ha un brutto carattere.... ma corrotto no. Questo è una corruzione, non è peccato. È peggio perché la corruzione ti putrisce l’anima».

Altro tema affrontato quello della denatalità, che colpisce in particolare l’Italia. «C’è un inverno demografico — afferma il Papa senza giri di parole —. Una volta ho sentito» un uomo che si domandava «chi pagherà la mia pensione domani se non ci sono le nascite?». Malauguratamente «c’è la cultura della procreazione» per la quale «i figli è meglio di no. Meglio fare un viaggio, comprare la villa. Io conosco gente che la pensa così». Eppure «alcuni Paesi, come la Francia, hanno fatto misure pro-famiglia molto buone e il livello delle nascite» lì «è salito abbastanza. Ma in Italia in questo momento» occorre «aiutare le famiglie. Tante donne hanno paura di restare incinte perché appena il capo della ditta dove lavorano vede la pancia manda via. E tante donne non trovano» neanche un’occupazione «perché i datori di lavoro hanno paura» delle gravidanze delle dipendenti. «Un figlio è una minaccia in questo momento. Ma dove siamo? Dovrebbe essere una benedizione. Per questo credo che dobbiamo riprendere. Io dico, italiani per favore fate figli... Meno egoismo».

La palla di stracci e lo sport amatoriale


Tornando a parlare di bambini, che sono stati un po’ il filo-conduttore della conversazione, il giornalista mostra la palla di stracci tanto cara a Bergoglio. «Lo sport è nobile — dice il Papa —. Lo sport porta nobiltà», aggiunge riferendosi alla pellicola argentina intitolata proprio Pelota de trapo. «Sto parlando del 1945, io l’ho visto da bambino. È un bel film dell’epoca, è un po’ la mistica dei ragazzi che giocano con quello che hanno in mano. Era Don Bosco che diceva “se tu vuoi radunare i ragazzi metti un pallone sulla strada e subito vengono, come le mosche al dolce”. I bambini giocano. E lì andiamo su una cosa molto bella che è il valore del gioco, dello sport... È una benedizione poter farlo bene... Tutti abbiamo bisogno di questa gratuità dello sport». Perciò «sono contento quando vedo che la gente si entusiasma per lo sport» e quando esso «non perde quella dimensione di “amatorialità”. Ci sono, adesso, aspetti più commerciali ma non sta male se sono moderati. A patto che lo sport non perda quella “amatorialità”. Il vero sport deve essere gratuito».

Rimanendo in tema il giornalista ha accennato anche alla finale dei campionati mondiali di calcio. «Ai vincitori tutti fanno gli auguri — ha detto Francesco —. Che lo vivano con umiltà. E a quello che non vince, che lo vivano con gioia; perché il valore più grande non è vincere; è giocare pulito, giocare bene». Con l’auspicio che i calciatori di entrambe le squadre contendenti — Argentina e Francia — «abbiano il coraggio di darsi la mano. Quando io vedo la fine di una partita dove non si danno la mano… Noi — sto parlando dell’anno ’46 — andavamo allo stadio tutte le domeniche anche con la mamma, papà, tutti insieme. E lì la parola più brutta che si sentiva all’arbitro era “venduto”, ma poi finiva la partita e si davano la mano. Quel savoir-faire dello sport... Mi auguro che questo campionato mondiale aiuti a riprendere lo spirito sportivo».

Avviandosi alla conclusione dell’intervista Marchese Ragona evidenzia che «tra qualche mese saranno dieci anni di pontificato», chiedendo «se c’è qualcosa che avrebbe voluto realizzare e che ancora non ha realizzato». «Io quando sono stato eletto — ha risposto Francesco — ho preso come programma tutte le cose che con i cardinali abbiamo detto nelle riunioni pre-conclave al prossimo Papa che sarebbe stato presente lì, ma nessuno sapeva chi fosse... Ci sono anche cose da fare», ma si «sta andando avanti». E «i cardinali che erano stati lì mi hanno aiutato tanto a fare questo cambiamento. Una delle cose che più si vede — non è la più importante ma quella che più si vede — è la pulizia economica, evitare che ci siano cose brutte economicamente. Adesso quell’Istituzione è forte. In questi giorni è stato riunito il Consiglio per l’Economia, sta lavorando bene. Loro hanno dato le indicazioni per portare avanti questo. Io ho incominciato a fare, con l’aiuto di tutti, quello che i cardinali avevano chiesto. Ma, soprattutto, la missionarietà, lo spirito missionario, l’annuncio al Vangelo. Questo è importante: noi possiamo avere una curia molto organizzata, una parrocchia molto organizzata, una diocesi molto organizzata, ma se non c’è spirito di missione, se non si prega lì dentro non vai. La preghiera è importante». E ciò, specie a livello organizzativo, «lo ha visto chiaro il cardinale Pell, che ha incominciato questo. Poi è dovuto rimanere quasi due anni in Australia per questa calunnia che gli hanno fatto — che poi era innocente — e si è allontanato da questa amministrazione, ma è stato Pell a fare lo schema di come si poteva andare avanti. È un grande uomo e gli dobbiamo» tanto.

Quindi Marchese Ragona domanda quale sia l’immagine che gli è rimasta più impressa negli incontri avuti da Pontefice e Francesco risponde senza esitare: «I bambini malati. Quando vedo un bambino in sedia a rotelle, un bambino che è ammalato, quando me lo portano perché morirà, questo mi tocca. Quella domanda di Dostoevskij “perché soffrono i bambini?” è un mistero. Ma questo mistero ti avvicina a Dio. Una delle gioie più belle è accarezzare i bambini, a me piace tanto. E accarezzare i vecchi... Sono un messaggio, gli anziani: la tenerezza dei vecchi» e quella dei bambini.

Dopodiché una riflessione legata all’86° compleanno festeggiato sabato 17. «Mi sento felice — spiega Francesco —. Il Signore mi accompagna, mi sento pastore, sto facendo la mia vocazione, sono un peccatore. Domani viene il confessore, ogni 15 giorni viene il francescano santo che mi perdona i peccati, ma sono contento perché vedo che il Signore mi aiuta ad andare avanti».

Con la statuina del Bambinello proveniente da Betlemme


A chiudere una personale sul Natale, su come immaginasse il bambino Jorge Mario la nascita di Gesù e se a casa Bergoglio si facesse il presepe. «Si faceva sempre con le statuine di gesso — ricorda il Papa —. Semplice. E poi si preparava bene, si metteva anche un po’ di erba per i cammelli dei Re Magi. La cosa più bella era dopo la messa a mezzanotte andare a mettere il Bambino perché era nato. Noi eravamo una famiglia molto semplice, non eravamo ricchi. Il lavoro del papà era un buon lavoro, ma punto. Ma c’era sempre il piccolo presepe di famiglia. Il Natale per noi era il presepe, non l’albero». E con tra le mani la statuina di un Bambinello portato da Betlemme da un frate passionista, il Pontefice conclude esortando a guardare il Bambino e la stella. «Un bambino in più è una speranza. Lui ha portato la speranza, ma è nato così: povero, perseguitato, è dovuto fuggire. Un Bambino senza la stella non va, una stella senza il Bambino non va. Ambedue sono il messaggio del Natale oggi. Io a ognuno vorrei che il Signore dia la tenerezza di un bambino» e «la luce della stella». Perché «se guardi la stella sai dove è la strada, come i Magi» e «se guardi il Bambino sai come devi sentire il tuo cuore».

di Gianluca Biccini