Nelle sale «The Fabelmans», un grandioso inno al cinema

Spielberg
racconta Spielberg

Gabriel LaBelle as Sammy Fabelman in The Fabelmans, co-written, produced and directed by Steven ...
16 dicembre 2022

Nel buio la magia ogni tanto si compie. E quando avviene, davvero il cinema è meraviglia, è sogno, è luogo di esperienze uniche, dove la realtà viene plasmata senza alcun limite, trasformandosi in arte. Non si può fare a meno di pensarlo con riconoscenza mentre sul grande schermo scorrono i titoli di coda dell’ultimo, bellissimo film di Steven Spielberg, The Fabelmans, che è esso stesso un grandioso inno al cinema, alla sua straordinaria forza evocativa, alla sua capacità di divertire, affascinare, riflettere, commuovere. Anzi, è una dichiarazione d’amore al cinema da parte di un regista che di capolavori ne ha realizzati tanti e che con quest’opera fa qualcosa che finora non aveva mai fatto: raccontare com’è nata la sua passione per la settima arte; e, nel farlo, parlare con coraggio anche della travagliata storia della sua famiglia, in particolare della dolorosa separazione dei genitori. Perché The Fabelmans è sostanzialmente un film autobiografico, in parte commedia brillante, in parte racconto di formazione con un tanto di dramma familiare. Quel dramma che in passato Spielberg aveva evocato solo indirettamente, come ad esempio, in E.T. l’extra-terrestre, dove i genitori del protagonista Elliot sono divorziati. Il cinema, quindi, anche come spietato e doloroso strumento di verità.

Il film, in anteprima il 17 e 18 dicembre in alcune sale selezionate e poi dal 22 in tutti i cinema italiani, è un nostalgico viaggio indietro nel tempo, all’infanzia e all’adolescenza del regista, che affida sé stesso ai panni di Sam Fabelmans (Mateo Zoryon Francis-DeFord da bambino, Gabriel LaBelle da ragazzo). Tutto ha inizio quando i genitori lo portano al cinema a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Il piccolo Sam resta affascinato dalla pellicola, in particolare dalla sequenza in cui un treno travolge un’automobile bloccata sui binari. Tanto da riprodurla a casa con il suo trenino, prima per gioco e poi filmandola con la cinepresa Super8 regalatagli dalla mamma, Mitzi (Michelle Williams), donna dall’animo di artista, ma vulnerabile e dall’indole malinconica, colpita dall’interesse del figlio per i prodigi del cinematografo.

L’esperimento, sorprendente nel risultato, è solo il primo approccio di quella che per Sam diventerà una vera e propria passione, incoraggiata anche dal padre, Burth, (Paul Dano), ingegnere dell’allora innovativa industria elettronica, un tipo apparentemente comune, timido ma dal carattere sfuggente, e da “zio” Bennie (Seth Rogen), collega e migliore amico di Burth, membro acquisito della famiglia. Una famiglia che conta anche due sorelle di Sam e due nonne, una delle quali particolarmente invadente. La storia prosegue con i Fabelmans che si trasferiscono dal New Jersey in Arizona dopo una promozione del capofamiglia, con Sam ormai adolescente. Ed è qui che avviene la seconda folgorazione: in sala per vedere L’uomo che uccise Liberty Valance — dunque John Ford dopo DeMille —, il ragazzo si stacca dagli amici poco interessati al film avvicinandosi allo schermo, ammaliato dalle scene che vi scorrono, intento a carpirne i segreti. Tanto da ricrearli con fantasia in seguito in un suo western, reclutando gli amici scout come attori, gli stessi che userà in seguito per un film di guerra ancora più impegnativo.

E qui Spielberg si racconta ancora, mostrando i trucchi artigianali sperimentati da ragazzo, a partire dalle riprese laterali con la cinepresa fatta scorrere su un carrello, che per Sam è una carrozzina da neonato. Ma facendo emergere anche la capacità del suo giovanissimo alter ego di comprendere l’importanza dei sentimenti. Come nella sequenza finale del film di guerra, nella quale — dopo essere stato istruito a dovere sul senso della scena — il soldato eroe, unico sopravvissuto nella battaglia, cammina in lacrime tra i corpi senza vita dei suoi commilitoni.

Sam, ormai armato di cinepresa 16mm, filma anche la famiglia, imparando che il cinema non è solo finzione.

È infatti rivedendo le immagini di una vacanza in campeggio che scopre la relazione tra la mamma e Bennie. Qui l’autobiografia forse diventa catarsi per lo stesso Spielberg, segnato fortemente da ragazzo dalle conseguenze della separazione dei genitori. Una ferita che si è portata dentro per tutta la vita, ma per la quale sembra non aver serbato particolare rancore verso la mamma; o almeno è ciò che emerge dal film, con Sam che, pur arrabbiato con la madre, è indulgente con lei. Probabilmente anche perché le riconosce il merito di aver scoperto e sostenuto il suo talento. Un talento artistico che in lei invece non ha avuto modo di emergere, ma che Spielberg omaggia in una bella scena della gita in campeggio: di sera, con indosso una camicia da notte, Mizti balla illuminata in controluce dai fari di una macchina, con Sam che la riprende estasiato e imbarazzato da tanta grazia e ingenua sfrontatezza.

Ma se la separazione dei genitori è la più dolorosa delle sue esperienze, una volta trasferitosi in California dopo un’altra promozione del padre, nel nuovo liceo Sam dovrà fare i conti con il bullismo e con l’antisemitismo per le sue origini ebraiche. Origini che daranno vita peraltro agli esilaranti incontri con Monica, la ragazza di cui si infatua, ricambiato, ma che è anche tanto innamorata di Gesù.

Attraverso le vicende di Sam, Spielberg ci prende per mano portandoci coraggiosamente, ma con misurata ironia, nella sua stessa vita, per raccontarci come è arrivato a essere quel grande regista che è. Ci invita, come fa nell’ultima, stupenda scena, a capire come ha imparato a riconoscere l’importanza dell’orizzonte, spingendoci a osservarlo insieme a lui. E a oltrepassarlo ancora una volta. Coadiuvato dal fidato co-sceneggiatore Tony Kushner e da un cast che lo asseconda come meglio non potrebbe, il maestro ci offre dunque un’altra grande lezione di cinema, regalandoci l’ennesimo capolavoro. Sì, perché The Fabelmans è un capolavoro. Ma soprattutto Spielberg ci invita ancora una volta a sognare e a lasciarci stupire, come fece lui ancora bambino, come ha continuato a fare da ragazzo. E come fa ancora oggi, a 78 anni. E per questo non possiamo che ringraziarlo. Perché sì, il cinema con lui è davvero la “lanterna magica”, la “fabbrica dei sogni”.

di Gaetano Vallini