Bailamme

La parola giusta

 La parola giusta   QUO-287
16 dicembre 2022

Hugo portava ancora i pantaloni corti quando stupiva i salotti viennesi con liriche firmate con lo pseudonimo di Loris. Paesaggi maliosi, introspezioni precoci e un senso di caducità che pervadeva ogni verso di un sedicenne prodigioso. «Bambini crescono con occhi profondi/ che nulla sanno/ crescono e muoiono. Dolci frutti maturano/ ma cadono di notte come uccelli morti/ Giacciono qualche giorno e poi marciscono/ Eppure dice molto colui che dice sera/ una parola da cui scorre profondità e tristezza/ come miele denso da favi vuoti».

Parliamo di Hugo von Hoffmanstahl, poeta dell’Austria non più felix, in anni in cui il secolo che aveva tentato di dare un nome all’indicibile declinava irrimediabilmente. E lui, poeta metteva in dubbio proprio la necessità della parola, nella convinzione maturata col tempo che «in una vita tutto ciò che alla fine importa sta di là da ogni parola. Il discorrere si fonda su un’indicibile sopravvalutazione di sé».

Ma lei, la parola, rimaneva con lui, abitante paziente di una mente creativa che continuava a costruirci immagini e storie. Ed ecco Il Cavaliere della Rosa con le musiche dell’amico Richard Strauss e poi una commedia tanto garbata quanto profonda, L’Uomo difficile: un testo, ambientato negli anni decadenti della fine del primo conflitto mondiale, che sembra in superficie una girandola di schermaglie sentimentali e invece trova per la parola una nuova dimensione, un’efficacia diversa e questo insegna molto sia ai suoi contemporanei che a noi cittadini di un’altra decadenza sommersa di troppe parole e troppa comunicazione.

La storia è semplice. Il protagonista Hans Karl reduce dalle trincee ha mantenuto, nella sua cerchia di amicizie, un fascino magnetico che esercita limitandosi a parlare il meno possibile per non esporsi a gaffe ed equivoci. Da questo mutismo ostentato lo redimerà l’amore che lo sorprende contro la sua volontà, costringe la sua immaginazione a fare i conti con una realtà dove la sorpresa si incarna in eventi gratuiti, in un sorriso, in gesti di tenerezza delicati eppure tanto tangibili quanto lo erano stati in guerra il fragore, il rotolare dei corpi. Hans e con lui Hugo capisce che l’attesa anche in silenzio viene premiata nella disposizione di un animo che finalmente è pronto nell’umiltà del silenzio a riconoscere, e proprio in questo riconoscere intuisce dell’altro all’opera nel mondo. Solo allora la parola può intercettare quello che giace al di là. «Una necessità che ci sceglie di attimo in attimo, che passa in silenzio, rasente al cuore, leggera come un soffio eppure tagliente come una spada». E anche noi con Hans possiamo dire che rinunciare alla frenesia delle parole, fare silenzio e compiere gesti, limitarci per un po’ all’evangelico si si no no può farci tornare rinvigoriti dal reale a servire la parola giusta, quella che non comunica proposizioni torrenziali ma prova a evocare quello che nel mondo ci sorprende, quello che significa altro, quelle poche cose essenziali: la profondità dell’amore, la gratuità di un affetto, la devozione verso il quotidiano. Solo nel flusso della realtà può apparire la grazia, ma prima dobbiamo curare le nostre parole, renderle recipienti di un di più da scorgere nelle cose, essere quell’uomo, conclude Hoffmanstahl «in cui la natura, la verità raggiungono tutto, l’intenzione nulla».

di Saverio Simonelli