Imparare la lezione
dalla pandemia
per non fare gli stessi errori

 Imparare la lezione dalla pandemia per non fare gli stessi errori  QUO-287
16 dicembre 2022

Cosa abbiamo imparato dal Covid-19, quali lezioni trarre da questo momento di crisi, quali segni di vita e di speranza raccogliere nonostante questi tempi difficili? Sono alcuni interrogativi che pone il messaggio di Papa Francesco per la 56ª Giornata mondiale della pace. Li ha evidenziati il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale (Dssui), durante la presentazione del testo del Pontefice, avvenuta stamane, 16 dicembre, nella Sala stampa della Santa Sede, attualmente in via dell’Ospedale.

Quali sono, in sintesi, le lezioni del periodo pandemico riguardanti il tema della pace? Il porporato gesuita ha ricordato che il mondo aveva bisogno di un piano internazionale ben preparato per affrontare la pandemia. Al contrario, ha fatto notare, questo è stato completamente assente. Hanno prevalso, invece, «una massiccia disinformazione, il puntare il dito, le false affermazioni e il panico», mentre i responsabili delle decisioni hanno dato «maggiore priorità alle rivendicazioni dei detentori dei brevetti che ai bisogni delle persone». Infatti, nei primi giorni della diffusione del coronavirus, il mondo è stato sottoposto a uno stress enorme. Il tasso di mortalità è divenuto rapidamente molto alto, soprattutto tra le persone più vulnerabili. D’altra parte, ha aggiunto Czerny, non vi era «nessuna informazione valida sulla malattia, nessuna cura, nessuna strategia di prevenzione».

Il prefetto ha osservato che nell’enciclica Fratelli tutti, pubblicata durante il primo anno di crisi sanitaria, Papa Francesco ha spiegato il motivo per cui ha istituito la Commissione vaticana Covid-19, coinvolgendo la Segreteria di Stato, il Dicastero per la comunicazione e, come coordinatore, il Dssui. Era suo desiderio, ha aggiunto, che la Chiesa fosse al servizio del mondo nella pandemia, per aiutare a rispondere «come un’unica famiglia umana». E con questo messaggio 2023, che riflette sul Covid-19 e guarda avanti verso la pace, la Commissione ha portato a termine il proprio compito, e le indicazioni saranno recepite dalle tre istituzioni vaticane che vi hanno partecipato.

Successivamente suor Alessandra Smerilli, segretario del Dssui, ha spiegato che con questo messaggio Francesco vuole «farci ritornare» con il pensiero «ai momenti spaventosi, duri e dolorosi degli inizi della pandemia da Covid-19, e ci chiede di riflettere coraggiosamente su che cosa abbiamo imparato e su quali occasioni non abbiamo saputo cogliere». Da una crisi non si può uscire uguali, aveva detto il Papa sin dall’inizio: o se ne esce migliori o peggiori. Questo è il momento per chiedersi, come singoli e come comunità: dopo tre anni si è migliori o peggiori? La religiosa ha ricordato che nel marzo 2020 Papa Francesco aveva istituito la Commissione vaticana per il Covid-19, affidandole un compito che già vedeva lontano: «Preparare il futuro». A fine anno 2022 la Commissione chiuderà i battenti, «non perché — ha sottolineato suor Smerilli — l’emergenza sia finita, ma perché ormai tutto il Dssui lavorerà con le modalità con cui la Commissione ha lavorato», cioè «in ascolto e dialogo diretto con le Chiese e le realtà locali di ogni continente e in collaborazione con altri organismi e Dicasteri». Il segretario ha anche annunciato che sul modello della Commissione Covid-19 è nato anche il gruppo di lavoro “Catholic response for Ucraine” (cr4u), promosso dal Dicastero. Questo gruppo «si è costituito come spazio di dialogo strutturato e coordinamento tra i tanti attori cattolici che si stanno prodigando per assistere la popolazione ucraina nei bisogni più impellenti». Papa Francesco aveva chiesto “concretezza” e nel contesto della pandemia questa consegna è stata resa concreta attraverso gli aiuti a chi ne aveva più bisogno nei momenti più difficili dell’emergenza. Come tramite il progetto “Sister Ambassadors network”, che ha riconosciuto «tante donne, religiose, come leader affidabili nelle loro comunità in materia di salute, in una fase in cui le comunità stesse erano immerse in tanta confusione». La pandemia ha rivelato «più acutamente diseguaglianze e fragilità sociali e ha minato la pace in tanti luoghi del mondo». Ciò ha impegnato Commissione e Dicastero a lavorare secondo le priorità assegnate dal Papa: salute, lavoro, cibo. Con un’insistenza: «per tutti», ha concluso suor Smerilli.

Da parte sua, Maximo Torero, chief economist della Fao, in un videomessaggio ha sottolineato che quel diritto fondamentale di ognuno, «essere liberi dalla fame, è oggi a rischio come mai prima d'ora». Infatti, in mezzo «a molteplici crisi globali, come quelle morali, sociali, politiche, i cambiamenti climatici, le pandemie, i conflitti, le crescenti disuguaglianze e la violenza di genere, sempre più persone cadono nella trappola della fame». In ben 828 milioni hanno affrontato la fame nel 2021, ha specificato Torero, «con un aumento di 150 milioni in più rispetto al 2019, prima dello scoppio della pandemia». Le proiezioni più recenti, ha spiegato, indicano che nel 2030 oltre 670 milioni di persone potrebbero ancora non avere abbastanza da mangiare. È una cifra molto lontana dall’obiettivo “fame zero” che, meno di un decennio fa, «il mondo si è impegnato ambiziosamente a raggiungere». E dimostra anche quanto «siano profonde le disuguaglianze nelle società» dei cinque continenti. Oggi, ha fatto notare, «c’è cibo a sufficienza per sfamare tutti». Ciò che manca «è la capacità di acquistare il cibo disponibile a causa degli alti livelli di povertà e disuguaglianze». I conflitti, i rallentamenti e le fluttuazioni economiche, le questioni climatiche «sono al centro delle crisi attuali e passate». La guerra in Ucraina, poi, «ha peggiorato la situazione. Ha sconvolto il mercato globale dell’energia, provocando un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti alimentari». Solo quest’anno si è registrato «un incremento di 25 miliardi di dollari nelle spese per le importazioni alimentari dei 62 Paesi più vulnerabili del mondo, con un aumento del 39 per cento rispetto al 2020».

Durante l’emergenza Covid-19, la crisi sanitaria «si è rapidamente trasformata in una crisi alimentare, in quanto il virus ha causato una carenza di lavoratori agricoli e ha minacciato di interrompere le catene di fornitura alimentare». La pandemia ha insegnato «l’importanza di comprendere le sfide interconnesse per soddisfare la crescente domanda di cibo, proteggendo al contempo la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, come previsto dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals)», ha detto ancora Torero. L’80 per cento dei poveri del mondo, ha reso noto, vive nelle aree rurali e dipende dall’agricoltura per sopravvivere. Molti di loro, donne, bambini, popolazioni indigene e persone con disabilità, «non hanno accesso al cibo e devono fare i conti con raccolti scarsi, sementi e fertilizzanti costosi e mancanza di servizi finanziari». Sono direttamente colpiti «dai rischi e dalle incertezze che affliggono i nostri sistemi agroalimentari».

La gravità della situazione richiede «un approccio olistico per affrontare il problema della fame. Dobbiamo capire che queste crisi sono interconnesse». Da qui l’invito a comprendere che tutti hanno bisogno gli uni degli altri e che «se non agiamo con fraternità e solidarietà non saremo in grado di risolvere le immense sfide che stiamo affrontando oggi». Come dice il Papa, si deve mettere “l’insieme” al centro. Ciò significa che occorre adottare «un approccio basato sui diritti umani, in modo da applicare i principi dei diritti umani nei nostri sforzi». I quadri internazionali forniscono indicazioni «legali e politiche per raggiungere i diritti umani universali e fondamentali». E in proposito Torero ha ricordato che il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali afferma che «il diritto all’alimentazione è indispensabile per il riconoscimento di altri diritti umani» e sottolinea anche la sostenibilità «in quanto il cibo deve essere accessibile sia per le generazioni presenti che per quelle future. Dalla disponibilità, l’accessibilità e le diete sane alla sicurezza alimentare, la protezione dei consumatori e l’obbligo degli Stati di fornire cibo adeguato alle loro popolazioni, fornisce le basi su cui ricostruire i nostri sistemi agroalimentari».

Poiché i diritti umani, ha evidenziato, «sono indivisibili e interdipendenti, un diritto umano non può essere goduto appieno se non vengono soddisfatti anche altri diritti umani». Per questo, sostenere «politiche che promuovano altri diritti umani, come la salute, l’istruzione, l’acqua e i servizi igienici, il lavoro e la protezione sociale, può avere un impatto positivo anche sul diritto al cibo», ha concluso il rappresentante dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

Infine, Simone Cristicchi, cantautore, scrittore, autore, regista e attore teatrale italiano — che per l’occasione ha eseguito un brano dal suo repertorio musicale — nel messaggio di Papa Francesco ha individuato tre parole chiave. La prima è attenzione. Ha ricordato che sul vocabolario della lingua italiana, alla voce “attenzione” c’è scritto «volgere l’animo verso qualcosa». Quindi «significa andare oltre me stesso, evadere dalla prigione del mio ego, e accorgermi che esiste il mondo, prendermi cura del microcosmo in cui vivo, e degli altri esseri umani».

La seconda parola è umiltà, che viene dal latino, humus. Quindi, essere umili «è sentirsi come un campo arato, pronti ad accogliere i semi di bellezza e conoscenza che tutti mi possono donare». In questo senso, da un «bambino a un anziano, da una casalinga a un filosofo, se torno ad essere terra, posso davvero imparare da chiunque». Cristicchi ha detto di apprezzare l’umiltà di «chi vive in disparte, di chi non insegue il consenso, e non vuole emergere a tutti i costi»: di quei “santi silenziosi”, cioè dei perfetti “signor nessuno”, che «si occupano della loro piccolissima porzione di mondo, senza chiedere applausi o medaglie al valore». Perché, ha fatto notare, «è molto meglio un anonimo perbene, che un mediocre di successo»; l’umiltà dell’albero, che regala «l’ossigeno, i frutti, la legna, l’ombra, senza chiedere niente in cambio». E allora, essere umile significa dire “grazie”, anche «a un albero qualsiasi».

Da ultimo, la terza parola, che contiene in sé le altre due, è cura, che è stata al centro della canzone eseguita: Abbi cura di me. Essa può essere interpretata come una preghiera di Dio all’uomo. Perché Dio ha bisogno che «ci prendiamo cura di lui e del creato, per portare a compimento la sua opera».