Il magistero

 Il magistero  QUO-286
15 dicembre 2022

Venerdì 9

Portare
speranza
dove regna
la violenza

Il 3 maggio ricorrono 250 anni dall’arrivo dell’Immagine della Vergine del Rosario. Viene da Cadice (Spagna) e si venera nella cappella edificata alle origini della città e che le diede il nome.

Il motto [è] «Con Maria del Rosario, missioniamo per la pace». Essere strumenti di pace. Portare Cristo ai cuori, alle famiglie, a tutta la società. Vivere in pace con sé stessi, in famiglia, nel quartiere.

Il contesto è che, invece di stare in pace, vediamo violenza ovunque e insicurezza nella città.

Una violenza prodotta dal narcotraffico. A tale riguardo, finora nel 2022, contiamo 240 persone morte, con diverse persone innocenti, bambini, adulti e anziani.

Vogliano porre sotto la protezione di Maria le famiglie, specialmente quelle che subiscono la povertà, l’indigenza, la mancanza di lavoro, quante soffrono per le dipendenze al loro interno.

Tenendo presente che una persona che soffre, lo fa sempre in seno a una famiglia.

Vogliamo anche porre sotto la cura della Madre di Dio le vocazioni al matrimonio, alla vita consacrata, al sacerdozio.

Questo deve essere un anno per rivalorizzare il dono di un Santuario mariano nell’arcidiocesi: la Chiesa matrice, oggi cattedrale e basilica in onore di Nostra Signora del Rosario.

Vogliamo invitare tutte le parrocchie, scuole e istituzioni a pellegrinare al Santuario, dove si sperimentano l’amore della Madre, la vicinanza di Cristo e la misericordia del Padre, attraverso il sacramento della Riconciliazione e le indulgenze.

(Videomessaggio all’arcidiocesi argentina di Rosario in occasione dell’anno mariano arcidiocesano)

Sabato 10

Un rosario
sacerdotale

La preghiera perseverante dà i suoi frutti... È anche importate invocare la mediazione della Chiesa, perciò non smettete di chiedere le preghiere dei vostri pastori e dei fedeli, affinché Dio vi conceda perseveranza nel cammino del bene.

Parlando dei formandi, ci sono due tentazioni: quella di concentrarsi sulle cose brutte, tenendo conto solo delle esperienze negative, e quella di cercare di presentare un mondo idilliaco e irreale.

Per questo mi è sembrato interessante un libretto di un vescovo santo della vostra terra, san Manuel González, che sgrana in un rosario sacerdotale le cose belle e quelle brutte, facendone una preghiera.

Quando sarete sacerdoti, il vostro primo obbligo sarà una vita di preghiera che nasca dal ringraziamento per questo amore che Dio vi ha dimostrato chiamandovi al suo servizio.

Questo è il primo mistero gaudioso dal quale tutto nasce.

In questa fase di formazione, vi farebbe bene se nella preghiera poteste fare un confronto con gli atteggiamenti della Vergine, chiedendovi: Come stava quando Dio l’ha chiamata? E io, come stavo? Con quale zelo prospetto la vita sacerdotale?

Mi leverò — dice san Manuel — come una bolla in una pentola bollente di amore, per portare Dio fin sulle montagne, a quel che più arduo e doloroso?

Il sacerdote «non è un dominatore delle anime con l’argento e l’oro... la sua ricchezza... è solo Gesù», ciò vuol dire renderlo presente nell’Eucaristia, nei sacramenti, nella parola; essere suo strumento.

Per questo ci offriamo, come Gesù, nel tempio, come vittime, per la redenzione del mondo.

Nell’ultimo mistero gaudioso c’è un’idea importante per la vostra vita: Gesù perso nel tempio; quel Gesù che devo sempre tornare a cercare nel tabernacolo.

Un cammino
di abbandono

Perdetevi lì con Lui, mentre attendete i vostri fedeli: «il buon sacerdote sa che, finché gli restano occhi per piangere, mani con cui mortificarsi e corpo da affliggere, non ha diritto a dire che ha fatto tutto ciò che doveva per le anime che gli sono state affidate».

Questa dedizione prefigura quello che potete meditare nei misteri dolorosi.

Dio chiede sacrificio del cuore, rinunciando alla nostra volontà, come nel Getsemani; sacrificio della sensibilità, nell’ascesi che contempliamo nella flagellazione; sacrificio dell’onore, tanto spagnolo, pensando — come cantate nell’inno di Quaresima — che cercare l’alloro della nobiltà, del titolo accademico, dell’elogio mondano ci allontana da Dio, e bisogna piuttosto aspirare alle corone di spine.

In questo consiste il sacrificio di accettare la croce e di cominciare un cammino, molte volte di abbandono.

Guardando la croce, vediamo il nostro destino. Vi sembra difficile? Non lo è, bastano cose semplici: il letto duro, la stanza stretta, la tavola scarsa e povera, le notti al capezzale degli agonizzanti, alzarsi presto al mattino per aprire la chiesa prima dei bar, e aspettare, accompagnando Gesù solo, i peccatori e i feriti nel cammino della vita.

Arriviamo ai misteri gloriosi, che sono la nostra azione di rendimento di grazie.

Dopo il trionfo della resurrezione, Gesù nel santuario del cielo, seduto alla destra del Padre, chiama alla speranza e riempie di gioia, perché ci assicura il paradiso.

A tal fine Dio invia lo Spirito Santo, l’unico che può insegnarci questi misteri, e darà a voi il dono di essere sacerdoti.

Non smettete mai di assaporare e rievocare questo amore di predilezione che si riverserà nel vostro cuore, nella vostra ordinazione e nel resto dei vostri giorni.

Non spegnete mai quel fuoco che vi renderà intrepidi predicatori del Vangelo, dispensatori dei tesori divini.

Unite la vostra carne a quella di Gesù, come Maria, per immolarvi con Lui nel sacrificio eucaristico, e nel suo trionfo.

Prendete il rosario e chiedete a Maria di aiutarvi a scoprire i misteri del sacerdozio a cui Dio vi chiama, accettando che la gioia della sequela e la perfetta identificazione sulla croce sono l’unico cammino.

(Alla comunità del seminario spagnolo
di Barcellona)

Una missione
di servizio
alla gente

Esprimo apprezzamento per ciò che rappresentate e per quello che fate sia nel quotidiano sia nelle grandi emergenze.

La più recente è l’alluvione di Ischia; ma tutti conosciamo i numerosi e interventi in soccorso dei terremotati.

Anch’io ho potuto constatare, in occasione di alcune visite in Italia, il bene che avete fatto alla gente e al patrimonio ambientale e storico-artistico.

Il vostro lavoro è volto a garantire condizioni di sicurezza e di tranquillità alla vita civile; e a intervenire [per] porre i cittadini al riparo da calamità o pericoli.

Altruismo
e disponibilità
al sacrificio

Il vostro senso di dedizione, la prontezza, l’altruismo, l’audacia, la disponibilità al sacrificio fino a rischiare la vita sono noti e la gente ne va giustamente fiera.

In situazioni di grave pericolo, rischiate la vostra stessa incolumità.

Nella prospettiva cristiana, questo particolare lavoro trova riscontro nella parabola del buon Samaritano.

Quest’uomo dimostra carità e disponibilità assistendo il malcapitato nel momento del massimo bisogno... quando tanti altri hanno girato lo sguardo.

Il Samaritano insegna anche ad andare oltre l’emergenza, a predisporre le condizioni per un ritorno alla normalità.

Egli dopo il primo soccorso porta il ferito in un albergo perché possa ristabilirsi.

Questo è lo stile di Dio: vicinanza con compassione e tenerezza. La fraternità è la risposta per costruire una società migliore, perché l’estraneo che incontro ferito lungo la strada è mio fratello.

E voi rappresentate una delle espressioni più belle della lunga tradizione di solidarietà del popolo italiano.

Custodite questo patrimonio morale e civile, coltivandolo nel vostro stile di vita personale.

La vostra è una di quelle professioni che hanno il carattere di una missione: missione di servizio alla gente nei momenti di bisogno, alla dignità delle persone che nella difficoltà non vanno mai abbandonate, al bene comune della società che, nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, necessita di forze sane, affidabili.

Il Natale è la festa che più di ogni altra riassume il valore che ho riproposto: vicinanza, compassione, tenerezza; solidarietà, servizio, fratellanza.

Tutto questo ci è stato rivelato non scritto in un codice. Questa è la novità cristiana: Dio è venuto facendosi come noi.

[Come] fate voi: è venuto a soccorrerci nel pericolo e lo ha fatto nella maniera più radicale, sapendo di dover dare la vita.

Possa il Natale essere occasione perché tutti sperimentino quanto Dio ami ogni essere umano!

A volte mi viene da augurarvi: “Signore, che non abbiano lavoro, che non ci sia necessità di andare!”.

La Vergine Maria, che va “in fretta” dalla cugina Elisabetta per aiutarla sia vostro modello.

(Ai Vigili del fuoco italiani)

Lunedì 12

La fragilità
è una risorsa

Sono grato a voi, venuti a condividere preoccupazioni e progetti in occasione della ricorrenza liturgica di Santa Lucia — che è domani, e domani è anche l’anniversario della mia ordinazione sacerdotale —, patrona delle persone affette da disabilità o malattie della vista.

Questa scelta esprime un senso religioso tradizionale che appartiene al popolo italiano.

La martire siracusana ricorda col suo esempio che la più alta dignità della persona consiste nel dare testimonianza alla verità, seguendo la coscienza costi quello che costi, senza doppiezze e compromessi.

Questo significa stare dalla parte della luce, servire la luce, come evoca il nome “Lucia”.

Essere persone limpide, trasparenti, sincere; comunicare con gli altri in modo aperto, chiaro, rispettoso.

Così si contribuisce a diffondere luce negli ambienti in cui si vive, a renderli più umani, più vivibili.

Vi vedo come una forza costruttiva nella società italiana, che sta attraversando un momento non facile.

Di solito si associa alla disabilità l’idea del bisogno, dell’assistenza e, a volte di un certo pietismo.

Il Papa e la Chiesa non vi guardano così. Il punto di vista dei cristiani sulla disabilità non deve più essere il pietismo e il mero assistenzialismo, ma la consapevolezza che la fragilità, assunta con responsabilità e solidarietà, è una risorsa.

Le persone non vedenti e ipovedenti sono in prima linea per costruire comunità inclusive, dove ciascuno possa partecipare senza vergognarsi dei propri limiti, cooperando con gli altri per completarsi e sostenersi a vicenda.

Tutti abbiamo bisogno uno dell’altro, non solo le persone con problemi di fragilità fisiche, ma anche noi abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri per andare avanti nella vita, perché tutti siamo deboli.

Tutelando i diritti delle persone con disabilità visiva avete cooperato alla crescita civile del Paese.

Vi incoraggio ad andare avanti come una forza che trasmette fiducia.

La società italiana ha bisogno di speranza, e questa viene soprattutto dalla testimonianza di persone che, nella propria condizione di fragilità, non si chiudono, non si piangono addosso, ma si impegnano insieme agli altri per migliorare le cose.

(All’Unione italiana ciechi e ipovedenti)

Perseverare
sulla via
del dialogo

Desidero evocare uno dei vostri fondatori, Jules Isaac, che ha svolto un ruolo di primo piano nel riavvicinamento tra ebrei e cristiani, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.

Egli partecipò alla Conferenza di che concluse i suoi lavori con i famosi “dieci punti di Seelisberg”, alcuni dei quali sono stati ripresi dalla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate.

Ricevuto in udienza dai Papi Pio xii e Giovanni xxiii, Jules Isaac aveva auspicato la stesura di quel testo profetico.

Un testo che conserva tutta la sua attualità e che richiama il «grande patrimonio spirituale comune ai cristiani e agli ebrei», volendo «incoraggiare e raccomandare la conoscenza e la stima reciproca, che nascono dagli studi biblici e teologici, come pure dal dialogo fraterno».

L’Amitié Judéo-Chrétienne de France si è decisamente e attivamente impegnata su questa strada per aiutare ebrei e cristiani a crescere nella comprensione, nel rispetto e nell’amicizia.

Questo lavoro che svolgete instancabilmente da settant’anni ha contribuito a riscoprirsi fratelli, figli di uno stesso Padre.

Il cammino percorso insieme è considerevole, dato il peso dei pregiudizi reciproci e della storia talvolta dolorosa.

Incoraggio a perseverare in questa via del dialogo, della fraternità e delle iniziative comuni.

Perché questa bella opera è fragile, sempre da riprendere e consolidare, soprattutto in questi tempi ostili in cui gli atteggiamenti di chiusura e di rifiuto dell’altro si fanno più numerosi, anche con la preoccupante ricomparsa dell’antisemitismo, in particolare in Europa, come delle violenze contro i cristiani.

(Ai membri dell’«Amitié Judéo-Chrétienne de France»)

Mercoledì 14

Rimanere
vigilanti
per custodire
le porte
del cuore

Nella fase finale di questo percorso di catechesi sul discernimento, siamo giunti alla conferma della scelta fatta. Ritengo necessario inserire a questo punto un atteggiamento essenziale affinché il lavoro fatto per discernere e prendere la buona decisione non vada perduto.

Questo sarebbe l’atteggiamento della vigilanza. Perché il rischio c’è, ed è che il “guastafeste”, cioè il Maligno, possa rovinare tutto, facendoci tornare al punto di partenza, anzi, in una condizione ancora peggiore.

Per questo bisogna stare attenti e è indispensabile essere vigilanti, perché il processo di discernimento vada a buon fine.

Nella sua predicazione Gesù insiste molto sul fatto che il buon discepolo non si addormenta, non si lascia prendere da eccessiva sicurezza quando le cose vanno bene, ma rimane attento e pronto.

Vigilare per custodire il nostro cuore e capire cosa succede dentro.

Si tratta della disposizione d’animo dei cristiani che aspettano la venuta finale del Signore.

Ma si può intendere anche come l’atteggiamento ordinario da tenere nella condotta di vita, in modo che le buone scelte, compiute a volte dopo un impegnativo discernimento, possano proseguire in maniera coerente e portare frutto.

Se manca la vigilanza, è molto forte il rischio che tutto vada perduto.

Non si tratta di un pericolo di ordine psicologico, ma di ordine spirituale, una vera insidia dello spirito cattivo.

Questo, infatti, aspetta proprio il momento in cui noi siamo troppo sicuri di noi stessi, quando le cose vanno “a gonfie vele” e abbiamo “il vento in poppa”.

Nella piccola parabola evangelica che abbiamo ascoltato, si dice che lo spirito impuro, quando ritorna nella casa da cui era uscito, «la trova vuota, spazzata e adorna» (Mt 12, 44).

Tutto è a posto, tutto è in ordine, ma il padrone dov’è? Non c’è. Non c’è nessuno che la custodisca.

È questo è il problema. Il padrone di casa è uscito, si è distratto, oppure addormentato, e dunque è come se non si fosse.

Non è vigilante, non è attento, perché è troppo sicuro di sé e ha perso l’umiltà di custodire il proprio cuore.

Dobbiamo custodire sempre la nostra casa, il nostro cuore e non essere distratti... perché qui è il problema.

Lo spirito cattivo può approfittarne e ritornare in quella casa. Dice il Vangelo che però non ci torna da solo, ma insieme ad altri «sette spiriti peggiori di lui».

Una compagnia di malaffare, una banda di delinquenti. Ma com’è possibile? Come mai il padrone non se ne accorge? Non era stato così bravo a fare il discernimento e a cacciarli via? Non aveva avuto anche i complimenti di amici e vicini per quella casa così bella, elegante, ordinata e pulita?

La venuta
dello Sposo

Già, ma forse proprio per questo si era innamorato troppo della casa, cioè di sé stesso, e aveva smesso di aspettare il Signore, di attendere la venuta dello Sposo; forse per paura di rovinare quell’ordine non accoglieva più nessuno, non invitava i poveri, i senza tetto, quelli che disturbano.

Una cosa è certa: qui c’è di mezzo il cattivo orgoglio, la presunzione di essere giusti, di essere bravi, di essere a posto.

Tante volte sentiamo dire: “Sì, io ero cattivo prima, mi sono convertito e adesso la casa è in ordine grazie a Dio”.

Quando confidiamo troppo in noi stessi e non nella grazia di Dio, il Maligno trova la porta aperta.

Allora organizza la spedizione e prende possesso di quella casa.

Ma il padrone non se ne accorge, perché questi sono i demoni educati: bussano alla porta, sono cortesi... e poi alla fine comandano nella tua anima.

State attenti a questi diavoletti, a questi demoni: il diavolo è educato, quando fa finta di essere un gran signore.

Demoni
travestiti
da angeli

Occorre custodire la casa da questo inganno dei demoni educati. E la mondanità spirituale va per questa strada.

Sembra impossibile ma è così. Tante volte perdiamo nelle battaglie, per questa mancanza di vigilanza.

Il Signore ha dato tante grazie e alla fine non siamo capaci di perseverare in questa grazia e perdiamo tutto, perché ci manca la vigilanza.

Siamo stati ingannati da qualcuno che viene, educato, e si mette dentro.

Il diavolo ha queste cose. Ciascuno può anche verificarlo ripensando alla propria storia personale.

Non basta fare un buon discernimento e compiere una buona scelta.

Non basta: bisogna rimanere vigilanti, custodire questa grazia, perché tu puoi dirmi: “Ma quando io vedo qualche disordine, me ne accorgo subito che è una tentazione…” sì, ma questa volta viene travestita da angelo.

Il demonio sa travestirsi da angelo, entra con parole cortesi, e ti convince e alla fine è la cosa peggiore dall’inizio.

Che cosa
sta succedendo
nel cuore

Se io domandassi oggi a ognuno di noi e anche a me stesso: “cosa sta succedendo nel tuo cuore?” Forse non sapremo dire tutto: diremo una o due cose, non tutto.

Vigilare il cuore, perché la vigilanza è segno di saggezza, è segno soprattutto di umiltà, perché abbiamo paura di cadere e l’umiltà che è la via maestra della vita cristiana.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )