Tra le ferite della guerra
a Izyum

 Tra le ferite della guerra a Izyum  QUO-284
13 dicembre 2022

La bustina di un medicinale in polvere giace, aperta, a fianco a un bicchiere d’acqua sul tavolo di un appartamento alla periferia di Izyum. È uno dei pochi oggetti rimasti intatti in un edificio di Via Pershotravneva. Tutto intorno la devastazione: mocassini volati fino al parco giochi antistante, giocattoli a brandelli, mobili spezzati, fotografie di matrimoni che sorgono dalle macerie. Ci si chiede a chi sia appartenuta questa roba e se l’uomo o la donna che aveva aperto la medicina abbia fatto in tempo ad ingerirla prima che un razzo, i primi giorni di maggio, spaccasse letteralmente a metà il palazzone, ora ridotto a due monconi. In mezzo raccontano che siano morte 51 persone, tra cui due bambini: uno del 2016, l’altro del 2019.

Se la brutalità della guerra in Ucraina ha un nome, quello è Izyum. Da inizio marzo fino alla liberazione del 10 settembre, la cittadina sul fiume Donets, dove la temperatura scende anche di quattro gradi sotto lo zero, è stata teatro di uccisioni, bombardamenti, torture e deportazioni. E dello svuotamento della metà della popolazione pari prima a 51.000 abitanti, ora 25.000. «È un concentrato di crimini di guerra sui quali sono in corso approfondimenti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani», chiariscono le autorità militari e civili al gruppo di giornalisti in missione con le Ambasciate di Polonia e Ucraina presso la Santa Sede.

Contrariamente a Kharkiv, distante solo due ore, dove è stato quasi del tutto rimesso in piedi il grande mercato fatto esplodere a metà marzo, Izyum mostra ancora le ferite della guerra, tra palazzi anneriti e sventrati, case di cui sono rimaste solo le facciate, chiazze di sangue sui marciapiedi e voragini nelle piazze centrali.

Spostandosi al centro, il male della guerra prende la forma della centrale di polizia dismessa. L’edificio, raccontano le autorità di Izyum, era rimasto agibile e i soldati russi se ne sono appropriati durante l’occupazione. Sui muri esterni si vedono scritte in cirillico e casseforti usate come barricate, con mattoni e sacchi di sabbia. L’interno è così buio da annebbiare ognuno dei cinque sensi, tranne l’olfatto, insidiato da un forte odore di fogna, muffa e fumo ristagnato. Percorrendo il corridoio centrale, mentre sotto gli scarponi si schiacciano vetri e pacchi di Marlboro, si arriva ai sotterranei. «Qui – spiega il capo della polizia locale, Dmytro Hranchak – tenevano i prigionieri». Undici stanze con porte di ferro arrugginite; 15 mq in cui venivano rinchiuse sette o otto persone per stanza a dividere due letti e usare il lavandino come wc. Erano tutti civili ma anche prigionieri militari, dice il prosecutor della War Crimes, Mykola Pemenziev: «Ci sono prove di sei donne stuprate». Più in fondo una camera ha i muri rivestiti da cartoni di uova. Servivano a insonorizzare le urla delle vittime di «katuvannya», esclamano le guide. «Torture» che, raccontano, venivano fatte per ottenere informazioni.

I corpi senza vita, insieme a quelli delle vittime di bombardamenti e azioni militari, sono stati trasportati a 14 minuti fuori da Izyum, nella Shakespeare Street dove sorge il cimitero cittadino. Dalla fanghiglia si ergono croci di legno, cattoliche e ortodosse. Fino a settembre sotto quei fossi erano seppelliti 447 cadaveri: 425 civili, 22 soldati. Ora il terreno è stato sminato e i corpi rimossi. Girando si notano bare aperte, nomi incisi, immaginette e qualche foto. Alcune croci riportano invece solo numeri: 369, 125… Sono le salme non identificate, in alcuni casi perché troppo sfigurate, spiegano i militari.

Durante il viaggio di ritorno in pullman, nessuno riesce a proferire parola. Ci vuole tempo per metabolizzare i fotogrammi appena visti. Forse parole non ce ne sono, ma solo lacrime, come quelle del Papa ai piedi dell’Immacolata. O forse le uniche parole sono quelle di un’anziana signora che vedendo macchine fotografie e smartphone, ha detto ai giornalisti: «Raccontatelo a tutti: la guerra fa schifo».

di Salvatore Cernuzio