L’impegno di suor Wamuyu per una risoluzione pacifica dei conflitti in Kenya

Insegnare le strade
della non violenza

 Insegnare le strade della non violenza  QUO-284
13 dicembre 2022

Suor Wamuyu Teresia Wachira fa parte dell’Istituto della Beata Vergine Maria, più comunemente noto con il nome di suore di Santa Maria di Loreto: si tratta di una congregazione di religiose che si dedicano all’istruzione, fondata dall’inglese Mary Ward nel 1609. Suor Wamuyu è laureata ed è una donna dai molti primati: nella sua patria, il Kenya, ha una lunga storia di promozione di una cultura di pace e di soluzione non violenta dei conflitti. Il suo attivismo in favore delle bambine e delle donne kenyote è noto già dal 1991. Docente a capo del programma di studi per la pace e i conflitti presso la Saint Paul’s University di Nairobi — un’istituzione cristiana ecumenica — e co-presidente di Pax Christi International, suor Wamuyu accetta volentieri inviti a conferenze in tutto il mondo.

Da un’intervista rilasciata ai media vaticani traspare, profonda e palpabile, la sua passione per la trasmissione agli studenti africani di competenze in merito alla risoluzione pacifica dei conflitti. La religiosa spiega così il programma che lei stessa guida alla Saint Paul’s University: «Insegniamo strade non violente per creare la pace. Parte di quello che insegniamo è giornalismo di pace: abbiamo notato, infatti, che a volte sono i media che contribuiscono all’escalation nelle situazioni di conflitto. Questo accade quando i giornalisti si schierano e creano ulteriore conflitto a cause delle loro parole, di come comunicano o collocano il loro messaggio. Per esempio, se si racconta di due parti in conflitto, non è necessario demonizzare una delle due. I media dovrebbero considerarle entrambe e cercare una via per farle incontrare. In questo modo le comunità possono essere aiutate ad arrivare a una condizione in cui sono pronte per una mediazione. Ecco: la mediazione per noi è un fattore importante. È un elemento chiave nella nostra formazione universitaria». E continua: «I media dovrebbero aiutare la gente a vedere quello che vede l’altra parte. Soprattutto in Africa devono essere strumenti di riconciliazione e costruttori di ponti, non prendere le parti dell’uno o dell’altro. Molti conflitti, soprattutto in campagna elettorale, nascono per il modo in cui i media presentano una determinata faccenda».

Suor Wamuyu è anche convinta del fatto che gli africani abbiano bisogno di riscoprire e accogliere i modi tradizionali locali di risolvere i conflitti. La società africana tradizionale — spiega — conosceva metodi collaudati nel tempo per la gestione pacifica dei conflitti, definiti come “mediazione alternativa”: «In caso di conflitto, gli anziani si riunivano ascoltando le due parti e, attraverso l’ascolto e il dialogo, trovavano un terreno comune. La mediazione tradizionale dà la priorità all’armonia e alla costruzione di comunità. Dobbiamo portare avanti questi valori e tramandarli agli studenti», sottolinea la religiosa, aggiungendo: «Non è solo una questione di consenso. Si tratta anche di mettersi nei panni dell’altro e di sentire quello che sente l’altro».

Suor Wamuyu afferma inoltre che i giovani sanno istintivamente cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma hanno bisogno di porsi davanti alle sfide, in particolare per quanto riguarda l’uso dannoso e tossico dei social media: «Spesso vado a vedere cosa postano i nostri giovani studenti su internet, sui blog e sui social media. A volte li provoco: “Non pensate che possa esserci un altro modo di dire quello che volete dire senza usare questo linguaggio d’odio? Perché pensate che sia necessario sminuire l’altro? Come vi sentireste se foste voi dall’altra parte?”. Credo che quando ci si avvia su questo cammino, si inizia anche a cambiare l’impostazione mentale. Ricordiamo sempre che i giovani la conoscono, la verità. I giovani sono molto creativi e, attraverso l’arte e la musica, stanno già facendo opera di costruzione di pace. Non è che stiamo insegnando loro qualcosa di completamente nuovo», afferma la religiosa. «Ai miei ragazzi dico sempre che non conta quello che sta succedendo là fuori: vai, fai la differenza e comincia da te stesso». Eppure, secondo suor Wamuyu, dovrebbero essere gli adulti i primi esempi di costruttori di pace. «Se vogliamo insegnare ai giovani a essere pacifici dobbiamo chiederci: ma noi, siamo adulti pacifici? Come comunicano tra di loro i genitori, il marito e la moglie, quando non sono d’accordo?».

E riguardo ai conflitti etnici e tribali, endemici in Africa? Secondo la religiosa, i conflitti etnici sono perpetuati da politici senza scrupoli che armano le tribù considerandole un mezzo per ottenere potere politico, a beneficio proprio o della famiglia e degli amici. «Sono gli uomini che vogliono il potere. Tutto questo gran parlare della mia gente serve solo a mettere un uomo solo in una posizione di potere».

Suor Wamuyu sostiene, inoltre, che non serva sempre sottolineare l’alterità delle persone, il loro essere “altro” da noi: «Siamo tutti uguali. In realtà, le diverse etnicità e tribù africane dovrebbero essere celebrate. Se Dio lo avesse voluto, ci avrebbe fatti in modo da essere uguali tra noi. Ma Dio vuole invece che noi apprezziamo le nostre differenze. Il fatto di apprezzare l’altro, però, non significa che si debba dare spazio al pensiero che la mia cultura sia migliore o superiore. Ci saranno sempre cose buone che si possono prendere in prestito dalla cultura dell’altro. Il punto è che dovremmo riconoscere che siamo fiori diversi che crescono nello stesso giardino. L’Africa è un grande puzzle e quando si compone tutto insieme è davvero bellissimo. Ogni singolo tassello è diverso, ma è parte di un insieme», conclude.

di Paul Samasumo


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