L’Europa e la guerra
L’intervento del segretario di stato cardinale Pietro Parolin

Dallo spirito di Helsinki
alle prospettive di pace

TOPSHOT - Local residents attend an aid supply distribution in the centre of Kherson on November 17, ...
13 dicembre 2022

La guerra scoppiata nel cuore dell’Europa con l’aggressione della Russia all’Ucraina continua senza sosta con pesantissime conseguenze per la popolazione del Paese aggredito che affronta l’inverno sotto i bombardamenti non potendo più contare su tante infrastrutture distrutte. Se da una parte si fatica a vedere possibili vie d’uscita, dall’altra ci si domanda se e come riprendere la via del negoziato per avviare un processo che porti a una pace giusta. Nei mesi scorsi sia il presidente della Repubblica italiana che Papa Francesco hanno citato la Conferenza internazionale di Helsinki e i suoi principi che contribuirono alla distensione in Europa codificando dei punti fermi sul dovere di rispettare i confini degli Stati e di risolvere le controversie con la diplomazia. I molti cambiamenti avvenuti da allora rendono difficile il replicare iniziative simili, ma Helsinki rimane un riferimento e un valore, proprio a partire dallo spirito che animò la Conferenza, al quale non a caso oggi si riferisce chi cerca soluzioni di pace. Per  interrogarsi su quali siano le vie concrete e percorribili per ridare spazio al dialogo, tenendo anche presente l’importanza di costruire un nuovo e più giusto sistema di relazioni internazionali, l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, in collaborazione con la rivista di geopolitica Limes e i media vaticani (L’Osservatore Romano e Radio Vaticana-Vatican News), ha organizzato l’incontro “L’Europa e la guerra. Dallo spirito di Helsinki alle prospettive di pace”, tenutosi oggi, 13 dicembre a palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata.


Saluto tutti cordialmente ed esprimo gratitudine per questa iniziativa promossa dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, in collaborazione con i media vaticani e la rivista Limes.

Durante l’Angelus del 2 ottobre scorso, il Santo Padre Francesco affermava: «Dopo sette mesi di ostilità, si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé stessa è un errore e un orrore!».

Più di due mesi sono passati da allora e, giunti ormai al nono mese, ancora assistiamo agli “errori” e agli “orrori” della guerra in Ucraina, che ha avuto inizio con l’aggressione perpetrata dall’esercito della Federazione Russa.

Di fronte alle immagini che ogni giorno ormai dal 24 febbraio scorso ci vengono proposte, c’è il rischio dell’assuefazione. Finiamo quasi per non fare più caso alle notizie della pioggia di missili distruttivi — le armi intelligenti non esistono — dei tanti morti civili, dei bambini rimasti sotto le macerie, dei soldati uccisi, degli sfollati, di un Paese disastrato dalle città semidistrutte e senza energia elettrica, dell’ambiente devastato. Le lacrime del Papa in preghiera ai piedi dell’Immacolata in piazza di Spagna l’8 dicembre scorso sono un antidoto potente contro il rischio dell’abitudine e quindi dell’indifferenza. E qui desidero ripetere il suo appello affinché si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora inutilizzati, per arrivare a un cessate il fuoco e a una pace giusta.

Nelle ultime settimane abbiamo registrato qualche spiraglio per una possibile riapertura del negoziato, ma anche chiusure e l’acuirsi dei bombardamenti. Terrorizza il fatto che si sia tornati a parlare dell’uso di ordigni nucleari e di guerra atomica come eventualità possibili. Preoccupa che in diversi Paesi del mondo si sia accelerata la corsa al riarmo, con ingenti investimenti di denaro che potrebbe essere impiegato per combattere la fame, creare lavoro, assicurare cure mediche adeguate a milioni di persone che non ne hanno mai avute.

Cari amici, non possiamo non domandarci se stiamo veramente facendo di tutto, tutto il possibile, per porre fine a questa tragedia!

Nell’Angelus del 2 ottobre il Papa si è rivolto direttamente al presidente della Federazione Russa e al presidente dell’Ucraina, supplicando il primo di fermare questa spirale di violenza e di morte, e appellandosi al secondo affinché sia aperto a serie proposte di pace. Ma nelle parole di Francesco c’era anche un altro preciso invito, che mi pare non sia stato colto con la l’adeguata attenzione: è l’invito rivolto a tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni perché facciano tutto il possibile per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo.

Lo spunto per l’incontro di oggi ci viene anche offerto dalle parole che in questi mesi sia il presidente della Repubblica italiana, sia il Santo Padre hanno dedicato alla Conferenza di Helsinki: un evento particolarmente significativo per la storia mondiale, per l’Europa e anche per la Santa Sede, che per la prima volta dai tempi del Congresso di Vienna tornò a prendere parte a una conferenza internazionale portando il suo contributo per il dialogo, la comprensione reciproca, la pace e la giustizia internazionale.

Come abbiamo ascoltato anche poco fa, oggi non ci sono le condizioni perché si ripeta quanto accaduto a Helsinki. Ma ci sono le condizioni — e se non ci sono dobbiamo lavorare affinché si realizzino — per far rivivere lo spirito di Helsinki adoperandoci con creatività. Abbiamo bisogno di affrontare questa crisi, questa guerra e le tante guerre dimenticate, con strumenti nuovi. Non possiamo leggere il presente e immaginare il futuro soltanto sulla base dei vecchi schemi, delle vecchie alleanze militari o delle colonizzazioni ideologiche ed economiche.

Abbiamo bisogno di immaginare e di costruire un nuovo concetto di pace e di solidarietà internazionale, ricordandoci che tanti Paesi e tanti popoli chiedono di essere ascoltati e rappresentati. Abbiamo bisogno di realizzare nuove regole per i rapporti internazionali, che oggi ci appaiono — passatemi l’espressione — molto più “liquidi”, e dunque inconsistenti, rispetto al passato. Abbiamo bisogno di coraggio, di scommettere sulla pace e non sull’ineluttabilità della guerra; sul dialogo e sulla cooperazione, e non sulle minacce e sulle divisioni. Abbiamo bisogno di una de-escalation militare e verbale, per ritrovare il volto dell’altro, perché ogni guerra — diceva il venerabile monsignor Tonino Bello — trova la sua «radice nella dissolvenza dei volti».

Perché dunque non tornare a rileggere ciò che è scaturito dalla Conferenza di Helsinki, così da riprendere alcuni dei suoi frutti e metterli a tema in una forma nuova? Perché non lavorare insieme per realizzare una nuova grande conferenza europea dedicata alla pace? Possiamo domandarci: l’Europa crede ancora nelle regole che essa stessa si è data dopo la seconda guerra mondiale grazie alla lungimiranza dei suoi Padri fondatori?

La Conferenza di Helsinki, con le sue importanti acquisizioni, vide la proposizione di molte idee provenienti da movimenti pacifisti. Non mi è certo ignoto il rischio ideologico presente in talune posizioni di allora e di oggi, così come il fatto che negli anni Settanta tale coinvolgimento avvenne secondo una modalità talvolta caotica e disorganizzata. Proprio per questo, mi permetto di suggerire la necessità di un maggiore coinvolgimento, organizzato e preordinato, della società civile europea, dei movimenti per la pace, delle think-tank e delle organizzazioni che a tutti i livelli operano per educare alla pace e al dialogo.

Non releghiamo il desiderio di pace che alberga nel cuore dei nostri popoli nella soffitta dei sogni irrealizzabili! Abbiamo il dovere di prenderlo sul serio e di trovare vie percorribili per concretizzarlo, senza rifugiarci nella giustificazione dell’ineluttabilità della guerra. Non releghiamo nel regno dell’utopia il sogno di tanti giovani. Non riduciamo a conflitto ideologico o partitico il desiderio di impegnarsi per la pace e la volontà di costruirla, che albergano in tanti nostri giovani.

Questo coinvolgimento, cioè l’inclusione dei movimenti pacifisti nel lavoro di elaborazione di formule da proporre agli Stati per una nuova Helsinki, potrebbe contribuire a rinfrescare e ringiovanire quei concetti di pace e solidarietà che vengono richiamati, a volte “a gettone” e secondo le convenienze, ma dei quali oggi pochi sembrano prendersi effettivamente cura. Guardiamo perciò alla storia per imparare dalle sue lezioni, ma cerchiamo al tempo stesso di non leggere la realtà odierna con gli schemi del passato. Servono impegni e strumenti nuovi, bisogna osare di più e impegnarsi di più.

Nel 1963, san Giovanni xxiii scriveva nell’enciclica Pacem in terris: «Giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci». Purtroppo abbiamo visto nelle scorse settimane quanto sia concreta la possibilità di scivolare nel baratro del conflitto nucleare, anche a motivo di un errore umano. Il disarmo è l’unica risposta adeguata e risolutiva se vogliamo costruire un futuro di pace.

Cerchiamo, insieme, di muovere qualche passo concreto in questa direzione. Non restiamo sordi al grido dei popoli che chiedono pace, non guerra; pane, non armi; cure, non aggressione; giustizia, non sfruttamento economico; energie pulite e rinnovabili per lo sviluppo, non energia atomica per ordigni distruttivi che negano le possibilità di futuro per la nostra casa comune.

Abbiamo bisogno del contributo di tutti, e specialmente di quello dei giovani, per non farci ripiegare su noi stessi, per non essere sordi al grido di pace che si leva da tante parti.

Consentitemi ora una lunga citazione tratta dall’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco: «Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale… La Carta delle Nazioni Unite, rispettata e applicata con trasparenza e sincerità, è un punto di riferimento obbligatorio di giustizia e un veicolo di pace. Ma ciò esige di non mascherare intenzioni illegittime e di non porre gli interessi particolari di un Paese o di un gruppo al di sopra del bene comune mondiale. Se la norma viene considerata uno strumento a cui ricorrere quando risulta favorevole e da eludere quando non lo è, si scatenano forze incontrollabili che danneggiano gravemente le società, i più deboli, la fraternità, l’ambiente e i beni culturali, con perdite irrecuperabili per la comunità globale».

Tutte le guerre negli ultimi decenni hanno preteso di avere una giustificazione, ha scritto ancora il Santo Padre in questa enciclica. Nessuno nega il diritto a difendersi se si viene attaccati, come sancisce pure il Catechismo della Chiesa cattolica stabilendo alcune rigorose condizioni di legittimità morale per la guerra difensiva. Non possiamo però nasconderci che lo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, unite alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, impensabili fino a pochi decenni fa, hanno dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce purtroppo molti civili innocenti. 

Anche se l’esperienza di Helsinki appare oggi irripetibile nelle sue caratteristiche e peculiarità, cerchiamo di recuperare lo “spirito di Helsinki”, torniamo a rileggere la Dichiarazione sui principi che guidano le relazioni tra gli Stati partecipanti che venne inserita nell’Atto finale, un decalogo che prevedeva: eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; non ricorso alla minaccia o all’uso della forza; inviolabilità delle frontiere; integrità territoriale degli Stati; risoluzione pacifica delle controversie; non intervento negli affari interni; rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo; eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli; cooperazione fra gli Stati; adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale.

Ciascuno di noi, sentendo rileggere questo “decalogo”, avrà già calcolato quante volte questi principi sono stati violati. Ma siamo ancora in tempo! Cerchiamo dunque di percorrere nuove vie di pace a partire dall’Europa, senza escludere nessuno. Impieghiamo energie e risorse a promuovere il dialogo e il negoziato. Investiamo di più sulla pace ad ogni livello, a partire dall’educazione scolastica. Collaboriamo e sosteniamo quei leader che continuano a credere nella pace anche quando tutto sembra oscurarsi ed essere inghiottito dal demone satanico della guerra. L’Europa torni ad essere faro di una civiltà fondata sulla pace, sul diritto e sulla giustizia internazionale.

L’Italia, grazie alla sua storia e alle sue risorse umane, può svolgere un ruolo importante in questo nuovo percorso di dialogo e cooperazione. La Santa Sede è pronta a fare tutto il possibile per favorire questo percorso. Ci auguriamo di far rivivere lo spirito di Helsinki in modo rinnovato e adeguato alle situazioni del presente. Impegniamoci tutti a scrivere una pagina nuova della storia d’Europa e del mondo, per porre fine alla barbarie fratricida in corso in Ucraina. Impegniamoci tutti a costruire un nuovo sistema di relazioni internazionali nel quale non siano solo i potenti, o i prepotenti, a prendere le decisioni. Torniamo allo spirito di Helsinki per ritrovare la via della pace in Europa. E ripetiamo, con le parole pronunciate da san Paolo vi alle Nazioni Unite: «Jamais plus la guerre, jamais plus la guerre!... Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!».


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