Alla presenza del Pontefice la seconda predica di Avvento

La porta della speranza

 La porta della speranza  QUO-281
09 dicembre 2022

Dopo la venuta di Gesù «per il credente la morte non è più un atterraggio, ma un decollo!». Il messaggio rivoluzionario di speranza portato da Cristo con la sua incarnazione è stato rilanciato stamane dal cardinale Raniero Cantalamessa durante la seconda predica di Avvento tenuta nell’Aula Paolo vi alla presenza di Papa Francesco.

Il predicatore della Casa pontificia sta approfondendo quest’anno le virtù teologali, soffermandosi oggi sulla speranza. Per rendersi conto della novità assoluta recata da Cristo su questo tema — è stata la premessa del porporato cappuccino — occorre «collocare la rivelazione evangelica sullo sfondo delle credenze antiche sull’aldilà», a proposito delle quali l’Antico Testamento non aveva risposte. Soltanto «verso la fine si ha qualche affermazione. Prima — ha chiarito — la credenza d’Israele non differiva da quella dei popoli vicini. La morte pone fine per sempre alla vita; si finisce tutti, buoni e cattivi, in una specie di “fossa comune”». Israele però si «distingue» — ha aggiunto Cantalamessa — perché «ha continuato a credere nella bontà e nell’amore del suo Dio» e verso la fine dell’Antico Testamento giunge a maturazione il convincimento che la «sopravvivenza consiste nella risurrezione — corpo e anima — dalla morte (Dan 12, 2-3; 2 Macc 7, 9)». Però è soprattutto con Gesù che questa certezza, «dopo averla annunciata in parabole e detti», si realizza nella sua persona. In proposito il cardinale cappuccino ha citato la regina d’Inghilterra Elisabetta ii , che nel suo rito funebre ha voluto fosse proclamato il noto passo di Paolo ai Corinzi (1 Cor 15, 54-57), con la frase «Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?».

Il predicatore ha quindi osservato come manchino «le categorie necessarie per rappresentarci in cosa consista» la vita eterna con Dio; mentre ad «alcuni mistici è stato dato di sperimentare qualche goccia dell’oceano infinito di gioia che Dio tiene preparato per i suoi». Dopodiché, ha esortato alla riflessione sull’«oggi della nostra vita». E in proposito ha individuato «una cosa comune a tutti»: ovvero «l’anelito a vivere “bene”». Per Cantalamessa, infatti, «vivere “sempre” non si oppone al vivere “bene”. La speranza della vita eterna è ciò che rende bella, o accettabile, anche» quella «presente. Tutti abbiamo la nostra parte di croce. Ma una cosa è soffrire senza sapere a che scopo, e un’altra soffrire sapendo che “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura” (Rom 8, 18)». Da qui l’esortazione a rendere ragione della speranza teologale, la quale ha anche «un ruolo importante da svolgere nei confronti dell’evangelizzazione» e «nel cammino personale di santificazione» cristiana.

Riguardo al primo aspetto il cardinale ha preso spunto dalla constatazione che il «rapido diffondersi del cristianesimo» fu dovuto in origine all’annuncio «di una vita dopo la morte». Per tale motivo «oggi abbiamo bisogno di una rigenerazione della speranza, se vogliamo intraprendere una nuova evangelizzazione. Gli uomini vanno dove si respira aria di speranza e fuggono dove non» ne «avvertono la presenza». Essa «dà il coraggio ai giovani di formarsi una famiglia o di seguire una vocazione religiosa e sacerdotale, li tiene lontani da cedimenti alla disperazione». Con un vantaggio rispetto al passato: quello di non dover più difenderla «dagli attacchi esterni; possiamo quindi proclamarla, offrirla e irradiarla nel mondo», dopo che — ha detto a titolo di esempio — da oltre un secolo a questa parte essa è stata l’obiettivo della critica di gente come Feuerbach, Marx e Nietzsche. Ora, invece, «la situazione è cambiata» e la speranza non è più da giustificare «filosoficamente e teologicamente», ma da annunciare, mostrare e donare «a un mondo che sprofonda in un pessimismo e nichilismo che è il vero “buco nero” dell’universo». Da qui l’invito a «riprendere il moto di speranza avviato dal concilio» Vaticano ii , a «parlare di “gioia e speranza” (Gaudium et spes)» senza timore di sembrare ingenui.

In seconda battuta, inoltre, la speranza aiuta nel cammino personale di santificazione, ha detto ancora il predicatore, visto che «essa diviene il principio del progresso spirituale. Permette di scoprire nuove “possibilità di bene”. Non lascia che ci si adagi nella tiepidezza e nell’accidia. E anche quando la situazione dovesse diventare dura, tale da sembrare che non c’è nulla da fare, ecco che la speranza addita ancora un compito: sopportare non perdere la pazienza, unendoti a Cristo sulla croce». Di conseguenza, ha concluso, «il Natale può essere l’occasione per un sussulto di speranza» alla scuola di due grandi poeti delle virtù teologali: Charles Péguy, il quale ha descritto fede, speranza e carità come tre sorelle, due grandi e una piccina, di cui si pensa che sono le prime due a trascinare la terza, sbagliando «perché se viene a mancare la speranza, tutto si ferma». E poi Dante Alighieri, il quale descrive Maria come «colei che quaggiù “intra i mortali”, è “di speranza fontana vivace”».