Hic sunt leones
La Sar mira a soddisfare le esigenze di investimento nel continente e nei mercati emergenti

Il ruolo della prima agenzia di rating africana

 Il ruolo  della prima agenzia di rating africana  QUO-281
09 dicembre 2022

L’Africa ha finalmente una sua agenzia di rating del credito. La notizia è passata quasi inosservata, ripresa da poche testate giornalistiche internazionali, eppure rappresenta una grande novità nel panorama finanziario del vasto continente africano. Si chiama Sovereign Africa Ratings (Sar) ed è nata per soddisfare un’esigenza di sviluppo e investimento in Africa e nei mercati emergenti in generale. Lanciata ufficialmente il 23 settembre scorso a Midrand, una località a nord di Johannesburg in Sud Africa, la Sar è nata grazie alla determinazione di un gruppo di imprenditori sudafricani.

L’intento dichiarato è quello di contrastare l’attività speculativa nei confronti dell’Africa che si è acuita a dismisura all’inizio e nel corso della pandemia covid-19, ma anche a seguito del conflitto russo-ucraino. Il modello di rating del credito di Sar comprende 82 variabili, che si traducono anche in determinanti del rischio, inclusi aspetti fiscali, economici, ambientali, di governance, cambiamenti climatici e ricchezza generati dalle risorse naturali dei vari Paesi africani. Da rilevare che finora sono state tre le agenzie di rating che hanno dato vita ad un vero e proprio oligopolio: Moody’s, Standards & Poor’s e Fitch. Esse infatti hanno il controllo del 95 per cento del mercato creditizio mondiale.

Come spiega l’economista Paolo Raimondi: «Si tratta di imprese private statunitensi, il cui capitale azionario è controllato da grandi fondi d’investimento, come il Berkshire Hathway del banchiere-speculatore Warren Buffet, il BlackRock, il Vanguard e lo Ssga, che sono le massime potenze del Non banking financial intermediation (Nbfi), chiamato dalle stesse banche centrali “Shadow banking”, il cosiddetto sistema bancario ombra». Già da diverso tempo i governi africani hanno lamentato la politica finanziaria invasiva delle agenzie americane note un po’ in tutto il mondo per il loro estro nello stilare il rating di solvibilità dei governi, delle obbligazioni di Stato, dei titoli pubblici e privati e anche delle società finanziarie e industriali. Per quanto concerne in particolare l’Africa, i bilanci pubblici africani sono stati quasi sempre giudicati insoddisfacenti da Moody’s, Standards & Poor’s e Fitch. Ne sono pertanto conseguiti i declassamenti vale a dire l’isolamento finanziario e le crisi economiche che hanno acuito a dismisura l’esosità degli speculatori e delle multinazionali impegnate nel business delle materie prime. Per le popolazioni locali tutto questo si è tradotto in povertà, instabilità sociale e sottosviluppo.

Occorre sottolineare che in concomitanza dell’inizio della pandemia e a partire dalla crisi armata che insanguina l’Europa orientale, i declassamenti operati dalle tre agenzie di rating statunitensi hanno avuto un impatto devastante sulle economie africane, sia per quanto concerne l’aumento del costo dei prestiti, come anche in riferimento all’indebolimento dell’offerta di capitale da parte degli investitori stranieri. Questi giudizi, infatti, si sono basati fondamentalmente sulle previsioni riguardanti la debolezza dei sistemi fiscali e sanitari dei rispettivi Paesi.

Per comprendere meglio lo stato dell’arte è utile leggere il rapporto del 2010 Wall Street and the Financial Crisis: The Role of the Credit Rating Agencies della Commissione di indagine bipartisan del Senato statunitense. Tale documento contiene un giudizio molto severo sull’operato di Moody’s, Standards & Poor’s e Fitch prima e durante la grande crisi finanziaria del 2007-8. La Commissione ha provato che le agenzie di rating «hanno operato con un inerente conflitto di interessi in quanto venivano pagate dagli stessi istituti che emettevano i titoli a cui loro davano il rating».

Un altro rapporto dettagliatissimo documento, di oltre 650 pagine, intitolato The financial crisis inquiry report redatto da una commissione bipartisan del Congresso statunitense e pubblicato nel 2011 dice più o meno le stesse cose: «Sosteniamo che il fiasco delle agenzie di rating sia stato un elemento essenziale del meccanismo distruttivo finanziario. Esse sono state le promotrici chiave del meltdown finanziario, cioè della dissoluzione sistemica. I derivati emessi sulle ipoteche, che sono al centro della crisi, non potevano essere venduti senza il loro timbro di approvazione. Gli investitori si sono ciecamente fidati dei loro giudizi. In alcuni casi il loro rating era obbligatorio. Senza le agenzie di rating la crisi non ci sarebbe stata».

Il primo rapporto sul rating pubblicato dall’agenzia Sar lo scorso settembre riguarda proprio il Sud Africa che è stato classificato “BBB” con outlook stabile a lungo termine e “B+” con outlook anch’esso stabile a breve termine, dal punto di vista della qualità creditizia e quindi dell’affidabilità. È importante osservare che il rating creditizio di Standard & Poor per il Sud Africa è di “BB-” con outlook positivo. Il rating di Fitch è stato invece di “BB-” con outlook stabile. Moody’s Investor Service ha espresso dal canto suo, per il gigante dell’Africa australe, un rating “Ba2” con outlook negativo. Se da una parte è logico che i mercati richiedano le valutazioni delle agenzie di rating perché interessati ad avere una valutazione di riferimento su cui operare nelle loro operazioni finanziarie, la vexata quaestio è rappresentata dalla loro affidabilità, attendibilità e soprattutto autonomia. David Mosaka, chief rating officer dell’agenzia Sar, ritiene che l’economia del Sud Africa stia crescendo a un tasso dell’1,9 per cento quest’anno e probabilmente dell’1,4 per cento nel 2023, il che certamente non favorisce una significativa creazione di posti di lavoro o nuove entrate fiscali. Ciò non toglie che egli è convinto che un approccio valutativo diverso, rispetto al passato, possa scongiurare o comunque contenere le spinte speculative indotte dai mercati. Un elemento di differenziazione della nuova agenzia africana di rating del credito sta nel fatto che essa attribuisce un peso significativo alla ricchezza mineraria come indicatore di performance, con particolare riferimento non solo alle fonti energetiche, ma anche all’immenso capitale nascosto nelle viscere del continente: dall’oro, ai diamanti, dal cobalto al rame, dal rutilio, allo zinco, dal cobalto alle terre rare in generale.

Mosaka ha dichiarato che man mano che l’agenzia crescerà sui mercati internazionali, produrrà valutazioni per i Paesi africani al fine di contrastare il deprezzamento delle commodity e in generale delle economie nazionali. È infatti evidente che un rating basso come accade spesso per i Paesi in via di sviluppo comporta il pagamento di un tasso d’interesse maggiore per ottenere dei crediti o per piazzare dei titoli sui mercati. Per i governi, questo implica scelte spesso impopolari come lo spostamento di fondi di bilancio dalle spese sociali verso il servizio sul debito pubblico.

È bene rammentare che il 15 maggio scorso, il capo di Stato senegalese Macky Sall, attuale presidente di turno dell’Unione africana (Ua) aveva auspicato «la creazione di un’agenzia panafricana di rating finanziaria» in un discorso diffuso dall’emittente privata Rfm. Sall aveva stigmatizzato in particolare il fatto che il rating delle agenzie internazionali è «talvolta molto arbitrario», e che esagerano nel valutare il rischio di investimento in Africa, aumentando così il costo del credito.

Secondo il presidente senegalese, gli studi hanno dimostrato che almeno il 20 per cento dei criteri di valutazione per i Paesi africani sono «fattori culturali o linguistici piuttosto soggettivi, estranei ai parametri che misurano la stabilità di un’economia». Una cosa è certa: mai come oggi occorre contrastare la speculazione che non fa altro che acuire le diseguaglianze sociali e quella che pertinentemente Papa Francesco definisce «la cultura dello scarto».

di Giulio Albanese