È di 272 vittime il bilancio di un massacro compiuto, secondo il governo di Kinshasa, dai ribelli dell’M23 nel villaggio di Kishishe

Nord Kivu
Violenza senza fine

Congolese activists light candles during a vigil in memory of the civilians killed in the recent ...
06 dicembre 2022

La speranza che la notizia non trovasse conferme è rimasta viva fino a ieri sera, quando il governo della Repubblica Democratica del Congo, con il ministro Julien Paluku, ex governatore del Nord Kivu, ha comunicato ufficialmente il bilancio del massacro perpetrato il 29 novembre nel villaggio di Kishishe, nell’est del Paese: 272 civili uccisi. Per le autorità di Kinshasa, che la scorsa settimana avevano parlato di almeno 50 vittime e poi avevano aggiornato il bilancio a «più di cento morti», non ci sono dubbi sulle responsabilità nella mattanza dei ribelli dell’M23, formazione che dopo anni di inattività ha ripreso di fatto i combattimenti alle fine dello scorso anno, conquistando negli ultimi mesi ampie porzioni di territorio a nord di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, e provocando lo sfollamento di almeno 340.000 persone a causa delle violenze, secondo le Nazioni Unite.

Paluku ha parlato in conferenza stampa col portavoce dell’esecutivo, Patrick Muyaya, il quale ha riferito di una violenza cieca che non ha risparmiato nemmeno i bambini, uccisi in 17 «in una chiesa, in un ospedale, secondo i primi elementi raccolti». Il governo, è stato annunciato, chiederà l’apertura di un’indagine presso la Corte penale internazionale, nonostante l’M23 continui a respingere le accuse, riconoscendo al riguardo la morte di 8 civili, uccisi, secondo i ribelli, da «proiettili vaganti» durante scontri con altri miliziani.

Testimonianze di stampa parlano dell’orrore dei sopravvissuti e di fosse comuni in cui sarebbero state seppellite le vittime su richiesta dei ribelli, in una difficile ricostruzione dei fatti resa ancora più ardua da un territorio sotto il controllo dei combattenti. Cruciale, hanno specificato le autorità, la collaborazione della società civile e in particolare di una «organizzazione che riunisce tutte le comunità» della zona.

«Nonostante la road map del mini-vertice di Luanda, non è stato osservato sul terreno alcun ritiro delle forze rwandesi e dell’M23», aveva annunciato l’esercito già la scorsa settimana, con riferimento all’incontro tenutosi nella capitale dell’Angola il 23 novembre, su invito del presidente João Lourenço, mediatore dell’Unione africana tra Kinshasa e Kigali, che fonti congolesi — supportate da un rapporto dell’Onu dell’agosto scorso — accusano di sostenere la ribellione. Il Rwanda nega ogni coinvolgimento, accusando a sua volta l’ex Zaire di collusione con altri movimenti ribelli, legati al genocidio del 1994.

Soltanto domenica scorsa i vescovi congolesi avevano promosso una iniziativa per la pace, con una mobilitazione tra i fedeli che, in diverse città del Paese, si erano riuniti in processione per porre all’attenzione generale il deterioramento della sicurezza, per invocare la fine delle violenze e, avevano sottolineato, «per salvaguardare l'integrità territoriale» della Repubblica Democratica del Congo.