Hic sunt leones
In Nigeria il gruppo jihadista ha causato trentamila morti e due milioni di sfollati

Le due facce di Boko Haram

 Le due facce di Boko Haram   QUO-276
02 dicembre 2022

Il settore nordorientale della Nigeria continua a essere un vero e proprio campo di battaglia dove il jihadismo più intransigente semina morte e distruzione. I responsabili di simili nefandezze sono le cellule eversive che tradizionalmente vengono configurate come appartenenti a Boko Haram. Si tratta di un movimento che opera in particolare negli Stati di Borno, Adamawa e Yobe, esercitando violenze contro chiunque si opponga al proprio delirio di onnipotenza: civili e militari, musulmani e cristiani. Dalla sua ascesa nel 2009, l’insurrezione di Boko Haram ha causato lo sfollamento di oltre due milioni di persone e provocato la morte di oltre 30.000 persone. Numerosissime sono state le violazioni dei diritti umani perpetrate da questi islamisti anche negli Stati nigeriani più a meridione, come: attentati suicidi, massacri, incendi di interi villaggi, attacchi a luoghi di culto, scuole e altri siti; raid nei campi per sfollati, trattamento crudele e degradante in seguito a condanne emesse dai propri tribunali, esecuzioni extragiudiziali, omicidi politici, rapimenti su vasta scala, anche di minori, sfollamento forzato, reclutamento di bambini, gravi violazioni dei diritti delle donne e delle ragazze ridotte in schiavitù, violenze sessuali, matrimoni forzati e quant’altro.

Da rilevare che le uccisioni indiscriminate di civili e in particolare di musulmani hanno provocato divisioni all’interno di Boko Haram. Nel 2016 Boko Haram si è diviso in due fazioni: l’Islamic State West Africa Province (Iswap) e la Jama’at Ahl al-Sunnah li-l-Dawah wa-l-Jihad (Jas). Da rilevare che questa distinzione spesso non si riflette nei resoconti dei media, che fanno riferimento semplicemente a Boko Haram. In effetti stiamo parlando di due distinte organizzazioni: la prima ha adottato la sigla Iswap (ora nota anche come Isis-Wa) per sottolineare la propria affiliazione all’Is, dunque al sedicente stato islamico, cercando così di attrarre più proseliti e finanziatori. Pertanto gli obiettivi di questa compagine armata, attiva nella fascia saheliana, sono di respiro internazionale, inserendo la ribellione Boko Haram all’interno del fronte globale jihadista.

La roccaforte dell’Iswap si trova nei pressi del lago Ciad e il gruppo ha una presenza permanente nella foresta di Alagarno che copre parte degli Stati di Borno e Yobe. Inoltre, le sue operazioni si spingono anche nei territori settentrionali dello Stato di Adamawa.

Il Jas ha invece un’agenda più regionale, in quanto la propria azione bellica, particolarmente violenta, è quasi esclusivamente rivolta contro il governo nigeriano. L’obiettivo di questa fazione, che si stima sia composta di 1500-2000 miliziani, si rifà alle origini di Boko Haram: trasformare la Nigeria, o parte di essa, in un emirato in cui venga applicata la sharìa, la cosiddetta legge islamica, soffocando ogni forma di dissidenza. Il leader del Jas, Abubakar Shekau, assurto alle cronache per i suoi deliranti videomessaggi online, si è vantato per anni della propria invincibilità, fin quando perse la vita il 20 maggio del 2021 per essersi fatto esplodere con un giubbotto esplosivo al fine di eludere la cattura da parte del gruppo islamico rivale dell’Iswap.

Il finanziamento di questi due gruppi eversivi deriva fondamentalmente da proventi tipici delle organizzazioni criminali: dal commercio illegale di merci alle tasse sulle proprietà fondiarie, fino a quelle che sono costretti a pagare i trafficanti di armi e droga che intendono attraversare i territori sotto il loro controllo. Le due fazioni di Boko Haram sono poi molto abili nel riciclaggio di denaro sporco. Non è un caso se il Basel Institute of Governance, organizzazione internazionale senza scopo di lucro, ha assegnato alla Nigeria nel Basel Aml Index 2022, un punteggio di 6,77 su 10, identificandola come uno dei Paesi «che non fa abbastanza per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo». Per quanto i gruppi jihadisti non siano gli unici in Nigeria ad assecondare queste pratiche illegali, il loro coinvolgimento è a dir poco inquietante. Sia l’Iswap che il Jas dispongono di munizioni, armi da fuoco di vario genere e centinaia di veicoli militari, compresi carri armati e artiglieria semovente. Sebbene il conflitto scatenato nel nord della Nigeria contro le forze governative sia tendenzialmente asimmetrico, l’Iswap è stato capace di prendere d’assalto addirittura una base militare nei nella città di Malam Fatori, nel distretto di Abadam, tra il 18 e il 19 novembre scorsi. Al contempo il centro abitato è stato dato alle fiamme con un bilancio di almeno undici morti, tra cui nove soldati.

Una cosa è certa: i travagli che hanno penalizzato in termini generali la Nigeria, riproducendosi in particolare nella belligeranza corrente che ha come protagoniste le formazioni islamiste insediate nel nord del Paese, discendono in larga misura, storicamente, dalla stessa formazione della Nigeria come Paese moderno e indipendente. Con l’avvento del colonialismo, infatti, il fulcro del progresso politico e dello sviluppo economico si è spostato verso le regioni centromeridionali del Paese aprendo una competizione che ha poi attraversato tutte le vicende della Nigeria indipendente. È in questo contesto che si colloca la contrapposizione etnico-religiosa tra gli hausa-fulani, musulmani del Nord, e gli yoruba e gli igbo, cristiani del Sud.

Ecco che allora la cosiddetta “modernità” di matrice occidentale si è riversata a favore del sud, rendendo così ancora più stridente l’arretratezza del nord per il quale non è mai stato organizzato un vero e proprio piano di rinascita per allinearlo ai parametri di crescita dei territori più a meridione. Peraltro territori, questi ultimi, ricchi di “oro nero”, vale a dire di petrolio.

A questo proposito è illuminante quanto scrisse il grande africanista Gian Paolo Calchi Novati operando una sorta di sinossi tra quanto avvenne in Biafra nella seconda metà degli anni Sessanta e lo scenario contemporaneo: «Al di là della causa immediata, che fu la violenza scatenatasi contro gli Ibo, la guerra per un Biafra indipendente può essere intesa come un tentativo di prendere atto che c’erano alla prova dei fatti due Nigerie e che il sud poteva sfruttare le chances maggiori che aveva in sé solo separandosi dalla storia che aveva preceduto l’arrivo degli europei e il colonialismo inglese. Nella prospettiva della “lunga durata”, Boko Haram, cercando di rivalutare il Nord con i suoi caratteri storici e culturali oltre che religiosi, per di più con un’azione che si segnala piuttosto per la distruzione, è un Biafra alla rovescia».

D’altronde, partendo dal presupposto che i processi di decolonizzazione in Africa furono una sorta di “tana libera tutti”, la Nigeria, che approdò all’indipendenza il primo ottobre del 1960, un tempo passato alla storia, un po’ retoricamente, come “anno dell’Africa”, si trovò a fare i conti con l’incongruenza delle istituzioni ereditate dal colonialismo. Le varie realtà etniche, regionali e statuali non erano infatti state preparate in tempo a una qualche forma di sintesi o, appunto, di “amalgama”. I difetti, più o meno mascherati dall’atmosfera di festa in cui avvenne il passaggio delle consegne dagli europei agli africani, si dimostrarono insormontabili e di lì a poco l’intero sistema politico e istituzionale entrò in sofferenza. Sebbene anche nel sud del Paese si siano acuite in questi anni le diseguaglianze, gli Stati del nord sono stati fortemente penalizzati, soprattutto economicamente.

Sta di fatto che sullo sfondo della competizione politica nigeriana, è sempre rimasta attiva, influendo sia i sentimenti di appartenenza che i comportamenti sociali, la tensione interreligiosa. Nel 1986, la decisione di uno dei generali-presidenti, Ibrahim Badamasi Babangida, di far aderire la Nigeria all’Organizzazione della Conferenza islamica (Oic) fu fermamente avversata da chi non voleva “islamizzare” il Paese, finendo per apparire come un’anticipazione in tono minore della violenza islamista che sarebbe esplosa nel nuovo secolo. A rincarare la dose fu la decisione del primo presidente democraticamente eletto nel 1999, Olusegun Obasanjo, di religione cristiana, il quale non si oppose all’introduzione della legge islamica negli Stati settentrionali; questo non solo per evitare dissidi nel Nord, ma anche per ottenere l’appoggio politico delle popolazioni musulmane. Decisione, questa, fortemente contrastata dalle Chiese cristiane perché in netto contrasto con il dettato costituzionale federale.

Con la scelta jihadista di Boko Haram il contrasto fra nord e sud è precipitato in una guerra che ha, ancora oggi, tutti i caratteri di uno scontro armato in cui la religione viene strumentalizzata per fini eversivi. Motivo per cui l’integrazione tra nord e sud si presenta più che mai per le classi dirigenti come una sfida decisiva per la pace e la stessa sopravvivenza della Nigeria nella sua espressione composita. Come ha ribadito in più circostanze una delle figure più emblematiche della Chiesa cattolica nigeriana, il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo emerito di Abuja: «La guerra non è la strada da perseguire per la giustizia, ma il dialogo!».

di Giulio Albanese