Bailamme

Cordone ombelicale

 Cordone ombelicale  QUO-276
02 dicembre 2022

Se dovessi scegliere la notizia dell’anno di questo 2022 che si avvia al termine, la tirerei fuori dalle pieghe più silenziose della realtà. Lo scorso maggio a Catania è stato trovato un neonato abbandonato in una cesta con il cordone ombelicale ancora attaccato. Proprio quest’ultimo dettaglio mi è rimasto impresso, quasi fosse un grido.

Che grande vulnerabilità esposta in quel cordone, segno di una dipendenza totale. Guai a manifestare una cosa del genere, oggi. I nostri cordoni ombelicali li tagliamo spavaldamente, o piuttosto li nascondiamo con cura (anche noi stessi). Ostentiamo la fierezza di traguardi che ci siamo guadagnati da soli, con le nostre forze. Senza chiedere niente a nessuno — la medaglia da appuntarsi al petto. Ma sarà poi vero?

Quel neonato è rimasto nudo in attesa di soccorso con tutto il suo cordone ombelicale in bella vista. Una creatura appena nata ha avuto l’ardire di sbatterci in faccia la dipendenza, quella vera, che noi eludiamo, rifuggiamo, sviliamo. Se proprio ci capita di riconoscerci dipendenti, oggi, è da sostanze, illusioni, fantasie che nulla hanno di fecondo: sono lacci invisibili che ci legano per trasformarci in utenti, clienti, follower. Sembra il rovescio del paolino «quindi non sei più schiavo, ma figlio». Se non ci riconosciamo più figli, siamo schiavi di chi usa bene le armi retoriche: il bisogno di relazione resta, ma al cordone si sostituisce un guinzaglio.

Ignaro di questi ragionamenti, il neonato di Catania era solo e soltanto se stesso: un figlio bisognoso di un legame di appartenenza viva, pulsante, d’amore.

«Sono» nasce da un «siamo», e sta scritto al centro delle nostre pance. È un «siamo» che è durato nove mesi dentro il grembo e non sparisce quando siamo creature separate da nostra madre. Restiamo bisognosi di non recisi dal cuore del mondo.

In una lettera datata 8 gennaio 1944 J.R.R. Tolkien scrisse a suo figlio Christopher: «Ma Dio è anche (si fa per dire) dietro di noi, sostenendoci, nutrendoci (dato che siamo creature sue). Quel luminoso punto di potere dove il cordone della vita, il cordone ombelicale dello spirito termina, là è il nostro angelo, che guarda in due direzioni: a Dio dietro di noi, senza che noi possiamo vederlo, e a noi».

Ce lo immaginiamo sempre presente, l’angelo custode. Ma un po’ staccato da noi. Magari su un’imprecisata nuvoletta sopra la nostra testa. Solo un genio profondamente intuitivo poteva regalarci quest’istantanea dell’angelo custode che sta a reggere il cordone ombelicale che ci lega fecondamente al Cielo. Verrebbe da attribuirgli tutta l’energia vivace che si vede nei corpi e nei volti di chi fa il tiro alla fune. Solo che non c’è nessuna gara per l’angelo, solo l’inesausto desiderio di non separarci dal vero bene.

E questo «cordone ombelicale dello spirito» non è il filo del burattino che viene manovrato, è una cascata di nutrimento che ci tiene in piedi, per essere davvero liberi. Liberi, perché legati come figli. 

di Annalisa Teggi