Il magistero

 Il magistero  QUO-275
01 dicembre 2022

Sabato 26 novembre

Responsabilità della pace

Nella vostra Assemblea avete affrontato il tema Chiamati ad essere artigiani della pace. Si tratta di un appello urgente che riguarda in particolare le persone consacrate.

Ascoltando la parola “pace” pensiamo soprattutto a una situazione di non-guerra o di fine-guerra. Questo non corrisponde al senso della parola ebraica shalom.

La pace di Gesù è prima di tutto dono suo, è mai una conquista dell’uomo.

Pace è anche l’esperienza della misericordia, del perdono e della benevolenza di Dio, che ci rende capaci a nostra volta di respingere violenza e oppressione.

“Fare la pace” è un lavoro artigianale, da fare con passione, pazienza, esperienza, tenacia, perché è un processo.

Non è un prodotto industriale ma un’opera artigianale. Non si realizza in modo meccanico, necessita dell’intervento sapiente dell’uomo. Non si costruisce in serie, col solo sviluppo tecnologico.

Per questo i processi di pace non si possono delegare ai diplomatici o ai militari: è una responsabilità di tutti e di ciascuno.

Beati noi consacrati se ci impegniamo a seminare pace con le nostre azioni quotidiane, con gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia; e se nella preghiera invochiamo il dono della pace.

La vita consacrata può diventare una profezia di questo dono, se i consacrati imparano cominciando dalle proprie comunità, costruendo ponti e non muri.

Altro aspetto caratteristico della vita consacrata: la sinodalità... penso ai capitoli, alle visite fraterne e canoniche, alle assemblee, alle commissioni.

Ma non basta avere strutture: è necessario rivedere il modo di esercitare il servizio dell’autorità. Vigilare sul pericolo che esso possa degenerare in forme dispotiche, con abusi di coscienza o spirituali che sono terreno propizio anche per abusi sessuali.

Inoltre vi è il rischio che l’autorità venga esercitata come privilegio.

Auspico che il servizio dell’autorità venga esercitato sempre in stile sinodale.

In questa prospettiva, rientrano anche i percorsi di valutazione di idoneità e attitudine, perché possa avvenire un rinnovamento generazionale alla guida degli istituti. Senza improvvisazioni.

La comprensione dei problemi attuali comporta un’adeguata formazione, altrimenti si “naviga a vista”.

Una riorganizzazione o riconfigurazione dell’istituto va fatta nella salvaguardia della comunione, per non ridurre tutto ad accorpamenti.

(All’Unione dei superiori generali - U.s.g.)

Artigiani
dell’incontro per ricostruire la fiducia

Il tema che avete scelto quest’anno, «Costruire la fiducia. La passione dell’incontro», esprime un percorso secondo una doppia segnaletica: fiducia e passione.

Viviamo una stagione di conflittualità. [In] uno scenario cupo, che richiede un’opera riparatrice.

In questo senso il verbo «costruire» è appropriato. Viene alla mente la capacità progettuale, tipica degli artigiani, di vedere la bellezza già nella materia grezza.

Ecco, allora, un impegno concreto: essere artigiani di fiducia!

Però non si costruisce con casualità, ma secondo un progetto ben preciso.

La progettualità rappresenta la capacità di fare ordine nelle idee, nelle iniziative, negli slanci.

Solo così la costruzione realizzata potrà reggere ai marosi della storia.

E il cartello della fiducia rappresenterà l’indicazione necessaria per tenere salda l’intera struttura.

Fiducia in se stessi e negli altri! Ma ancor prima in Dio!

La fiducia è un richiamo forte alla speranza, che ispira azioni nuove. stimola l’impegno, dà vita alla vita.

L’incontro sta alla base della fiducia e la passione è quella scintilla che scalda i cuori e fa aprire le braccia all’altro.

L’incontro deve diventare il desiderio più grande, da perseguire con tenacia. Questa dimensione permette di trasformare l’egoismo in fratellanza, l’indifferenza in passione, spade in aratri e lance in falci.

A voi imprenditori, professionisti, esponenti del mondo istituzionale, della cooperazione, dell’economia, chiedo di alimentare una cultura dell’incontro e della fiducia, sull’esempio di don Adriano Vincenzi che ha ideato questo Festival.

(Al Festival della Dottrina sociale a Verona)

Domenica 27

Uomini
e donne capaci di ascolto

Più di trent’anni fa il venerabile cardinale Eduardo Pironio intuì la necessità di creare questo forum affinché la vita dell’Azione Cattolica contribuisse alla sfida della nuova evangelizzazione.

Molti di voi hanno accompagnato fermamente quella intuizione e hanno posto le proprie capacità e il desiderio di annunciare il Vangelo in quel servizio, nonostante le difficoltà proprie dell’epoca

Il contesto mondiale che accompagna la nuova tappa non è lo stesso.

Le conseguenze sociali della pandemia, come pure quelle personali, continuano a segnare l’animo di fronte al futuro.

Si è ravvivato l’individualismo di una salvezza a misura; senza dimenticare la piaga della violenza tra Paesi e fratelli.

Tuttavia, come diceva il Cardinale Pironio: «Quanto è importante nella vita essere segno di luce comunicatore di speranza».

Animate i gruppi di Azione cattolica nelle Chiese locali con spirito sinodale.

Abbiamo bisogno di imparare ad ascoltarci, riapprendere l’arte del parlare senza barriere né pregiudizi, anche e in modo particolare con quanti al margine, per cercare la vicinanza, che è lo stile di Dio.

Esorto il nuovo direttivo a essere uomini e donne dell’ascolto.

Non siano “dirigenti” da scrivania, di carte e di Zoom, e non cadano nella tentazione dello strutturalismo istituzionale che organizza a partire da statuti, regolamenti.

Ascoltate le donne, gli anziani, i giovani e i bambini nelle loro realtà, nelle loro grida silenziose, espresse nei loro sguardi e nei lamenti.

Abbiate l’orecchio attento per non dare risposte a domande che nessuno si fa, e neppure dire parole che non interessano né servono.

Ascoltate con cuore samaritano i segni dei tempi, la Chiesa non può stare al margine, invischiata nelle proprie faccende.

Infine ascoltare la voce dello Spirito [che] libera dall’ossessionarci con le urgenze, e invita a percorrere cammini antichi e sempre nuovi: quelli della testimonianza, della povertà e della missione.

Non si ascolta passivamente: è l’ascolto attivo che dà il ritmo al lavoro.

Così fece la Santissima Vergine, perché ascoltò, si mise in piedi e s’incamminò per andare a servire.

(Al Forum internazionale di Azione cattolica)

Lunedì 28

Non negoziare mai
la pastoralità

Questi anni in cui state a Roma sono un tempo per approfondire la formazione e sperimentare la ricchezza e la diversità della Chiesa universale.

Questa ricchezza e diversità caratterizzano anche i vostri popoli dell’America Latina, dove tornerete per essere pastori del popolo e non chierici di Stato.

Anche i primi cristiani provenivano da popoli e culture diversi. E fu lo Spirito Santo a far sì che avessero «un cuore solo e una anima sola» e che fossero discepoli e missionari.

Che Gesù abbia voce attiva in ognuna delle nostre decisioni!

Siamo suoi ministri, apparteniamo a Lui.

L’incontro di Andrea con Gesù non lo lasciò tranquillo e con le mani in mano, ma lo trasformò, e non poteva non annunciare quello che aveva vissuto.

Anche noi siamo attesi dai nostri fratelli e sorelle, specialmente quelli che ancora non hanno sperimentato l’amore e la misericordia del Signore.

Uscire, muoverci, portare la gioia del Vangelo. Questo è essere missionari.

“Stare” e “uscire” è il senso della nostra vita. Un cammino di “andata e ritorno”, che ha Gesù come punto di partenza e arrivo. “Stare” con Gesù e “uscire” ad annunciarlo è anche stare con i poveri, i migranti, i malati, i detenuti, i più piccoli, i più dimenticati e condividerne la vita per annunciare loro l’amore di Dio.

Non dimenticatevi di tornare da Lui, ogni sera dopo una lunga giornata; ma non allo schermo di un cellulare. Mi rattrista quando vedo che un sacerdote buono, lavoratore, si stanca e si dimentica di passare davanti al tabernacolo, e va a dormire.

Non siate dipendenti da questo mondo di fuga. Sono passi che pian piano tolgono forza. Siate dipendenti dall’incontro con Gesù e Lui sa di che cosa abbiamo bisogno e ha una parola da dirci in ogni occasione.

Non negoziate mai la pastoralità. Non cadete nel clericalismo, che è una delle perversioni peggiori... una forma di mondanità spirituale. Ogni volta che diventate più “raffinati”, vi allontanate dalla grazia di Dio e cadete nella peste del clericalismo.

Chiedete la grazia di saper stare sempre immersi nel popolo dal quale Gesù vi ha presi.

(Al Pontificio collegio Pio Latino Americano)

Poeti di pace

Il vostro programma “Per la pace, con la cura” vuole rispondere all’appello per un Patto Educativo Globale, che ho rivolto tre anni fa a tutti coloro che operano nel campo [dell’istruzione].

Mi rallegra vedere che non solo scuole, università e organizzazioni cattoliche stanno rispondendo, ma anche istituzioni pubbliche, laiche e di altre religioni.

Perché ci sia la pace bisogna “prendersi cura”.

La pace ci riguarda sempre! Come sempre ci riguarda l’altro, il fratello e la sorella, e di lui e di lei dobbiamo prenderci cura.

Un modello per eccellenza del prendersi cura è quel samaritano del Vangelo, che ha soccorso uno sconosciuto trovato ferito.

Il samaritano non sapeva se fosse una brava persona o un furfante, ricco o povero, istruito o ignorante, giudeo, samaritano o straniero; non sapeva se quella sventura “se la fosse cercata”.

Lo vide e ebbe compassione. Anche altri, prima di lui, avevano visto quell’uomo, ma erano andati dritti.

Anche nel nostro tempo possiamo incontrare valide testimonianze di persone o istituzioni che lavorano per la pace e si prendono cura di chi è nel bisogno.

Pensiamo a coloro che hanno ricevuto il premio Nobel, ma anche a tanti sconosciuti che in maniera silenziosa operano per questa causa.

Oggi vorrei ricordare San Giovanni xxiii ... il “Papa buono”, e anche il “Papa della pace”, perché in quegli inizi difficili degli anni Sessanta marcati da forti tensioni — la costruzione del muro di Berlino, la crisi di Cuba, la guerra fredda e la minaccia nucleare — pubblicò la Pacem in terris.

Per questo vi invito a studiare l’enciclica e a seguire questa strada per difendere e diffondere la pace.

Poco dopo un altro profeta del nostro tempo, Martin Luther King, premio Nobel per la pace nel 1964, pronunciò lo storico discorso in cui disse: “Io ho un sogno”.

In un contesto segnato da discriminazioni razziali, aveva fatto sognare tutti con l’idea di un mondo di giustizia, libertà e uguaglianza.

Qual è il vostro sogno? Sognate in grande... E vi invito alla Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona.

E se non potrete venire, vi invito comunque a seguire, perché con i mezzi di oggi, questo è possibile.

Il poeta Borges termina, o meglio, non termina una poesia con queste parole: “Ringraziare voglio... per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini”.

Che anche voi possiate accogliere l’invito del poeta di continuare la sua poesia, aggiungendo ciascuno ciò per cui vuole ringraziare.

(A studenti e insegnanti del Progetto per l’educazione alla pace e alla cura)

Mercoledì 30

La preghiera non è fuga dai doveri

Proseguendo la riflessione sul discernimento, ci chiediamo: come riconoscere la vera consolazione?

Possiamo trovare alcuni criteri negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola.

Ci sono delle consolazioni che non sono vere. E per questo bisogna capire bene il percorso.

Cosa significa che il principio è orientato al bene, come dice Sant’Ignazio di una buona consolazione?

Ad esempio ho il pensiero di pregare, e noto che si accompagna ad affetto verso il Signore e il prossimo, invita a compiere gesti di generosità, di carità: è un principio buono.

Può invece accadere che quel pensiero sorga per evitare un lavoro o un incarico che mi è stato affidato: ogni volta che devo lavare i piatti o pulire la casa,vien voglia di pregare!

Succede questo, nei conventi. Ma la preghiera non è una fuga dai compiti, al contrario è un aiuto a realizzare quel bene che siamo chiamati a compiere, qui e ora.

C’è poi il mezzo: rimanendo nell’esempio precedente, se comincio a pregare e, come fa il fariseo della parabola, tendo a compiacermi e a disprezzare gli altri, allora lo spirito cattivo ha usato quel pensiero come chiave per entrare nel mio cuore.

Se vado a pregare e mi viene in mente quello del fariseo famoso la preghiera finisce male.

Quella consolazione di pregare è per sentirsi un pavone. E questo è il mezzo che non va.

E poi c’è la fine, cioè: dove mi porta il pensiero di pregare?

Può capitare che mi impegni a fondo per un’opera bella e meritevole, ma questo mi spinge a non pregare più, perché sono indaffarato, mi scopro sempre più aggressivo e incattivito, ritengo che tutto dipenda da me, fino a perdere fiducia in Dio.

Esaminare bene il percorso dei nostri sentimenti e della consolazione, nel momento in cui voglio fare qualcosa.

Lo stile del nemico — parliamo del diavolo, perché il demonio esiste — è di presentarsi in maniera subdola, mascherata: parte da ciò che ci sta maggiormente a cuore e poi ci attrae a sé.

Entra di nascosto, senza che la persona se ne accorga. E con il tempo la soavità diventa durezza.

Da qui l’importanza di questo paziente ma indispensabile esame dell’origine e della verità dei propri pensieri.

È un invito ad apprendere dalle esperienze, da quello che ci capita, per non continuare a ripetere i medesimi errori.

Quanto più conosciamo noi stessi, tanto più avvertiamo da dove entra il cattivo spirito, le sue “password”, le porte d’ingresso del nostro cuore, i punti su cui siamo più sensibili.

Per questo è importante l’esame di coscienza quotidiano, la fatica preziosa di rileggere il vissuto sotto un particolare punto di vista.

La consolazione autentica è una sorta di conferma del fatto che stiamo compiendo ciò che Dio vuole.

Il discernimento non verte semplicemente sul bene o sul massimo bene possibile, ma su ciò che è bene per me qui e ora: su questo sono chiamato a crescere, mettendo dei limiti ad altre proposte, attraenti ma irreali, per non essere ingannato nella ricerca del vero bene.

Pace
alle nazioni provate
dalla guerra

L’intercessione dei Santi fratelli apostoli Pietro e Andrea, conceda presto alla Chiesa di godere pienamente della sua unità e la pace al mondo intero, specialmente in questo momento alla cara e martoriata Ucraina, sempre nel nostro cuore e nelle nostre preghiere.

(Udienza generale in piazza San Pietro)

Sulla strada del dialogo

L’incontro della Chiesa di Roma con la Chiesa di Costantinopoli in occasione delle feste patronali è espressione della profondità dei vincoli che ci uniscono.

Il pieno ripristino della comunione tra tutti coloro che credono in Gesù è un impegno irrevocabile per ogni cristiano.

Il mondo presente ha un grande bisogno di riconciliazione, fratellanza e unità. Dobbiamo riconoscere che le divisioni sono il risultato di azioni e atteggiamenti deplorevoli.

Solo la crescita in santità di vita può portare a un’unità autentica e duratura. Siamo chiamati a lavorare l’unità tra cristiani non solo attraverso accordi firmati, ma anche attraverso la fedeltà alla volontà del Padre.

Le nostre Chiese non sono rassegnate alle esperienze passate e presenti di divisione, ma al contrario, attraverso la preghiera e la carità fraterna, cercano di realizzare la piena comunione che un giorno, nei tempi di Dio, ci permetterà di riunirci attorno alla stessa mensa eucaristica.

Ci sono già molti ambiti in cui la Chiesa cattolica e il Patriarcato Ecumenico stanno lavorando insieme salvaguardando il creato, difendendo la dignità di ogni persona, combattendo le forme moderne di schiavitù e promuovendo la pace.

Ricordo con gratitudine il nostro recente incontro nel Regno del Bahrein.

Il dialogo e l’incontro sono l’unico cammino percorribile per superare i conflitti e tutte le forme di violenza.

Affido alla misericordia di Dio quanti hanno perso la vita o sono stati feriti nel recente attacco nella sua città, e prego perché Egli converta i cuori di quanti sostengono queste azioni malvage.

(Messaggio al Patriarca ecumenico Bartolomeo per la festa di sant’Andrea)