Parole e gesti di Papa Francesco

Natale è…

 Natale è…  ODS-005
03 dicembre 2022

A volte, ci penso. Al Papa, intendo. Penso a come deve essergli sembrato insolito celebrare il Natale d’inverno, con il freddo. Una piccola grande rivoluzione per lui, nato e vissuto in Argentina per 77 anni, prima di essere eletto al soglio di Pietro. Una rivoluzione perché a Buenos Aires il mese di dicembre è un mese estivo e quindi a Natale il clima non è rigido come in questa parte di mondo. Ma se il clima e le temperature sono cambiate, quello che non è cambiato, in Papa Francesco, è il significato da dare al Natale. Un significato da lui stesso spiegato in un’intervista concessa nel dicembre 2021 a due quotidiani italiani, «La Stampa» e «La Repubblica»: «A Natale penso ai poveri, sempre — ha spiegato —. Come Gesù, che è nato povero. E poi penso a tutti i dimenticati, gli abbandonati, gli ultimi, e in particolare i bambini abusati e schiavizzati. E penso ai bimbi malati che trascorreranno il Natale in ospedale: non ci sono parole, possiamo solo aggrapparci alla fede, a Dio, e chiedergli: “Perché?”. E i genitori che hanno i figli fuori dall’ospedale non si dimentichino quanto sono fortunati, li abbraccino forte e dedichino loro più tempo».

Natale è
famiglia

In quella stessa intervista, Francesco ha ricordato il Natale della sua infanzia, quello impreziosito dalla vicinanza della famiglia e delle tradizioni: «Alcune volte andavamo da una zia, alla sera, perché a Buenos Aires e nella nostra famiglia non c’era in quel tempo l’abitudine di festeggiare la vigilia come oggi — racconta —. Si festeggiava il 25 di mattina, sempre dai nonni. Ricordo una volta una cosa curiosa: siamo arrivati e la nonna stava ancora facendo i cappelletti, li faceva a mano. Ne aveva fatti 400! Eravamo sbalorditi! Tutta la nostra famiglia era lì: venivano anche zii e cugini. Solo da adolescente ho cominciato a festeggiare un po’ anche la vigilia, a casa di una sorella di mia mamma che abitava vicino».

Passano gli anni da quel Natale, Jorge Mario Bergoglio cresce, sceglie la strada del sacerdozio e il 28 febbraio 1998 l’allora Pontefice Giovanni Paolo ii lo nomina arcivescovo di Buenos Aires. Da quel giorno in poi, tocca a lui presiedere la Messa di Natale nella capitale argentina ed è emozionante andare a rivedere alcuni filmati di quegli anni per ascoltare le sue omelie ed accorgersi che contengono già, in nuce, il cuore, l’essenza, la profondità di quello che sarebbe poi diventato il Pontificato di Papa Francesco.

Natale è
tenerezza

Da un’omelia pronunciata il 24 dicembre 2004, ad esempio, emerge chiaramente il tema della tenerezza, di quella «rivoluzione della tenerezza» che oggi sappiamo essere particolarmente caro al Pontefice: «Gesù è il segno che Dio si è innamorato della piccolezza e della miseria degli uomini. Innamorato di un amore che si fa tenerezza», diceva 18 anni fa il futuro Papa. E nel 2009, aggiungeva: «Bisogna riscattare il Natale aprendo il cuore alla luce. E la via per aprire il cuore è la tenerezza, il non aver paure dalla carezza di Dio».

Parole che hanno avuto eco nella Messa di Natale del 2019, pronunciata questa volta in veste di Pontefice: «Ecco il dono che troviamo a Natale: scopriamo con stupore che il Signore è tutta la gratuità possibile, tutta la tenerezza possibile — ha detto Francesco tre anni fa —. La sua gloria non ci abbaglia, la sua presenza non ci spaventa. Nasce povero di tutto, per conquistarci con la ricchezza del suo amore».

Natale è
pazienza

Un altro tratto caratteristico del Natale l’allora cardinale Bergoglio lo sottolineava nel dicembre del 2007, quando diceva che «il Signore sceglie il piccolo per manifestare la sua grandezza. Una luce fioca, non un flash che illumina per un minuto e poi si spegne, non i fuochi di artificio. Una luce mansueta che mostra la pazienza di Dio per il cuore degli uomini proteso verso la piccola luce del momento propria di un idolo e non verso la grande luce del Figlio che si manifesta».

Un concetto, quello del binomio tra luce e pazienza del Signore, del quale troviamo traccia nell’omelia della notte di Natale del 2014: «Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione — ha detto Papa Francesco 8 anni orsono —. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio».

Natale è
semplicità

Sicuramente, poi, implicito nel significato della Natività di Gesù c’è il principio della semplicità e dell’umiltà.

L’allora arcivescovo Bergoglio lo chiariva già nel 2010, quando affermava: «Oggi, per entrare nella grotta della Natività, bisogna curvarsi, abbassarsi. Per incontrare il Signore, devi farti piccolo, devi spogliarti di ogni pretesa, liberarti da qualunque illusione effimera, andare all’essenziale, a ciò che ti dà vita e ti conferisce dignità. Abbassati, non aver paura dell’umiltà, non temere la mansuetudine».

Una riflessione che si ritrova, in modo più ampio e approfondito, nell’omelia del 24 dicembre 2016, pronunciata nella Basilica vaticana: «Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio — ha detto Papa Francesco —. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita».

Natale è
incontro

Ma c’è un’altra parola da associare al Natale e che Bergoglio-Papa Francesco ha sempre avuto come “bussola” del suo pensiero e del suo agire: è la parola “incontro”, fil rouge dell’attuale Pontificato durante il quale si è sviluppata una vera e propria «cultura dell’incontro».

«Il Natale è la festa dell’incontro con Gesù — diceva nel 2010 l’arcivescovo di Buenos Aires —. Egli si trova davanti alla porta del tuo cuore, ti sta chiamando, sta venendo. La Natività ci ricorda che Dio è venuto una volta, che ritornerà e che ci invita a riceverLo tutti i giorni».

Sulla stessa linea, nel 2017, dalla Cattedra di Pietro, Francesco ha sottolineato: «Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato».

Natale è
vita

Il Bambino che nasce, diceva già il 24 dicembre 2012 l’allora arcivescovo argentino, «è il segno che tutti aspettavamo. Il nostro Dio passa questa notte per darci un segno. Dio veglia per curare la cosa più elementare che gli uomini hanno nelle loro mani: la vita».

La vita di Dio, ribadiva poi nel dicembre 2018, «scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi. Perché quando Gesù cambia il cuore, il centro della vita non è più il mio io affamato ed egoista, ma Lui, che nasce e vive per amore».

E ancora, a Natale del 2020, Papa Francesco richiamava: «Questo segno, il Bambino nella mangiatoia, è anche per noi, per orientarci nella vita. A Betlemme, che significa “Casa del pane”, Dio sta in una mangiatoia, come a ricordarci che per vivere abbiamo bisogno di Lui come del pane da mangiare. Abbiamo bisogno di lasciarci attraversare dal suo amore gratuito, instancabile, concreto. (…) Quella mangiatoia, povera di tutto e ricca di amore, insegna che il nutrimento della vita è lasciarci amare da Dio e amare gli altri».

Natale è
sorpresa

Infine, nel Natale di Bergoglio-Papa Francesco c’è quell’incanto-bambino, quello stupore che solo Dio sa donare all’umanità: «Lasciamoci sorprendere da questa meraviglia di Dio — affermava il futuro Pontefice nel 2006 —. Dalla più grande semplicità deriva la sua grandezza. Con questa sorpresa rechiamoci nelle periferie dell’esistenza e annunciamo quanto questa sorpresa ha operato nel nostro cuore».

Un pensiero ribadito anche lo scorso anno: «Il Natale è sempre una sorpresa. È il Signore che viene a visitarci, e io vivo questo arrivo con la mistica dell’Avvento: aspettare un po’ di tempo e predisporsi per incontrare Dio, che rinnova tutto in bene».

Famiglia, tenerezza, pazienza, semplicità, incontro, vita, sorpresa: tutto questo, dunque, è il vero significato del Natale indicato dal Pontefice. L’invito è a farne tesoro, affinché sia il regalo più bello da riporre ai piedi dell’albero della nostra speranza.

di Isabella Piro