L’angolo delle certezze perdute

La panchina

 La panchina  ODS-005
03 dicembre 2022

Ecco, era proprio davanti a me, in quel punto preciso. E la vedo ancora. All’inizio la sentivo fredda e ostile, nemica, come fosse lei la responsabile della mia situazione di fortissimo “disagio sociale”, come avevano scritto sul foglio di dimissione dall’ospedale. Si diventa barboni piano piano e la mia panchina mi aveva accompagnato per mano nella mia discesa agli inferi. Poi, con il passare del tempo, era diventata accogliente, familiare, quasi morbida. E d’inverno “l’abbracciavo” quasi fosse la coperta più calda del mondo.

Ma quando arrivata il tepore della primavera sognavo, a volte, di essere con la sdraio in riva al mare. Insomma, quella panchina era tutto per me. In poche parole era la mia casa. Certo, non c’erano i servizi e tante altre cose, ma io mi ci ero affezionato.

Però, un brutto (gran brutto) giorno l’avevano segata forse per farci un fuoco o non so cos’altro.

Mi manca la mia panchina.

Mi mancano le persone che si fermavano e che mi raccontavano la loro vita. Come ad esempio Hope, una donna delle pulizie che dormiva sulla panchina vicino alla mia, perché non poteva permettersi il costo di una stanza.

Mi raccontava del suo paese dove erano rimasti i figli ai quali mandava i soldi ed erano il suo orgoglio perché avevano fatto l’università.

O Peppino, un signore sui 70 anni che, dopo la fine del suo rapporto di lavoro, non era riuscito ad avere subito la pensione ed era caduto in povertà.

Insomma, era il mio microcosmo al quale ero affezionato ed era diventata la mia famiglia.

Adesso qui davanti a quello spazio vuoto mi sento anch’io vuoto e senza punto di riferimento.

Così mi ritrovo ad iniziare di nuovo per riconquistare il mio spazio per illudermi di avare una casa. Sì, la casa, questa chimera sempre più lontana e distante.

Furio