Sulla porta di casa Duclair e la sua storia

La festa della comunione

 La festa della  comunione  ODS-005
03 dicembre 2022

Natale. Se può balzare a tutti cosa può significare, niente può mai essere scontato. E con il racconto di Duclair, migrante dal Camerun, un senso inaspettato, forse perché l’abbiamo un po’ dimenticato, ci viene regalato. «Natale in Africa, come in Italia, è il tempo dove la famiglia si riunisce. Si sente molto il tempo della festa, anche se non sempre si comprende veramente il significato. Potrei dire che è il tempo della comunione».

Duclair vive nel nostro paese da diversi anni, accolto nel Centro Astalli, e grazie all’aiuto ricevuto, è diventato operatore socio-sanitario presso una struttura privata.

Quali sono i tuoi ricordi d’infanzia? Dopo aver pensato un po’, la sua voce diventa più calda: «Quando ero bambino, frequentavo le attività della chiesa. La sera della Vigila, il 24, si andava alla liturgia che durava fino a mezzanotte. La mattina del 25 venivano organizzate attività proprio per i bambini, recite, cori, dove raccontavamo la vita di Gesù».

Ma quando iniziava esattamente il tempo della festa? «Quando la scuola finiva, qualche giorno prima del 24. E noi potevamo scegliere e comprare con la mamma il vestito che avremmo indossato in quei giorni. Era per noi importante. Si cominciava mesi prima a raccogliere i soldi per poterlo comprare. Mi ricordo che a 12 anni misi da parte i soldi ricevuti dagli zii in altre occasioni, e mi ci volle un anno per poterlo acquistare. In Camerun, come nei paesi limitrofi, a Natale i bambini possono essere liberi». Cosa vuol dire questo? «In Africa non ci sono luoghi dove i bambini possono andare a giocare liberamente tutti i giorni. A Natale, invece, avevamo il permesso di uscire, accompagnati dai fratelli più grandi, potevamo andare a ballare con gli amici o potevamo essere accompagnati al parco giochi, vedere recite di altri compagni, andare ai concerti nelle varie parrocchie. Per questo era importante avere un vestito nuovo solo per l’occasione. Quei giorni non si aveva fretta di ritornare a casa, si poteva stare fuori più del solito».

Dalle parole di Duclair capisco che lo spirito della festa non era concentrato in qualcosa di materiale. Infatti, dopo poco aggiunge: «Da noi non c’è la cultura di scambiarsi i regali, come ho visto fare qui in Italia. Il nostro regalo, che veniva fatto o dalla mamma o dalla zia, era il vestito nuovo, o poteva capitare di ricevere un gioco direttamente da loro. Quando sono venuto qui in Italia, ho colto la differenza. Da noi si percepisce il senso più religioso della festa. In Italia mi sembra che sia più culturale».

Rimanendo un po’ perplessa da questo commento, mi lascio spiegare il perché di questa differenza: «In Camerun la chiesa è il luogo più importante per la nostra socialità. Le festività e le ricorrenze, ci permettono di ritrovarci, soprattutto quando si è giovani. Non abbiamo altri luoghi per darci appuntamento, ma durante le feste abbiamo l’opportunità di conoscerci meglio».

Quali sono i ricordi del Natale più belli che hai vissuto in Africa? «Quando dopo pranzo si metteva la musica e tutti ballavano, piccoli, anziani, giovani. Si cominciava dalla musica che piaceva a mia mamma, fino a quella dei più piccoli. Quando voglio ricordare i miei, riascolto quella musica e mi viene nostalgia. Ma il Natale più bello è stato invece quando, dopo essermi allontanato dalla mia famiglia — era oramai un anno che non parlavo più con loro — mi sono presentato con in braccio la mia prima figlia, nata qualche giorno prima. Come ho detto all’inizio, Natale è la festa della comunione, può succedere di tutto durante l’anno, ma quel giorno si perdona tutto perché un nuovo anno è pronto per cominciare».

Se per tutto il primo tempo dell’intervista, il volto di Duclair esprimeva la felicità nostalgica di chi riporta in vita i ricordi più belli, a questo punto si fa più serio. Com’è stato il primo Natale che hai vissuto in Italia? «Ero con un’amica e siamo andati ad una festa organizzata da un’associazione camerunense qui a Roma. Non ho vissuto il Natale in quel momento. Il secondo anno invece, vivevo con una famiglia italiana, presso la quale facevo assistenza. E qui ho capito cos’è il Natale per voi: la tavola piena di cibo, tutti vestiti eleganti, di rosso, e qualcuno che guardandoti con un sorriso ti porge un regalo. È stato un momento speciale».

Il suo volto ora si fa sereno e, con tono orgoglioso, continua: «Ora ho casa mia. Invito i miei amici e festeggiamo insieme. Cuciniamo il piatto tipico del Camerun che è il pollo, mettiamo la musica per ballare» e, aggiunge sorridendo, «e ci scambiamo i regali».

di Giuditta Bonsangue