Ci sono ferite che si vedono ed altre che restano nascoste, ma che sono molto più dolorose. Ferite di cui non riesci a liberarti. Ti accompagnano e ti segnano la vita. Per sempre. Ce le mostra questa testimonianza, ascoltata e trascritta in prima persona dagli operatori di un centro di ascolto della Caritas. Quella di Mary non è una storia isolata. È la stessa di tanti altri migranti, soprattutto donne, che chiedono solo accoglienza, ascolto e il diritto di riprendersi la vita.
«Mi chiamo Mary, ho 16 anni e sono africana. Mi trovo in Italia da qualche mese, ma non so definire bene il tempo preciso... Non sto affatto bene, perché di botto tutto è cambiato...
Andavo a scuola, ero felice insieme ai miei familiari; adesso sono sola, in un posto nuovo e non mi è rimasto niente. Un giorno, non ricordo quando, dei militari mi hanno catturata, pensando che avessi informazioni per loro utili; mi hanno caricata in macchina, era come se la strada non finisse mai. Poi siamo arrivati in una prigione. Mi sembrava che il tempo non passasse, avevo paura, anzi ero proprio terrorizzata.
Ad un certo punto, mi hanno preso con violenza e mi hanno portato in un’altra stanza dove hanno cominciato a tartassarmi di domande. Ricordo solo che dicevo: “Non lo so, non lo so, è la verità, mi dispiace, non lo so…”. Poi hanno cominciato davvero a farmi del male, mi hanno violentata, minacciandomi con la pistola e mi hanno detto che se non avessi risposto se la sarebbero presa con i miei familiari. Mi hanno picchiata, ma questo in fondo è la cosa meno grave e più facile da sopportare; tutto questo non solo per un giorno.
In quei momenti chiudevo gli occhi e speravo solo che tutto finisse, e, se per finire, dovevo morire, speravo di morire presto. Anche adesso risento la paura, le loro mani, risento la mia impossibilità di reagire e quel desiderio di morire.
È proprio per questo che decisi di smettere di mangiare, speravo di uccidermi. Un giorno, inaspettatamente, delle guardie mi hanno aiutato a scappare. Sono salita in una macchina, abbiamo fatto tanta strada e poi, ad un certo punto, mi hanno buttata giù. Stavo con la faccia sulla terra e ho lasciato passare qualche minuto prima di alzarla. Avevo paura che qualcuno arrivasse a picchiarmi, mi sembrava impossibile che mi avessero lasciata veramente libera. Quando ho guardato su mi sono accorta che ero in mezzo al nulla e, non so per quale motivo, ho cominciato a correre, a correre, fino a che non ho raggiunto un posto familiare.
La mattina dopo ho lasciato il paese. Non so come spiegarvi, da una parte sapevo di essere libera, viva, dall’altra mi sentivo morta. Sono venuta in Italia. Mi sono di nuovo sentita terrorizzata, e di nuovo mi sono detta: “Sono davvero salva?”. Di nuovo sola e senza sapere cosa fare. Ho cominciato a piangere a dirotto, una donna di colore si è fermata, mi ha portata a casa sua e lì ho passato la notte. Era carina con me, ma io continuavo a sentirmi fredda e distaccata. Abbiamo trovato una casa famiglia.
Adesso sono qui davanti a voi perché mi hanno detto che potete aiutarmi a stare meglio. Ma io mi chiedo: “Come faccio a stare meglio e che vuol dire stare meglio?”
Ho paura, costantemente paura, di tutto e di tutti, anche se sto guardando la televisione ho paura. Se vedo un poliziotto per la strada, mi salta il cuore in gola, mi paralizzo, non riesco né a muovermi né a parlare. A volte, quando qualcuno mi fa una domanda, rimango come assente e non riesco a rispondere.
Sto mangiando, parlo tranquillamente con le mie compagne e, improvvisamente, mi sento irrequieta, nervosa. Io ero brava a scuola, adesso sto imparando l’italiano e in alcuni momenti mi sento male in classe, perché l’insegnante parla e io non riesco a stare attenta. Non riesco a iniziare una cosa e a portarla fino alla fine, mi danno un’informazione e dieci minuti dopo l’ho dimenticata.
È bruttissimo quando sto facendo delle cose, le più varie, e all’improvviso mi viene alla mente quella maledetta cella, gli odori, i suoni che c’erano, e tutto quello che mi hanno fatto lì… e io non so come fare a smettere di vedere queste cose, di pensare a queste cose; non riesco a farlo nemmeno di notte, quando dovrei dormire. E invece no, mi sveglio e comincio a pensare, oppure faccio degli incubi spaventosi che mi svegliano e se mi riaddormento ricominciano da capo. E poi mi succedono delle cose strane, a volte mi chiedo se sto impazzendo: sono sull’autobus per andare in un posto e a un certo punto mi accorgo che sono passate più e più fermate rispetto a quella a cui sarei dovuta scendere e io non so dove sono, come ci sono arrivata e dove in realtà dovevo andare. Non ricordo più niente, come se mi fossi addormentata nel frattempo.
Non capisco perché sto cosi, non capisco cosa mi stia succedendo, questa non è più la mia vita, non è più una vita...».