DONNE CHIESA MONDO

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Una indagine sentimentale per far rivivere una madre non conosciuta

 Una indagine sentimentale  per far rivivere una madre non conosciuta  DCM-011
03 dicembre 2022

Maria Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata, Einaudi

Il padre e la madre di Maria Grazia Calandrone la lasciarono a otto mesi nel parco romano di Villa Borghese, un giorno di giugno caldo del 1965, sperando che trovasse una famiglia di animo buono. Poi la coppia scelse di gettarsi nel Tevere per mettere fine a una vita agra. Il padre non riusciva a trovare lavoro mentre la madre, Lucia Galante, era fuggita dal marito e Maria Grazia era dunque nata da un amore all’epoca illegale. Calandrone ha atteso più di cinquant’anni, e significativamente ha atteso anche la propria maternità di una figlia femmina, prima di affondare le mani nella materia delle proprie origini, ricavando una eccezionale investigazione poetica sulla ragazza molisana, figlia di mezzadri, che la mise al mondo. Lucia Galante venne data in sposa contro la propria volontà a un uomo che mai riuscì a entrare nelle vesti di marito e che per questo la picchiava. Calandrone esplora i luoghi della prigionia coniugale: la casupola misera e senza bagno, il materasso di sterpaglie. La libertà arrivò con Giuseppe, mastro edile, uomo che già aveva moglie e figli ma che per Lucia abbandonò tutto, anche la propria vita.

Calandrone pone sul tavolo indizi evanescenti e sconnessi che poco a poco diventano ipotesi, racconto e infine poesia. Le valigie abbandonate dai genitori in una piazza a Roma, la città che non conoscevano ma che scelsero per la figlia Maria Grazia. La visita all’amore di gioventù. Il corpo del padre Giuseppe, ritrovato e mai riconosciuto ufficialmente dalla famiglia.

La figura di Lucia, che compie il gesto indicibile di separarsi dalla propria bambina, è immersa nella comprensione e nel perdono. Calandrone cancella uno dopo l’altro i sospetti che fosse una sciagurata, una madre indegna. Ritrova i documenti dell’ospedale milanese dove è nata e scopre che per allontanare la bambina dallo scandalo del concubinaggio e dell’adulterio — questi erano i reati di Lucia per i quali poteva finire in carcere — la madre dichiarò che Maria Grazia era figlia del marito legittimo e non dell’uomo che aveva scelto. Scopre che i passi compiuti dai genitori prima di abbandonarsi al fiume grande di Roma furono dettati dall’unica preoccupazione che la sua storia risuonasse sui giornali per destare la migliore attenzione possibile. Scopre che l’amore di sua madre, invisibile perché assente, si incarnava nei vestiti puliti e asciutti, negli abbracci che rimangono come un’impronta. Ripercorrendo i suoi passi, Calandrone rovescia i ruoli e diventa madre poetica della propria madre, che nell’ultima pagina appella “figlia mia”. Il viaggio termina al cimitero di Palata, il suo paesino natale, dove Lucia Galante non ebbe la messa funebre perché suicida. Qui, scrive Calandrone, «posso finalmente accarezzare il volto di mia madre, e il suo corpo di luce e di niente (…) Lucia aveva la seconda elementare, ma era libera. Perché aveva cuore. Quello che ancora splende, irreparabile».

di Laura Eduati