DONNE CHIESA MONDO

Prospettiva ebraica

Una donna ebrea, l’influenza su suo figlio non deve essere sottovalutata

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03 dicembre 2022

Da bambina, crescendo in un quartiere in prevalenza portoghese-cattolico romano nel nordest degli Stati Uniti, Maria mi affascinava. Tutte le statue — e quasi ogni famiglia ne aveva una, che fosse piccola sulla mensola del camino o più grande sul prato davanti casa — la mostravano con lineamenti bellissimi, eleganti vesti blu e la corona più bella in assoluto mai indossata.

Il mio film preferito era Nostra Signora di Fatima del 1952. Non sono mai riuscita a decidere se preferivo ricevere una visione della Beata Vergine come Lucia, Jacinta e Francisco, o fuggire con il bel Gilbert Roland, che interpretava Hugo da Silva, il protagonista maschile.

Da bambina, inoltre, mi identificavo con Maria. Mia madre mi aveva detto che Maria era ebrea, proprio come me. Maria andava alla sinagoga, proprio come me. Maria recitava le antiche preghiere come «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo», proprio come me. Spesso fingevo di essere Maria: mi avvolgevo in un lenzuolo blu, mi mettevo in testa una federa blu, costruivo una corona con i fogli di alluminio e sorridevo dolcemente a tutti quelli che incontravo.

D’altro canto avevo sentito anche il racconto di Natale, di come l’angelo Gabriele era apparso a Maria, una vergine ebrea, dicendole che avrebbe partorito un figlio. Ero l’unica bambina ebrea, e quindi l’unica vergine ebrea del mio quartiere, così pensavo che magari Gabriele sarebbe apparso a me. Questa idea da un lato m’intrigava, ma dall’altro mi spaventava.

Oggi, come madre sposata di due figli, non aspiro più a essere una madre vergine. Ma come docente di Nuovo Testamento Maria continua ad affascinarmi e a ispirarmi.

Mi domando se i suoi genitori la chiamarono Maria — uno dei nomi più comuni delle donne ebree nel primo secolo — in onore di Miriam, la sorella di Mosè, che guidò gli Israeliti nell’esodo e nel deserto. O magari la chiamarono come Mariamne, la principessa asmonea sposata a Erode il Grande, simbolo d’indipendenza degli ebrei rispetto al dominio romano? Che cosa pensava Maria della politica, del Tetrarca Archelao, che governava la Galilea, o dei governatori romani che sostituirono la leadership ebrea nell’anno 6 E.V.?

Proprio come mia madre mi ha raccontato delle storie e io le ho raccontate ai miei figli, penso che anche Maria ne abbia raccontate a Gesù. Secondo il libro di Tobi, la nonna di Tobia, Debora, gli insegnò la Torah, proprio come altre donne ebree istruivano i propri figli. Senz’altro Maria insegnò a Gesù le istruzioni della Torah sull’amare Dio e amare il prossimo, prescrizioni che sono finite nel “grande comandamento” in Matteo 22, 36-40 e Marco 12, 28-34. Forse gli raccontò di come Mosè aveva guidato il suo popolo dalla schiavitù alla libertà, di come re David aveva portato l’arca a Gerusalemme, di come Giuda Maccabeo aveva sconfitto le forze sire che avevano dissacrato il Tempio di Gerusalemme. Probabilmente gli raccontò come i profeti Elia ed Eliseo avevano guarito corpi e fornito cibo alle persone affamate; magari gli parlò di Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esau, le cui storie sono alla base della parabola del Figliol prodigo. O forse gli parlò del servo di Isaia, che soffrì per il suo popolo.

L’influenza di Maria su suo figlio, anche se può essere solo immaginata, non deve essere sottovalutata.

di Amy-Jill Levine