Nell’intervista ad «America Magazine» il Papa parla di aborto, abusi e dell’accordo con la Cina

L’armonia delle differenze

 L’armonia delle differenze  QUO-272
28 novembre 2022

In Ucraina la Santa Sede è disponibile a mediare


Papa Francesco ha rilasciato una intervista in spagnolo alla rivista «America Magazine» fondata dalla Compagnia di Gesù negli Stati Uniti d’America. A porre le domande padre Matt Malone, direttore uscente; padre Sam Sawyer, direttore entrante; Kerry Weber, direttore esecutivo; Gerard O’Connell, corrispondente; Gloria Purvis, conduttrice del “Gloria Purvis Podcast”. Pubblichiamo una traduzione di ampi stralci dell’intervista.

(...) Negli Stati Uniti abbiamo visto una polarizzazione sempre più profonda, non solo politica ma anche nella vita della Chiesa. Come può la Chiesa rispondere alla polarizzazione al suo interno e aiutare la società?

La polarizzazione non è cattolica. Un cattolico non può pensare aut-aut (...). L’essenza di ciò che è cattolico è et-et. (...). Il popolo di Dio è uno solo. Quando c’è polarizzazione, entra una mentalità divisiva che privilegia alcuni e lascia indietro altri. Il cattolico è sempre armonia delle differenze (...).

La maggioranza dei cattolici sembra aver perso fiducia nella capacità della Conferenza episcopale di offrire una guida morale. Come possono i vescovi riconquistare la fiducia dei cattolici americani?

(...) Penso che sia fuorviante fare la relazione cattolici-Conferenza episcopale. La Conferenza episcopale non è il pastore, il pastore è il vescovo. Così si corre il rischio di sminuire l’autorità del vescovo quando si guarda a una Conferenza episcopale. La Conferenza episcopale è per unire i vescovi, per lavorare uniti, discutere i problemi, fare piani pastorali. Ma ogni vescovo è il pastore. Non dissolviamo la potestà episcopale, riducendola alla potestà della Conferenza episcopale. Perché lì lottano le tendenze, più a destra, più a sinistra, più di qua, più di là, e in qualche modo non c’è una responsabilità in carne e ossa come quella del vescovo con il suo popolo, pastore, col suo popolo. Gesù non ha creato la Conferenza episcopale, Gesù ha creato i vescovi e ogni vescovo è il pastore del suo popolo (...). Quindi la domanda è: qual è il rapporto di un vescovo con il suo popolo? E io mi permetto di citare un vescovo che non so se sia conservatore, se è progressista, se è di destra, se è di sinistra, ma è un ottimo pastore. (Mark) Seitz (vescovo di El Paso), al confine con il Messico, è un uomo che prende in mano tutte le contraddizioni di quel luogo e le porta avanti come pastore (...). Avete alcuni buoni vescovi che sono più di destra, alcuni buoni vescovi che sono più di sinistra, ma sono più vescovi che ideologi, sono più pastori che ideologi. E questo è il segreto. La risposta alla sua domanda è: la Conferenza episcopale può variare, è un’organizzazione per aiutare e unire, simbolo di unità. Ma la grazia di Gesù Cristo è nella relazione tra il vescovo e il suo popolo, la sua diocesi.

L’aborto è una questione fortemente politicizzata negli Usa. I vescovi dovrebbero dare priorità all’aborto rispetto ad altre questioni di giustizia sociale?

(...) In qualsiasi libro di embriologia si dice che un poco prima del compimento del primo mese dal concepimento sono già delineati gli organi nel feto piccolino e il Dna. Prima che la madre se ne renda conto. Quindi è un essere umano vivo. Non dico una persona, perché si discute su questo, ma un essere umano. E mi faccio due domande. È giusto eliminare un essere umano per risolvere un problema? Seconda domanda: è giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Il problema è quando questa realtà di uccidere un essere umano si trasforma in un problema politico. O quando un pastore della Chiesa entra in una categorizzazione politica. Ogni volta che un problema perde pastoralità (...) si trasforma in un problema politico (...). Quando vedo che un problema come questo, che è un crimine, acquista un’intensità fortemente politica, dico, lì manca pastoralità (...). Sia in questo problema dell’aborto sia in altri problemi, non bisogna perdere di vista la pastoralità: un vescovo è un pastore, una diocesi è il santo popolo fedele di Dio con il suo pastore. Non possiamo trattarlo come se fosse una questione civile.

La domanda era se la Conferenza episcopale dovesse presentare la lotta contro l’aborto come il problema numero uno, mentre tutti gli altri sono secondari...

La mia risposta è: è un problema della Conferenza episcopale che si deve risolvere al suo interno. Quello che a me interessa è il rapporto del vescovo con il popolo, che è l’aspetto sacramentale. L’altro è quello organizzativo e le Conferenze episcopali a volte si sbagliano. Basta guardare la Seconda Guerra [mondiale], alcune scelte che qualche Conferenza episcopale ha fatto e si stava sbagliando da un punto di vista politico e sociale. A volte vince una maggioranza che forse non è quella che ha o meno ragione (...). La Conferenza aiuterà a fare corsi, è molto meritevole quello che fa, ma il pastore è più importante. Più che importante, direi essenziale, l’aspetto sacramentale. (...) Ogni vescovo deve cercare la fratellanza con gli altri vescovi (...). Ma l’essenziale è il rapporto con il suo popolo.

La crisi degli abusi sessuali ha danneggiato notevolmente la credibilità della Chiesa e il suo sforzo di evangelizzazione. Le recenti rivelazioni di abusi commessi da vescovi hanno aumentato le preoccupazioni sulla trasparenza. Cosa può fare il Vaticano per migliorare questo aspetto?

(...) Fino alla crisi di Boston, quando tutto è venuto fuori, nella Chiesa si operava cambiando di posto qualche autore di abusi, coprendo (...). Il problema dell’abuso sessuale è gravissimo nella società (...). L’abuso di minori è tra le cose più mostruose. La consuetudine era quella che si usa ancora nelle famiglie o in qualche altra istituzione: coprire. La Chiesa ha fatto una scelta: non coprire. E da lì si è proceduto attraverso processi giudiziari e la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Lì è stato grande il cardinale O’Malley, di Boston, che ha avuto l’idea di istituzionalizzare tutto ciò all’interno della Chiesa. Quando la gente onesta vede come la Chiesa si fa carico di questa mostruosità, vede che una cosa è la Chiesa e un’altra sono gli autori di abusi che sono all’interno della Chiesa e che sono puniti dalla Chiesa stessa. Benedetto xvi è stato grande nel prendere queste decisioni (...). Una delle cose che più mi preoccupano su questo è la pedo-pornografia: si filma dal vivo, in quale Paese si filma? Che cosa fanno le autorità di quel Paese che consentono ciò? È criminale, criminale. La Chiesa si fa carico del proprio peccato e andiamo avanti, peccatori, confidando nella misericordia di Dio. Quando viaggio, in genere ricevo una delegazione di vittime di abusi. Un aneddoto: quando ero in Irlanda mi hanno chiesto udienza delle persone vittime di abusi. Erano sei o sette e sono venute un po’ così (arrabbiate) all’inizio e avevano ragione. Ho detto loro: “Guardate, facciamo una cosa, domani devo dire l’omelia. Perché non la prepariamo insieme, su questo problema?”. E allora si è verificato un fatto bellissimo, perché quella che era semplicemente una protesta si è trasformata in qualcosa di positivo e tutti insieme hanno preparato con me l’omelia del giorno seguente. È stata una cosa positiva, in Irlanda, uno dei luoghi più “caldi” che ho dovuto affrontare (...).

La Chiesa degli Stati Uniti ha fatto un grande passo avanti nella gestione degli abusi quando si tratta di sacerdoti. Tuttavia, sembra che ci sia meno trasparenza quando viene accusato un vescovo...

Sì e credo che qui occorra procedere con altrettanta trasparenza. Se c’è meno trasparenza, è un errore.

A proposito dell’Ucraina, molti negli Stati Uniti sono rimasti confusi dalla sua apparente riluttanza a criticare direttamente la Russia. Come spiegherebbe la sua posizione su questa guerra agli ucraini, agli americani e ad altri che sostengono l’Ucraina?

Quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Quando c’è un popolo martirizzato, c’è qualcuno che lo martirizza. Quando parlo dell’Ucraina parlo della crudeltà, perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano. Generalmente i più crudeli sono forse quelli che vengono dalla Russia, ma non dalla tradizione russa, come i ceceni, i buriati, e così via. Di certo, a invadere è lo Stato russo. È molto chiaro. A volte cerco di non specificare per non offendere e piuttosto condanno in generale, anche se è ben noto chi sto condannando. Ma non è necessario che io dica nome e cognome. Il secondo giorno della guerra sono andato all’ambasciata russa [presso la Santa Sede], un gesto insolito perché il Papa non va mai a un’ambasciata. E lì ho detto all’ambasciatore di riferire a [Vladimir] Putin che ero disposto a viaggiare a condizione che mi concedesse una piccola finestra per negoziare. [Sergej] Lavrov, il ministro degli Esteri, ad alto livello, ha risposto con una lettera molto gentile, dalla quale ho capito che al momento non era necessario.

Ho parlato due volte al telefono con il presidente Zelensky. E in generale lavoro ricevendo elenchi di prigionieri, sia prigionieri civili sia prigionieri militari, e li faccio inviare al governo russo; e la risposta è sempre stata positiva. Ho anche pensato di viaggiare, ma ho deciso: se viaggio, vado a Mosca e a Kyiv, in entrambe, non solo in una. E non ho mai dato l’impressione di coprire l’aggressione. Qui, in questa sala ho ricevuto, tre o quattro volte, una delegazione del governo ucraino. E lavoriamo insieme. Perché non menziono Putin? Non è necessario; si sa già. Tuttavia, a volte le persone si attaccano a un dettaglio. Tutti conoscono la mia posizione, con Putin o senza Putin, senza menzionarlo. Alcuni cardinali si sono recati in Ucraina: il cardinale Czerny c’è stato due volte; [l’arcivescovo] Gallagher, che è responsabile dei Rapporti con gli Stati ha trascorso quattro giorni in Ucraina e ho ricevuto una relazione su ciò che ha visto; e il cardinale Krajewski è andato quattro volte. Va con il suo furgone pieno di cose e ha trascorso l’ultima Settimana Santa in Ucraina. Intendo dire che la presenza della Santa Sede con i cardinali è molto forte, e sono in continuo contatto con persone in posizioni di responsabilità. E vorrei menzionare che in questi giorni ricorre l’anniversario dell’Holodomor, il genocidio commesso da Stalin nei confronti degli ucraini (nel 1932-1933). Ritengo che sia giusto ricordare un precedente storico del conflitto [attuale]. La posizione della Santa Sede è quella di cercare pace e un’intesa. La diplomazia della Santa Sede si sta muovendo in questa direzione e, naturalmente, è sempre disponibile a mediare.

Un recente sondaggio ha mostrato che un gran numero di cattolici neri sta lasciando la Chiesa. Cosa direbbe ora ai cattolici neri negli Usa che hanno sperimentato il razzismo e allo stesso tempo una sordità all’interno della Chiesa per gli appelli alla giustizia razziale?

Direi loro che sono vicino alla sofferenza che stanno vivendo, che è una sofferenza razziale (...).

Come possiamo incoraggiare i cattolici neri a rimanere?

(...) Direi ai cattolici afro-americani che il Papa è consapevole della loro sofferenza e che li ama tanto, e che devono resistere e non allontanarsi. Il razzismo è un peccato intollerabile contro Dio. La Chiesa, i pastori e i laici devono continuare a lottare per sradicarlo e per un mondo più giusto. Colgo questa occasione per dire che amo tanto anche i popoli indigeni degli Stati Uniti. E non dimentico le persone di origine latinoamericana, che ormai lì sono tante.

Molte donne soffrono perché non possono essere ordinate sacerdote. Cosa direbbe a una donna che sta già servendo nella vita della Chiesa, ma che si sente chiamata specificamente a essere sacerdote?

Questo è un problema di natura teologica. Credo che andiamo ad amputare l’essenza della Chiesa se consideriamo solo la via della dimensione ministeriale nella vita della Chiesa. La via non è solo quella del ministero [ordinato]. La Chiesa è donna, la Chiesa è una sposa. Noi non abbiamo sviluppato una teologia della donna che rifletta questo. La dimensione ministeriale, possiamo dire, è quella della Chiesa petrina (...). Ma c’è un altro principio che è addirittura più importante, del quale non parliamo, ed è il principio mariano che è il principio del femminino nella Chiesa, della donna nella Chiesa, nel quale la Chiesa si vede rispecchiata perché essa è donna e sposa. Una Chiesa con il solo principio petrino sarebbe una Chiesa della quale si potrebbe pensare che sia ridotta alla sua dimensione ministeriale, nulla più. Invece, la Chiesa è molto più che un ministero. Essa è tutto il popolo di Dio. La Chiesa è donna, la Chiesa è sposa. Per questo, la dignità della donna è rispecchiata in questa via. E c’è poi una terza via: la via amministrativa. La via ministeriale, la via ecclesiale — diciamola così, mariana — e la via amministrativa, che non è una cosa teologica (...). E in questo campo credo che dobbiamo dare maggiore spazio alle donne. Qui in Vaticano, tutti i posti nei quali abbiamo messo le donne, funzionano meglio. Per esempio, nel Consiglio per l’Economia ci sono sei cardinali e sei laici. Due anni fa, tra quei sei laici ho nominato cinque donne, ed è stata una rivoluzione. La vice-governatrice del Vaticano è una donna. Quando una donna entra in politica o gestisce cose, generalmente fa meglio. Molti economisti sono donne, e quelle donne stanno rinnovando l’economia in maniera costruttiva (...). E perché una donna non può entrare nel ministero ordinato? Perché il principio petrino non prevede uno spazio per questo. Sì, è vero, dobbiamo essere nel principio mariano, che è più importante. La donna è di più, ella assomiglia di più alla Chiesa che è sposa e madre (...). Quello che volevo era sottolineare i due principi teologici: il principio petrino e quello mariano, che sono quelli che fanno la Chiesa. In questo senso, il fatto che la donna non entri nella vita ministeriale non è una deprivazione: no. Il posto (della donna) è un posto molto più importante ed è una posizione che dobbiamo ancora sviluppare (in una catechesi) sulla donna nella via del principio mariano (...).

Negli Stati Uniti c’è chi interpreta le sue critiche al capitalismo di mercato come critiche agli Stati Uniti. C’è chi la definisce un socialista, un comunista, un marxista (...)?

Mi chiedo sempre: ma da dove vengono queste etichette? (...) Mi illuminano molto le Beatitudini, ma soprattutto il protocollo su cui saremo giudicati: Matteo 25. “Ho avuto sete e mi avete dato da bere. Ero in prigione, e mi avete visitato. Ero malato e mi avete curato”. Questo significa, allora, che Gesù era comunista? Il problema che è dietro a tutto questo (...) è la riduzione del messaggio evangelico a un fatto socio-politico. Se io considero il Vangelo unicamente in maniera sociologica, allora sì, è vero, sono comunista e lo è anche Gesù (...).

È stato criticato per aver firmato un accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi. Alcune persone nella Chiesa e nella politica dicono che sta pagando un prezzo alto per aver mantenuto il silenzio sui diritti umani in Cina...

Non è una questione di parlare o di tacere. Non è questa la realtà. La realtà è dialogare o non dialogare. E il dialogo si conduce fino al punto dove è possibile farlo. Per me, l’esempio più alto nel periodo moderno della Chiesa è il cardinale Casaroli (...). I Papi — e intendo Paolo vi e Giovanni xxiii — lo inviarono soprattutto nei Paesi dell’Europa centrale per cercare di ri-stabilire le relazioni nel periodo del comunismo, durante la Guerra fredda. E quest’uomo ha dialogato con i governi, lentamente, facendo quel che poteva, e lentamente è riuscito a ri-stabilire la gerarchia cattolica, in quei Paesi (...). Non sempre era possibile nominare la persona migliore come arcivescovo nella capitale, quanto piuttosto quella che era possibile nominare in accordo con il governo... Il dialogo è la strada della migliore diplomazia. Con la Cina io ho optato per la via del dialogo. È lenta, ha dei contraccolpi, ha anche successi, ma io non trovo un’altra via. E voglio sottolineare questo: il popolo cinese è un popolo con grande saggezza e merita il mio rispetto e la mia ammirazione. Davanti a loro, tanto di cappello! Per questo cerco di dialogare, perché non stiamo andando a conquistare un popolo, no! Lì ci sono dei cristiani. Hanno bisogno della nostra attenzione in modo che possano essere bravi cinesi e bravi cristiani (...).