L’arcivescovo Gallagher per la festa nazionale romena

Nella crisi un nuovo inizio

 Nella crisi un nuovo inizio  QUO-271
26 novembre 2022

«L’esperienza della pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina, con i suoi molteplici e minacciosi effetti in tutto il mondo», hanno reso consapevoli molti della fragilità della vita umana e delle sue sicurezze. Suscitando alcune domande: «Che cosa rimane in tutta questa incertezza? Cosa può garantire la sicurezza nella mia vita?». Sono gli interrogativi che si è posto l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, all’omelia pronunciata giovedì 24 novembre nella basilica dei Santi xii Apostoli, a Roma, durante la celebrazione eucaristica per la festa nazionale della Romania, che ricorre il 1° dicembre.

Dopo aver fatto giungere il saluto e la benedizione di Papa Francesco nel ricordo del suo viaggio apostolico del 2019 nel Paese, l’arcivescovo ha preso spunto dai testi liturgici dei giorni tra la festa di Cristo Re, domenica scorsa, e l’inizio dell’Avvento, domani, nei quali si parla di distruzione e di fine dei tempi. Il presule ha sottolineato come l’universo abbia «una scadenza e la nostra vita la sua fine. Anche se preferiamo spesso dimenticare la transitorietà del nostro universo e delle nostre vite, prima o poi ci troviamo di fronte a questa realtà». Ma tale prospettiva, ha ammonito l’arcivescovo, non deve paralizzare e impedire l’impegno per un mondo migliore. Questo perché «la dinamica che la fede cristiana provoca è frutto dei due elementi del messaggio apocalittico: c’è una fine, ma ci sarà anche qualcosa di nuovo che segue. Ed è proprio la vita nuova in Dio che ci responsabilizza per l’oggi. Più ci confrontiamo con la caducità, più ragioni abbiamo, da cristiani, per risollevarci e alzare la testa».

Sapere, quindi, che c’è una “scadenza” è «un elemento molto efficiente nella nostra vita quotidiana e anche per la diplomazia», ha rimarcato Gallagher nel ricordare come nel 2022 la Romania celebri il 160° anniversario della diplomazia moderna e la fondazione del ministero degli Affari esteri. Infatti, «immaginiamo — ha esemplificato — una conferenza internazionale che discute un problema senza terminus ad quem. Una tale conferenza non finirebbe mai e non vi sarebbe mai spazio per un compromesso». Ecco allora l’importanza di una scadenza: essa «aiuta a concentrarsi sulla ricerca di una soluzione e rende disponibili a stringere accordi che permettano alle nostre società di progredire». Allo stesso modo, ha osservato il presule, nella prospettiva cristiana, «l’idea della responsabilità ultima di fronte a Dio diventa l’elemento decisivo per le decisioni morali». Come del resto descritto dalla filosofia scolastica nella locuzione sub specie aeternitatis (“sotto l’aspetto dell’eternità”): ovvero, «le mie decisioni — ha spiegato Gallagher — e le mie azioni alla fine saranno giudicate da Dio, nell’ottica dell’eternità, riferendo la mia responsabilità all’universale. Considerare le decisioni importanti sub specie aeternitatis aiuta, in quanto ci ricorda la nostra ultima responsabilità davanti a Dio».

Il prelato inglese, in conclusione, ha voluto rendere omaggio al cardinale Agostino Casaroli, sepolto nella basilica, evidenziando la sua figura «di diplomatico della Santa Sede che si è distinto per lungimiranza» — contribuendo anche alle buone relazioni tra essa e la Romania — e di «architetto della cosiddetta “Ostpolitik”». Egli ha improntato tutta la sua vita al “martirio della pazienza”, per usare le parole di Papa Francesco ai cardinali nel Concistoro del 27 agosto scorso, riproposte dall’arcivescovo. Infatti, «solo colui che ha lo sguardo rivolto verso le “cose ultime” — ha detto Gallagher — può essere pienamente martire, cioè testimone del significato e della speranza che sostiene la vita umana e anima tutta la realtà».