Le madri hanno
la responsabilità di Dio

 Le madri hanno la responsabilità di Dio  QUO-271
26 novembre 2022

Pubblichiamo uno stralcio da «Francesco e l’infinitamente piccolo» (San Paolo, 1996).

Lei è bella. No, è più che bella. È la vita stessa nel suo più tenero luccichìo d’aurora. Non la conoscete. Non avete mai visto uno solo dei suoi ritratti, ma l’evidenza è là, l’evidenza della sua bellezza, la luce sulle sue spalle quando si china sulla culla, quando va ad ascoltare il respiro del piccolo Francesco, che non si chiama ancora Francesco, che non è che un po’ di carne rosa e grinzosa, un piccolo d’uomo più indifeso di un gattino o di un arboscello. È bella in virtù di quest’amore di cui si spoglia per rivestirne la nudità del bambino. È bella per questa sollecitudine con cui ogni volta accorre nella camera del bambino. Tutte le madri hanno questa bellezza. Tutte hanno questa giustezza, questa verità, questa santità. Tutte le madri hanno questa grazia, che rende geloso perfino Dio, il solitario sotto il suo albero d’eternità. Sì, non potete immaginarla altrimenti che vestita di quest’abito del suo amore. La bellezza delle madri supera infinitamente lo splendore della natura. Una bellezza inimmaginabile, la sola che possiate immaginare per questa donna attenta ad ogni movimento del bambino. La bellezza, Cristo non ne parla mai. Eppure è sempre con essa, nella sua accezione vera: l’amore. La bellezza viene dall’amore come il giorno viene dal sole, come il sole viene da Dio, come Dio viene da una donna sfinita dai parti. I padri vanno in guerra, vanno in ufficio, firmano contratti. I padri hanno la responsabilità della società. È affar loro, il loro grande affare. Un padre è qualcuno che rappresenta qualcosa di diverso da se stesso di fronte a suo figlio, e che crede in ciò che rappresenta: la legge, la ragione, l’esperienza. La società. Una madre non rappresenta nulla di fronte a suo figlio. Non è di fronte a lui ma intorno a lui, dentro, fuori, ovunque. Solleva il bambino sulle braccia e lo presenta alla vita eterna. Le madri hanno la responsabilità di Dio. È la loro passione, la loro unica occupazione, la loro rovina e al tempo stesso la loro consacrazione. Essere padre è interpretare il ruolo di padre. Essere madre è un mistero assoluto, un mistero che non somiglia a niente, un assoluto relativo a niente, un compito impossibile eppure assolto, persino dalle cattive madri. Anche le cattive madri si trovano in questa condizione di prossimità con l’assoluto, di familiarità con Dio, che i padri non conosceranno mai, persi come sono nella smania di occupare correttamente il loro posto, di essere all’altezza della propria posizione. Le madri non hanno una posizione, non hanno un posto. Esse nascono contemporaneamente ai propri figli. Non hanno, come i padri, un vantaggio sul figlio: il vantaggio di un’esperienza, di una commedia tante volte recitata nella società. Le madri crescono insieme al proprio bambino, ed essendo il bambino dalla nascita eguale a Dio, le madri si ritrovano nel tabernacolo, appagate di tutto, ignare di quanto le appaga. E se ogni bellezza pura viene dall’amore, da dove viene l’amore, di quale materia è la sua materia, di quale elemento naturale è composta la sua soprannatura? La bellezza viene dall’amore. L’amore viene dall'attenzione. L’attenzione semplice rivolta al semplice, l’attenzione umile agli umili, l’attenzione viva a ogni vita, e anzitutto a quella del cucciolo nella sua culla, incapace di nutrirsi, incapace di tutto tranne che di piangere. Primo sapere del neonato, unica ricchezza del principe nella sua culla: il dono dei suoi gemiti, l’invocazione all’amore lontano, gli urli alla vita troppo distante — ed è la madre che si leva e risponde, ed è Dio che si desta e accorre, sempre pronto, sempre attento malgrado la fatica. Fatica dei primi giorni del mondo, fatica dei primi anni d’infanzia. Di là vien tutto. Al di fuori, il nulla. Non c’è santità più grande di quella delle madri sfinite per i panni da lavare, la pappa da scaldare, il bagno da preparare. Gli uomini reggono il mondo. Le madri reggono l’eterno, che regge il mondo e gli uomini. La futura santità del piccolo Francesco d’Assisi, ancora imbrattato di latte e di lacrime, dovrà la sua vera grandezza a questa imitazione del tesoro materno, estendendo alle bestie, agli alberi, a tutti gli esseri viventi quanto le madri hanno da sempre inventato per il bene d’un neonato. D’altronde non esistono santi. Esiste solo la santità. La santità è la gioia. È la sostanza di tutto. La maternità è ciò che sostiene la sostanza di tutto. La maternità è la fatica superata, la morte accettata, senza di che non vi sarebbe gioia alcuna. Dire di qualcuno che è santo significa semplicemente dire che, attraverso la sua vita, si è rivelato un meraviglioso conduttore di gioia — come d’un metallo si dice che è buon conduttore quando lascia passare il calore senza dispersione o quasi, come di una madre si dice che è una buona madre quando si lascia divorare dalla fatica, interamente o quasi.

di Christian Bobin