Il magistero

 Il magistero  QUO-269
24 novembre 2022

Sabato 19

Una data
comune
per la Pasqua

Ringrazio per la fraterna visita, la prima che compie in Vaticano in veste di Catholicos-Patriarca della Chiesa assira dell’Oriente. Roma, tuttavia, non è per Vostra Santità estranea: in questo luogo ha vissuto e studiato.

Rendo grazie per i legami intessuti negli ultimi decenni. A partire dalle numerose visite di Sua Santità Mar Dinkha iv , di benedetta memoria: dalla prima nel 1984 a quella di dieci anni più tardi, quando firmò con Papa Giovanni Paolo ii la storica Dichiarazione comune cristologica, che pose fine a 1500 anni di controversie dottrinali riguardanti il Concilio di Efeso.

Conservo nel cuore gli incontri avuti con il Vostro venerato predecessore, Sua Santità Mar Gewargis iii .

In occasione della sua ultima visita nel 2018 firmammo insieme una Dichiarazione sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente.

Ricordo anche il nostro caloroso abbraccio a Erbil, durante il mio viaggio in Iraq: quel giorno tanti credenti, che avevano sperimentato immani sofferenze per il solo fatto di essere cristiani, ci circondavano con il loro calore e la loro gioia; il popolo santo di Dio sembrava incoraggiarci sulla strada di una maggiore unità!

Vorrei salutare i membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente e ricordare con gratitudine il lavoro finora svolto.

Sin dalla creazione nel 1994, la vostra Commissione ha prodotto risultati pregevoli. Penso allo studio sull’Anafora degli Apostoli Addai e Mari, che ha permesso nel 2001 la reciproca ammissione all’Eucaristia, in specifiche circostanze, dei fedeli della Chiesa assira dell’Oriente e della Chiesa caldea; come pure alla pubblicazione nel 2017 di una Dichiarazione comune sulla vita sacramentale.

Gli incontri e il dialogo hanno prodotto buoni frutti, hanno favorito la collaborazione pastorale per il bene dei nostri fedeli, un ecumenismo pastorale che è la via naturale della piena unità.

Al presente, mi pare molto bello il tema del nuovo documento che state portando a termine: le immagini della Chiesa nella tradizione patristica siriaca e latina.

Più che presentazioni concettuali e sistematiche, i Padri hanno parlato della Chiesa evocando numerose immagini, come la luna, la tunica inconsutile, il banchetto, la stanza nuziale, la nave, il giardino, la vite.

Questo linguaggio accessibile, è più simile a quello di Gesù e dunque più vivo e attuale: parla ai nostri contemporanei più di tanti concetti.

È importante che nel cammino ecumenico ci avviciniamo sempre più, non solo tornando alle radici comuni, ma anche annunciando insieme, con la testimonianza e parole di vita, il mistero d’amore di Cristo e della sua sposa, la Chiesa.

La vostra Chiesa ha in comune con la Chiesa cattolica caldea una luminosa storia di fede e di missione, la vita esemplare di grandi santi, un ricco patrimonio teologico e liturgico e, soprattutto negli ultimi anni, immani sofferenze e la testimonianza di numerosi martiri.

Medio Oriente ancora ferito

Purtroppo il Medio Oriente è ancora ferito da tanta violenza, instabilità e insicurezza, e tanti nostri fratelli e sorelle nella fede hanno dovuto lasciare le loro terre.

Molti lottano per rimanervi e io rinnovo con Vostra Santità l’appello affinché godano dei loro diritti, in particolare della libertà religiosa e della piena cittadinanza.

In questo contesto il clero e i fedeli delle nostre Chiese cercano di offrire una testimonianza comune del Vangelo in condizioni difficili e vivono già in molti luoghi una comunione quasi completa.

Questa situazione è un richiamo forte a pregare e a operare intensamente per preparare il giorno tanto atteso in cui potremo celebrare insieme l’Eucaristia, il Santo Qurbana, sullo stesso altare, quale compimento dell’unità delle nostre Chiese, che non è assorbimento né fusione, ma comunione fraterna nella verità e nell’amore.

Lei terrà una relazione sulla sinodalità nella tradizione siriaca, nell’ambito del simposio “In ascolto dell’Oriente” organizzato dall’Angelicum, sull’esperienza sinodale delle varie Chiese ortodosse e ortodosse orientali.

Il cammino della sinodalità, che la Chiesa cattolica sta percorrendo, è e dev’essere ecumenico, così come il cammino ecumenico è sinodale.

Cammino
sinodale

Mi auguro che potremo sempre più fraternamente e concretamente proseguire il nostro “syn-odos”, il nostro “cammino comune”, incontrandoci, prendendoci a cuore, condividendo le speranze e le fatiche e soprattutto, come in questa mattina, la preghiera e la lode del Signore.

Ringrazio Vostra Santità per aver dato voce al desiderio di trovare una data comune perché i cristiani celebrino insieme la Pasqua.

E vorrei ribadire quello che disse San Paolo vi : siamo pronti ad accettare qualsiasi proposta che venga fatta insieme.

Il 2025 è l’anniversario del primo Concilio Ecumenico (Nicea) e celebreremo la Pasqua nella stessa data.

Abbiamo il coraggio di porre fine a questa divisione, che alle volte fa ridere: “Il tuo Cristo quando risuscita?”

Il segnale da dare è: un solo Cristo per tutti noi.

Siamo coraggiosi e cerchiamo insieme: io sono disposto, ma non io, la Chiesa cattolica è disposta a seguire quello che disse San Paolo vi .

Mettetevi d’accordo e noi andremo lì dove dite.

Oso pure esprimere un sogno: che la separazione con l’amata Chiesa assira dell’Oriente, la prima duratura nella storia, possa essere anche la prima a venire risolta.

Il dono
di una reliquia

Ho desiderato offrire una reliquia dell’Apostolo san Tommaso — per il cui dono ringrazio l’Arcivescovo Cipollone e l’Arcidiocesi di Lanciano-Ortona — [che] sarà collocata nella nuova Cattedrale patriarcale della Chiesa assira dell’Oriente, a Erbil.

Tommaso, che ha toccato con mano le piaghe del Signore, affretti il completo rimarginamento delle nostre ferite passate.

(A Sua Santità Mar Awa iii Catholicos-patriarca della Chiesa assira dell’Oriente)

Martedì 22

Cristiani
ed ebrei
insieme
per arrestare
questa guerra
sacrilega

Questa visita testimonia e rinsalda i legami di amicizia che ci uniscono: sin dal Concilio Vaticano ii , la vostra organizzazione dialoga con la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e da anni organizza convegni di grande interesse.

Ebrei e cattolici, abbiamo in comune inestimabili tesori spirituali.

Professiamo la fede nel Creatore... Crediamo che l’Onnipotente non è rimasto distante dalla sua creazione, ma si è rivelato, non comunicando solo con alcuni, ma rivolgendosi a noi come popolo.

Tramite la fede e la lettura delle Scritture trasmesse nelle nostre tradizioni, possiamo entrare in relazione con Lui e diventare collaboratori della sua volontà.

Abbiamo anche uno sguardo simile sulla fine, [con] la fiducia che, nel cammino della vita, non procediamo verso il nulla, ma incontro all’Altissimo.

Il mondo è segnato dalla violenza, dall’oppressione e dallo sfruttamento, ma tutto ciò non ha l’ultima parola. E, sebbene esistano idee diverse su come si configurerà tale compimento, la promessa che abbiamo in comune permane.

Essa alimenta la nostra speranza, ma non meno il nostro impegno, affinché il mondo e la storia rispecchino la presenza di Colui che ci ha chiamati ad essere adoratori suoi e custodi dei nostri fratelli.

Alla luce dell’eredità religiosa che condividiamo, guardiamo al presente come a una sfida che ci accomuna, come a un’esortazione ad agire insieme.

Alle nostre due comunità è affidato il compito di lavorare per rendere il mondo più fraterno, lottando contro le disuguaglianze e promuovendo una maggiore giustizia, affinché la pace non rimanga una promessa dell’altro mondo, ma sia già realtà in questo.

La strada della pacifica convivenza comincia dalla giustizia che, insieme alla verità, all’amore e alla libertà, è condizione fondamentale per una pace duratura.

Quanti esseri umani sono sfigurati nella loro dignità, a causa di un’ingiustizia che lacera il pianeta e rappresenta la causa soggiacente a tanti conflitti, la palude in cui ristagnano guerre e violenze!

Palude
di ingiustizia

Colui che tutto ha creato secondo ordine e armonia ci invita a bonificare questa palude di ingiustizia che affossa la convivenza.

Iniziative comuni e concrete volte a promuovere la giustizia richiedono coraggio, collaborazione e creatività.

E beneficiano grandemente della fede, della capacità di riporre la fiducia nell’Altissimo e di lasciarsi guidare da Lui, piuttosto che da interessi terreni, incapaci di abbracciare l’insieme.

Le Scritture ci ricordano che poco o nulla possiamo fare se Dio non ci dà la forza e l’ispirazione.

Le nostre iniziative politiche, culturali e sociali per migliorare il mondo — che chiamate “Tiqqun Olam” — non potranno avere buon esito senza la preghiera e l’apertura fraterna alle altre creature in nome dell’unico Creatore.

Sconfitta
per l’umanità

Oggi in tante regioni del mondo, la pace è minacciata. Riconosciamo che la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità!

Penso a quella in Ucraina, una guerra grande e sacrilega che minaccia ebrei e cristiani allo stesso modo, privandoli dei loro affetti, delle loro case, dei loro beni, della loro stessa vita!

Solo nella volontà seria di avvicinarsi gli uni agli altri e nel dialogo fraterno è possibile preparare il terreno della pace.

Come ebrei e cristiani, cerchiamo di fare tutto ciò che è umanamente possibile per arrestare la guerra e aprire vie di pace.

(All’Executive committee meeting
del “World jewish congress”)

Mercoledì 23

Quella gioia
interiore
che dà pace
e rende audaci

Continuiamo le catechesi sul discernimento dello spirito... E dopo aver considerato alcuni aspetti della desolazione — quel buio dell’anima — parliamo della consolazione, che sarebbe la luce dell’anima.

La consolazione spirituale è un’esperienza di gioia interiore, che consente di vedere la presenza di Dio in tutte le cose.

La persona che vive la consolazione non si arrende di fronte alle difficoltà, perché sperimenta una pace più forte della prova.

Si tratta di un grande dono per la vita spirituale e per la vita nel suo insieme.

La consolazione è un movimento intimo, che tocca il profondo di noi stessi.

Non è appariscente ma è soave, delicata, come una goccia d’acqua su una spugna: la persona si sente avvolta dalla presenza di Dio, in una maniera sempre rispettosa della propria libertà.

Non è qualcosa di stonato che cerca di forzare la nostra volontà, e neppure un’euforia passeggera: al contrario, anche il dolore — ad esempio per i propri peccati — può diventare motivo di consolazione.

Pensiamo all’esperienza vissuta da Sant’Agostino quando parla con la madre Monica della bellezza della vita eterna; o alla perfetta letizia di San Francesco — associata a situazioni dure da sopportare —; e a tanti santi e sante che hanno saputo fare grandi cose.

È la pace che notava in sé con stupore Sant’Ignazio quando leggeva le vite dei santi. È la pace che prova Edith Stein dopo la conversione.

La consolazione riguarda anzitutto la speranza, è protesa al futuro, mette in cammino, consente di prendere iniziative fino a quel momento sempre rimandate, o neppure immaginate, come il Battesimo per Edith Stein.

La consolazione è una pace tale ma non per rimanere lì seduti godendola, no; ti dà la pace e ti attira verso il Signore e ti mette in cammino per fare cose buone.

In tempo di consolazione, quando siamo consolati, ci vien voglia di far bene.

Invece quando c’è il momento della desolazione, vien voglia di chiuderci in noi stessi e non far nulla.

La consolazione ti spinge avanti, al servizio degli altri, alla società, alle persone.

La consolazione spirituale non è “pilotabile”, programmabile a piacere; è un dono dello Spirito: consente una familiarità con Dio che sembra annullare le distanze.

Santa Teresa di Gesù Bambino, visitando a quattordici anni, a Roma, la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, cerca di toccare il chiodo lì venerato, uno di quelli con cui fu crocifisso Gesù.

Spontanei
come bambini

Avverte questo suo ardimento come un trasporto d’amore e di confidenza.

La consolazione porta a fare tutto spontaneo, come fossimo bambini.

I bambini sono spontanei, e la consolazione porta a essere spontaneo con una dolcezza.

Una ragazza di quattordici anni ci dà una descrizione splendida della consolazione spirituale: si avverte un senso di tenerezza verso Dio, che rende audaci nel desiderio di partecipare della sua stessa vita, di fare ciò che gli è gradito, perché ci sentiamo familiari con Lui, sentiamo che la sua casa è la nostra casa, ci sentiamo accolti, amati, ristorati.

Con questa consolazione non ci si arrende di fronte alle difficoltà: infatti, con la medesima audacia, Teresa chiederà al Papa il permesso di entrare al Carmelo, benché troppo giovane, e sarà esaudita.

Quando siamo in tempo di buio, di desolazione, pensiamo: “Questo non sono capace di farlo”.

Ti butta giù la desolazione: “Non posso fare, non lo farò”.

Invece, in tempo di consolazione, vedi le stesse cose in modo diverso e dici: “Vado avanti, lo faccio”. “Ma sei sicuro?” “Io sento la forza di Dio e vado avanti”.

Così la consolazione ti spinge ad andare avanti e a fare delle cose che in tempo di desolazione tu non ne saresti capace; ti spinge a fare il primo passo.

Ma stiamo attenti [a] distinguere la consolazione che è di Dio, dalle false consolazioni.

Nella vita spirituale avviene qualcosa di simile a quanto capita nelle produzioni umane: ci sono originali e imitazioni.

Se la consolazione autentica è come una goccia su una spugna, è soave e intima, le sue imitazioni sono più rumorose e appariscenti, sono puro entusiasmo, sono fuochi di paglia, senza consistenza, portano a ripiegarsi su sé stessi, e a non curarsi degli altri.

In guardia
dalla falsa
consolazione

La falsa consolazione alla fine lascia vuoti, lontani dal centro dell’esistenza. Per questo, quando ci sentiamo felici, in pace, siamo capaci di fare qualsiasi cosa.

Ma non confondere quella pace con un entusiasmo passeggero, perché l’entusiasmo oggi c’è, poi cade e non c’è più.

Per questo si deve fare discernimento, anche quando ci si sente consolati.

Perché la falsa consolazione può diventare un pericolo, se la ricerchiamo come fine a sé stessa, in modo ossessivo, e dimenticandoci del Signore.

Come direbbe San Bernardo, si cercano le consolazioni di Dio e non si cerca il Dio delle consolazioni.

Noi dobbiamo cercare il Signore e il Signore, con la sua presenza, ci consola, ci fa andare avanti.

E non cercare Dio che ci porta le consolazioni.

È la dinamica del bambino di cui parlavamo la volta scorsa, che cerca i genitori solo per avere da loro delle cose, ma non per loro stessi: va per interesse.

E i bambini sanno giocare e quando la famiglia è divisa, e hanno questa abitudine di cercare lì e cercare qua, questo non fa bene, non è consolazione, è interesse.

Anche noi corriamo il rischio di vivere la relazione con Dio in modo infantile, cercando il nostro interesse, cercando di ridurLo a un oggetto a nostro uso e consumo.

Così andiamo avanti nella nostra vita, che procede fra le consolazioni di Dio e le desolazioni del peccato del mondo, ma sapendo distinguere quando è una consolazione di Dio, che dà pace fino al fondo dell’anima, da quando è un entusiasmo passeggero che non è cattivo, ma non è la consolazione di Dio.

(Udienza generale in piazza San Pietro )