Documenti - L’incontro inter-dicasteriale
con i presuli tedeschi
il 18 novembre

 Documenti - L’incontro inter-dicasteriale con i presuli tedeschi il 18 novembre   QUO-269
24 novembre 2022

Lo scorso 18 novembre, presso l’Istituto Augustinianum, si è svolta una riunione interdicasteriale alla quale hanno partecipato, insieme ai capi di alcuni Dicasteri della Curia romana, i 62 vescovi della Chiesa cattolica in Germania presenti a Roma per la visita «ad limina Apostolorum». L’incontro era programmato per riflettere insieme sul Cammino sinodale in corso in Germania. A moderare la riunione è stato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che nell’introdurre i lavori ha definito l’incontro «una grazia» che è avvenuta nel giorno in cui la Chiesa ricorda le figure di Pietro e Paolo. «Figure molto diverse», ha sottolineato Parolin, «ma fratelli».
Il cardinale ha sottolineato l’importanza dell’essere una «famiglia unita», che discute ma continuando ad amarsi: «L’amore ci unisce senza uniformarci, ci unisce anche nelle nostre differenze». 
Ha quindi preso la parola monsignor Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza episcopale tedesca; sono seguite le relazioni teologiche dei cardinali Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, e Marc Ouellet, prefetto del Dicastero per i vescovi. Pubblichiamo di seguito il testo integrale di questi tre interventi.


La domanda centrale per il futuro

Il vescovo presidente della Conferenza episcopale della Germania


Noi vescovi siamo grati dell’opportunità di un incontro interdicasteriale al termine della visita ad limina a Roma. Lo consideriamo una buona occasione per esprimere stima reciproca in questo momento della nostra Chiesa: la Chiesa in Germania, strettamente intrecciata con la Chiesa universale. Desideriamo riflettere insieme sulle esperienze e i risultati del Cammino sinodale della Chiesa nel nostro Paese. Ieri, durante l’udienza, il Santo Padre con le sue risposte ci ha detto chiaramente che la Chiesa vive di tensioni, per questo le tensioni fanno parte di una Chiesa viva in cammino. È una buona indicazione per il nostro colloquio odierno.

Per cominciare, mi preme esprimere un doppio ringraziamento: è un bene che il Santo Padre abbia dato vita al processo sinodale a livello mondiale. Essendo un percorso di diversi anni, la cui terza tappa è iniziata proprio con il Documento presentato qui a Roma poche settimane fa, è — come l’intero processo — un cammino del parlare gli uni con gli altri e dell’ascoltarsi gli uni gli altri. Ringraziamo il Santo Padre per il movimento di ricerca teologica di ciò che significa sinodalità, come ha spiegato nel suo storico discorso in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi nel 2015. 

Oggi siamo qui per parlare del Cammino sinodale in Germania. Per onestà devo precisare che a questo colloquio mancano persone e responsabili fondamentali del Cammino sinodale nel nostro Paese. Di fatto, noi vescovi siamo parte di un’assemblea sinodale di 230 persone, fedeli che s’impegnano con grande dedizione per la loro Chiesa. La presidenza sinodale è costituita da due vescovi e due laici. Purtroppo, quindi, a una parte consistente dei sinodali — in particolare i laici — non è data l’opportunità che oggi abbiamo noi. E per questo le nostre riflessioni, i dibattiti, le prospettive comuni e i possibili orientamenti vengono proposti con riserva di essere discussi, condivisi e acquisiti da tutti nel Cammino sinodale.  

Il mio secondo ringraziamento è per la Lettera del Santo Padre «al popolo di Dio che è in cammino in Germania», del 29 giugno 2019. Essa esprime la sua sollecitudine pastorale per la nostra Chiesa locale. La prospettiva delle parole del Papa è quella della svolta epocale del cambiamento radicale di cui parla. A questo ci associamo pienamente. Infatti, cerchiamo un cammino di conversione e di rinnovamento. E Papa Francesco ci ha spiegato il suo modo d’intendere la sinodalità. Assicuro a tutti voi qui presenti che tale lettera ci ha accompagnati nel cammino sinodale. È stata accolta già nel Preambolo del nostro Statuto. Con 80.000 copie, è diventata la base di tanti colloqui con diocesi, gruppi e associazioni. In Germania siamo in cammino in modo sinodale già da più di 50 anni per quanto riguarda le misure e le decisioni importanti. Con il processo attuale siamo entrati in una nuova fase. E desideriamo esercitare la sinodalità in modo duraturo anche in futuro. Forse non abbiamo ancora integrato a sufficienza alcune indicazioni centrali della Lettera, ma siamo disposti a imparare a farlo di più e meglio in futuro.

Aggiungo però anche con sincerità che ha suscitato stupore il fatto che la Lettera del Papa non faccia alcun riferimento al vero punto di partenza del cammino sinodale, ovvero gli abusi sessuali, il modo insufficiente di affrontarli da parte delle autorità ecclesiali, il loro occultamento da parte dei vescovi e la persistente mancanza di trasparenza da parte degli uffici romani nel trattarli. Cari fratelli e sorelle vorrei ricordare che oggi ricorre la giornata annuale indetta dal Papa per le vittime di abusi sessuali nella Chiesa. Secondo uno studio del mhg [Consorzio per la ricerca costituito dalle università Mannheim, Heidelberg e Gießen], per la maggior parte dei vescovi è ovvia una cosa: tutti gli sforzi per l’evangelizzazione serviranno a poco se non saranno preceduti da un’onestà radicale riguardo agli errori e alle mancanze sistemiche nella nostra Chiesa, che portino a cercare, con coerenza, in modo strutturale e fin nella prassi e nella dottrina della Chiesa, conversione e rinnovamento. Non ultime, anche le strutture sinora esistenti hanno portato al devastante scandalo degli abusi sessuali sui minori. Mi stupisce l’impressione che ho tratto da alcuni colloqui degli ultimi giorni che non tutti i nostri interlocutori sono d’accordo su questo. 

Come Chiesa ci siamo giocati tanta fiducia e ci rimane ancora poca credibilità. Lo scandalo degli abusi sessuali non deve in alcun modo essere sminuito o relativizzato. Anzitutto occorre preoccuparsi della protezione dei minori, poi accertarsi che gli abusi non avvengano più. A causa loro, la Chiesa è ferita fin nel midollo. L’autorità di noi vescovi ha finito con l’essere messa in discussione per colpa nostra. Il momento presente costituisce una delle crisi più profonde della Chiesa e al tempo stesso una delle crisi più gravi del ministero sacramentale di sacerdoti e vescovi. I fedeli devono tornare ad attribuirci credibilità e autorità. Solo così il ministero nella Chiesa potrà tornare ad agire in modo fecondo. Ma otterremo nuova fiducia solo se il modo di svolgere il nostro servizio cambierà in modo consistente, coinvolgendo in maniera seria e percepibile il clero, i religiosi e i laici nei processi consultivi (decision making) e decisionali (decision taking). E ciò vale non solo per la Chiesa nel nostro Paese, ma anche per la Chiesa universale. Chiediamo con insistenza di essere ascoltati in questo bisogno.

Perché il Cammino sinodale?

Noi, come vescovi, abbiamo ascoltato, e questo ci ha portato a compiere un passo importante e a dare inizio, insieme al Comitato centrale dei cattolici tedeschi, al Cammino sinodale della Chiesa cattolica in Germania. I temi che vi sono stati trattati sono, in ultima analisi, le conclusioni dello “studio sugli abusi” (lo studio del mhg) commissionato da noi vescovi e i cui risultati sono stati presentati nel 2018. L’essenza dello studio è che diversi fattori nella Chiesa, strettamente collegati al nostro modo di intendere e vivere il nostro ministero come chierici, hanno favorito gli abusi e ostacolato la loro punizione.

Abbiamo dovuto riconoscere che a portare agli abusi sono stati il modo di gestire il potere e lo sfruttamento della dipendenza. Lo si può anche chiamare clericalismo — dal quale Papa Francesco continua a mettere in guardia — perché una comprensione autoritaria-clericalistica del ministero ha portato a nascondere comportamenti abusivi e a proteggere il sistema. Al centro sono stati messi la protezione e la tutela del sistema, mentre sono stati trascurati gli interessi e la protezione delle vittime.

L’abuso non è solo un comportamento illecito individuale. L’abuso ha anche motivazioni sistemiche. Il modo in cui i vescovi, i responsabili del personale nelle diocesi, i fratelli nel ministero e talora anche le comunità hanno trattato colpevoli e vittime, ha dato, in modo di certo non intenzionale, ai colpevoli l’impressione che le loro azioni non fossero tanto importanti e non ha scoraggiato altri dal commettere abusi. A questa conclusione giunge tra l’altro anche la relazione finale sugli abusi sessuali commissionata dalla Conferenza episcopale francese (1).

Per questo, anche occuparsi del potere nella Chiesa cattolica, parlare della morale sessuale cattolica e riflettere sullo stile di vita sacerdotale (ovvero i temi di tre dei quattro fori del cammino sinodale) sono conseguenze della necessità di elaborare, chiarire e prevenire gli abusi sessuali sui minori, come anche le loro cause sistemiche. Queste cause le vogliamo spezzare, per riacquistare la fiducia delle persone dentro e fuori la Chiesa.

Qualcuno obietterà che i temi citati, ai quali va aggiunta anche la domanda sul ruolo della donna nella Chiesa — secondo la mia opinione personale la domanda decisiva per il futuro — sono oggetto di controversia ormai da anni. Alcuni in questo contesto parlano addirittura di “abuso dell’abuso”, teso a imporre una presunta agenda di riforma. Non riesco a capire questa critica e domando a mia volta: non dovremmo magari vergognarci per il fatto che sia stato necessario scoprire gli abusi sessuali e spirituali perché ci occupassimo seriamente di quegli aspetti della proclamazione e della vita ecclesiale, le cui problematiche ci vengono segnalate già da decenni da molti fedeli e dai dibattiti teologici? Oggi dobbiamo riconoscere che le voci critiche non sono espressione dello spirito del tempo, bensì di una sincera preoccupazione per l’umano e per una proclamazione credibile della Chiesa. Per amore del Vangelo è importante prestare ascolto a queste voci.

Per questo, noi vescovi abbiamo deciso di percorrere un Cammino sinodale con il popolo di Dio in Germania. Abbiamo convocato un’assemblea sinodale che rappresenta una sezione trasversale della vita cattolica in Germania. Noi vescovi non abbiamo ceduto il mandato del nostro ministero. Ma vogliamo vivere questo mandato nel senso della sinodalità. So che i dibattiti spesso accesi durante le assemblee sinodali hanno irritato molti nella Chiesa universale e anche qui a Roma. Alcuni hanno espresso, anche pubblicamente, la loro preoccupazione su dove condurrà il cammino sinodale della Chiesa in Germania. A riguardo ci sono molte incomprensioni e molti malintesi. Per questo, permettetemi di dire qui una cosa in modo del tutto inequivocabile.

Il cammino sinodale della Chiesa in Germania non cerca uno scisma, né porta a una Chiesa nazionale. Chi continua a parlare di scisma o di Chiesa nazionale non conosce né i cattolici e le cattoliche tedeschi, né i vescovi tedeschi. Mi rattrista il potere che ha ottenuto questa parola, con la quale si cerca di negare la nostra cattolicità e il desiderio di unità con la Chiesa universale. In questo rientra purtroppo anche il paragone piuttosto inappropriato con una “buona Chiesa evangelica”. Non corrisponde all’intenzione e all’obiettivo dei nostri sforzi. Di fatto, cerchiamo una Chiesa cattolica migliore, che viva a partire dalla dimensione sacramentale. Questi sforzi sono davvero faticosi e portano anche a evidenti confronti e tensioni tra noi vescovi. Sì, nei nostri fori e nelle nostre assemblee sinodali si litiga. È come in famiglia, dove a volte si alza la voce. Il tono talvolta emozionale del dibattito è espressione della passione per il Vangelo e della passione per la Chiesa. E che cosa sarebbe l’amore senza passione? Ma rimaniamo uniti.

Affrontiamo i problemi e le questioni che si pongono quotidianamente nella proclamazione e nella pastorale in modo teologico. Considero la teologia nelle nostre università come una ricchezza della Chiesa. Il grande impegno dei docenti di teologia nel cammino sinodale ci aiuta ad analizzare meglio la situazione della Chiesa, a elaborare argomentazioni e a cercare soluzioni che possano essere sostenute da buone basi teologiche. La ricchezza può rendere anche presuntuosi e autoreferenziali, fratelli e sorelle, conosciamo questa tentazione. Forse l’uno o l’altro qualche volta le soccombe pure. Tuttavia, il servizio della teologia universitaria è irrinunciabile per la Chiesa. Abbiamo bisogno della conoscenza e delle intuizioni delle discipline teologiche, come anche delle scienze naturali e umane, per ricevere risposte affidabili alle domande del nostro tempo.

Vorrei qui di proposito citare le nostre decisioni, poiché è di questo che parleremo dopo.

—  Testo d’orientamento Auf dem Weg der Umkehr und der Erneuerung. Theologische Grundlagen des Synodalen Weges der katholischen Kirche in Deutschland [Sulla via della conversione e del rinnovamento. Fondamenta teologiche del cammino sinodale della Chiesa cattolica in Germania]

— Testo base Macht und Gewaltenteilung in der Kirche - Gemeinsame Teilnahme und Teilhabe am Sendungsauftrag [Potere e divisione dei poteri nella Chiesa - partecipazione comune e partecipazione alla missione]

— Testo d’azione Einbeziehung der Gläubigen in die Bestellung des Diözesanbischofs  [Coinvolgimento dei fedeli nella nomina del vescovo diocesano]

— Testo d’azione Synodalität nachhaltig stärken [Rafforzare la sinodalità in modo sostenibile]

— Testo base Frauen in Diensten und Ämtern in der Kirche [Le donne nei ministeri e negli uffici della Chiesa]

— Testo d’azione Lehramtliche Neubewertung von Homosexualität [Rivalutazione magisteriale dell’omosessualità]

— Testo d’azione Grundordnung des kirchlichen Dienstes [Ordinamento di base del servizio ecclesiale]

Questi testi sono stati approvati da più di due terzi dei vescovi, addirittura anche fino all’85 per cento. Nell’andamento attuale, sono la nostra risposta a ciò che consideriamo come richieste alla Chiesa. Non viene fondata una nuova Chiesa, ma le decisioni del cammino sinodale domandano, sulla base della Sacra Scrittura, della Tradizione e dell’ultimo concilio, come possiamo essere Chiesa oggi — missionaria e dinamica, incoraggiante e presente, al servizio delle persone e dove ci si aiuta reciprocamente. Tali testi vogliono essere il nostro contributo al dibattito a livello di Chiesa universale.

Nelle decisioni ovviamente facciamo delle distinzioni: che cosa possiamo realizzare localmente, questo come vescovi ci sentiamo incoraggiati a farlo; e che cosa ha bisogno di una consultazione e di una decisione a livello di Chiesa universale? Siamo grati perché il processo sinodale a livello mondiale offre uno spazio per presentare tali temi. 

Situazione di cambiamento

La domanda su come possiamo vivere la fede ed essere Chiesa oggi è la domanda centrale per il futuro. Vi assicuriamo che nel Cammino sinodale non parliamo esclusivamente di strutture e non giriamo solo intorno al nostro campanile. Al contrario: con il Cammino sinodale vogliamo rianimare il discorso di Dio in pubblico. La nostra società, per quanto possa essere secolare e a sua volta in cambiamento, ha bisogno di religiosità, ha bisogno della testimonianza pubblica della fede cristiana e di nuovi impulsi a parlare di Dio. Nel mercato di quanti offrono un significato oggi non siamo però che una proposta tra tante. Questa proposta, se mi è consentito il termine, la dobbiamo rendere di nuovo visibile e sperimentabile. 

Anche se probabilmente non potremo fermare i processi di erosione di una figura sociale ecclesiale in declino (diminuzione del volontariato, dei battesimi, dell’accettazione della Chiesa in pubblico), non ci lasciamo scoraggiare nel cercare figure convincenti della vita di fede contemporanea e conquistare di nuovo persone per questo. Non è un compito facile, tanto più che per la prima volta nella storia del nostro Paese i cattolici e i protestanti sono meno del 50 per cento della popolazione. Le conseguenze della pandemia da coronavirus sono innegabili, anche nella nostra vita pastorale.

Siamo in una situazione di cambiamento. Ad ora nessuno ha quell’unica soluzione da proporre. Inoltre non esistono solo soluzioni semplici. Ciò che è bene e giusto in questa situazione e ciò che deve essere fatto, è per questo che ci scontriamo tra di noi nella Conferenza episcopale. Non siamo d’accordo solo sul fatto di essere in disaccordo; tutti riteniamo di avere la responsabilità personale e comune di contribuire attivamente a plasmare la situazione attuale in questo momento della Chiesa e di non volerci limitare ad accettarla in modo reattivo. Ma siamo venuti a parlare qui non con un’opinione unitaria come “blocco”, bensì con una grande ampiezza di vedute e di opzioni d’azione.

Prospettiva

Per questo cerchiamo voi come interlocutori che ci aiutino a sostenere e a plasmare questa tensione attuale. Ci preoccupa che un “dissolvimento” troppo rapido delle tensioni possa portare a divisioni che non sarebbero utili a nessuno di noi. Veniamo nella speranza di poter trovare insieme un quadro cattolico nel quale riescano a trovare spazio anche differenze e asincronia. 

Il Sinodo dei vescovi sottolinea che è importante soprattutto l’ascolto reciproco. Anche questo aspetto va considerato tenendo conto che la fiducia è lesa. Tuttavia: l’ascolto c’è; specialmente nei fori sinodali; un foro ha addirittura adottato un modo speciale per gestire l’ascolto reciproco sui temi ricchi di tensione e fare ascoltare soprattutto le minoranze. E prima delle assemblee sinodali ci riuniamo in audizioni per approfondire insieme i temi. Al tempo stesso, tra un’assemblea e l’altra si lavora ai testi, di modo che tutti abbiano la possibilità di apportare il proprio punto di vista al dibattito. 

Siamo lieti di poterci inserire con queste nostre preoccupazioni e tensioni nel processo sinodale della Chiesa universale, che nella primavera 2023 proseguirà nella sua fase continentale; e siamo grati che il prolungamento della fase della Chiesa universale abbia rallentato un po’ le cose, il che è certamente utile alla rassicurazione reciproca. Il documento di lavoro fa emergere le molteplici voci della Chiesa universale attraverso citazioni originali. Parla delle esperienze delle Chiese locali, delle difficoltà che incontra la realizzazione di una Chiesa sinodale, ma anche dei frutti che i processi sinodali hanno già prodotto. Dopo appena un anno, questo processo sinodale ha scatenato una dinamica che ha portato a una nuova comprensione della dignità di tutti i battezzati, a una più ampia corresponsabilità dei fedeli per la missione della Chiesa e a una migliore percezione delle sfide che dobbiamo affrontare nella Chiesa universale. Dunque, il processo sinodale ha già trasformato la Chiesa.

Per questo vorrei di nuovo ribadire che il documento di lavoro romano per il Sinodo fa intendere chiaramente che il Cammino sinodale della Chiesa in Germania deve essere compreso come parte di una dinamica sinodale che ha coinvolto l’intera Chiesa. I temi con cui ci confrontiamo nei quattro fori e durante le assemblee sinodali vengono discussi anche in altre parti della Chiesa. Inoltre, il documento di lavoro offre una straordinaria visione “oltre il proprio orticello” sui temi, le domande e le prospettive in altre parti del popolo di Dio nel mondo. Così si scoprono tanti aspetti comuni, facilmente paragonabili ma anche distintamente specifici.

E ora attendiamo con piacere domande, impulsi per andare avanti e uno scambio fraterno. 

di Georg Bätzing
 

(1) Cfr. Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église (ciase), Les violences sexuelles dans l’Église catholique. France 1950-2020, 5 ottobre 2021 (cap. ii. Le questionnement quant aux causes profondes du phénomène des violences sexuelles perpétrées au sein de l’Église catholique, p. 311-345).

 

Parte di un corpo più grande

Il cardinale prefetto del Dicastero per la dottrina della fede 


C’è un passaggio della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania che costituisce l’orizzonte di fondo di questo mio breve intervento. Scrive Papa Francesco al paragrafo 9 della lettera appena citata: «La Chiesa universale vive in e delle Chiese particolari [Lumen Gentium, 23], così come le Chiese particolari vivono e fioriscono in e dalla Chiesa universale, e se si ritrovano separate dall’intero corpo ecclesiale, si debilitano, marciscono e muoiono. Da qui il bisogno di mantenere sempre viva ed effettiva la comunione con tutto il corpo della Chiesa, che ci aiuta a superare l’ansia che ci rinchiude in noi stessi e nelle nostre particolarità, al fine di poter guardare negli occhi, ascoltare o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto sul ciglio della strada. A volte questo atteggiamento si può manifestare in un minimo gesto, come quello del padre verso il figliol prodigo, che lascia le porte aperte affinché, quando tornerà, possa entrare senza difficoltà [cfr. Evangelii gaudium, 46]. Ciò non è sinonimo di non camminare, avanzare, cambiare e persino non dibattere o dissentire, ma è semplicemente la conseguenza del saperci costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno. È il gusto di sentirci parte del santo e paziente Popolo fedele di Dio».

Le parole che seguono vorrebbero ora proprio far risvegliare in ciascuno di noi questa consapevolezza di essere costitutivamente parte di un corpo più grande e che proprio una tale comunione con tutti gli altri membri della Chiesa può permettere — più di mille altri gesti o proclami eclatanti — quell’ospitalità oggi così necessaria nei confronti di chi è rimasto sul ciglio della strada. 

Ed in verità sono tanti e tante coloro che oggi non si sentono più “a casa” nella casa del Signore e ne restano fuori. Sono poi ancora tanti e tante coloro che si sentono profondamente traditi dagli uomini e dalle donne della Chiesa cattolica e non ci frequentano più. Soprattutto sono, infine, tanti e tante coloro che non avvertono più alcuna fiducia in noi Vescovi. E questo accade non senza ragione. Il pensiero corre qui immediatamente alla dolorosa pagina degli abusi sessuali e più in generale di potere compiuti dal clero e a tutte le volte che in tali casi la nostra risposta come Chiesa non è stata all’altezza della situazione. Al riguardo non ci stancheremo mai di chiedere perdono alle vittime di questi abusi, offrendo loro il nostro possibile aiuto; allo stesso tempo, non ci stancheremo mai di rinnovare ogni giorno la nostra determinazione perché abusi contro i minori e abusi di potere da parte di uomini e donne della Chiesa non abbiano mai più ad accadere. Sotto questo punto di vista, posso assicurarvi che il Dicastero per la dottrina della fede è impegnato con ogni forza e con il massimo scrupolo ad assicurare che vengano inflitte le pene previste dal codice nei confronti di quei chierici che si sono macchiati di tali abominevoli crimini.

Da questo punto di vista, appare oltre misura encomiabile lo sforzo che la Chiesa che è in Germania sta compiendo al suo interno per stabilire protocolli di sicurezza per evitare ogni abuso contro i minori e ogni altra forma di violenza contro persone adulte da parte dei chierici ed in ogni caso all’interno delle istituzioni ecclesiali. Questo impegno ha trovato una sua particolare concretizzazione nel Cammino sinodale avviato nel 2019 dalla Chiesa che è in Germania e che proprio in questi mesi sta giungendo ad una fase di particolare importanza.

Ora, proprio nello spirito di quel «saperci [tutti] costitutivamente parte di un corpo più grande che ci vuole e ci aspetta, e che ha bisogno di noi, e che anche noi vogliamo e aspettiamo, e di cui abbiamo bisogno», evocato dalle parole sopra citate della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, è mio compito, in qualità di prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, presentarvi, venerabili confratelli, cinque specifiche preoccupazioni che sorgono da un’attenta lettura dei testi sinora discussi all’interno del vostro Cammino sinodale. 

La prima preoccupazione riguarda il genere letterario dei testi. Non essendo il vostro un Sinodo, ma un cammino sinodale, non sembra per ora previsto alcun documento finale. Ma non è forse il caso di pensare a qualcosa come ad un documento finale del Cammino sinodale o a qualcosa di simile? Un tale interrogativo si impone nel momento in cui si nota che in tanti passaggi dei testi del Cammino sinodale ci sono affermazioni generiche circa le posizioni presenti nel santo popolo di Dio, riferimenti allusivi a evidenze scientifiche e sociologiche, utilizzo di risultati esegetici ancora discussi e discutibili, dichiarazioni senza esitazione di fine della metafisica e di eclissi di ogni verità, generici protocolli di possibile riconoscimento pubblico della dottrina ecclesiale, ed infine richiami a teologi e a teologhe senza nome e senza possibilità di identificazione. Si tratta di cose forse molto chiare per gli estensori dei testi e per lettori qualificati, ma se siamo parte di un corpo più grande e questi testi (con la loro già disponibile traduzione in altre lingue) iniziano ad avere una diffusione globale, non sembra fuori luogo la proposta di un documento finale o qualcosa di analogo in cui possa emergere un procedere più lineare e meno dipendente da affermazioni non pienamente acclarate. 

La seconda preoccupazione riguarda il collegamento tra la struttura della Chiesa ed il fenomeno degli abusi di chierici contro i minori e gli altri fenomeni di abuso. Il discorso portato avanti dai testi, a causa pure della loro lunghezza e delle necessarie ripetizioni in più occasioni, non sembra tenere in giusto conto la natura specifica del corpo ecclesiale. Va da sé che tutto ciò che si può fare per evitare altri abusi di chierici contro i minori, deve essere fatto, ma questo non deve implicare una riduzione del mistero della Chiesa a semplice istituzione di potere o ad una preventiva considerazione della Chiesa quale organizzazione strutturalmente produttrice di abusi, che deve essere messa al più presto sotto controllo di super controllori. Da questo punto di vista, il rischio maggiore di molti suggerimenti operativi dei testi del Cammino sinodale è quello di fare perdere una delle conquiste maggiori del concilio Vaticano ii e cioè la chiara dottrina della missione dei vescovi e dunque della Chiesa particolare.

La terza preoccupazione riguarda la visione della sessualità umana secondo la dottrina della Chiesa ed in particolare per come essa trova espressione nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992. L’impressione generalizzata che al riguardo potrebbe emergere dalla lettura dei testi del Cammino sinodale è che su questo terreno nella dottrina della Chiesa non ci sia quasi nulla da salvare. Sarebbe tutto da cambiare. Come non pensare all’impatto che tutto questo ha su tanti fedeli che ascoltano la voce della Chiesa e si sforzano di seguirne le indicazioni di vita? Debbono forse pensare di aver sbagliato ogni cosa sino a questo momento?

Non si dovrebbe troppo facilmente pensare che la sessualità umana sia qualcosa di limpidamente davanti a noi e privo di quell’ambivalenza che ogni gesto umano comporta ed ancora di più ogni gesto umano legato all’esercizio della sessualità. Sarebbe stata auspicabile, da parte degli estensori dei testi e dell’Assemblea del Cammino sinodale, una maggiore cautela e un qualche anticipo di fiducia sulla visione che della sessualità ha realizzato il magistero negli ultimi decenni. La salvaguardia del carattere costitutivamente generativo e generazionale dell’essere umano resta uno dei grandi compiti profetici della comunità dei credenti in questo tempo di progressiva commercializzazione dell’esistenza umana. 

La quarta preoccupazione riguarda il ruolo della donna nella Chiesa ed in particolare la questione dell’accesso della donna all’ordinazione sacerdotale. Anche in questo caso, i testi del Cammino sinodale appaiono al di sotto di un’ermeneutica partecipata delle posizioni magisteriali, riducendo il tutto alla seguente osservazione: nella Chiesa cattolica non si rispetta la dignità fondamentale delle donne, perché esse non possono accedere all’ordinazione sacerdotale. La posizione del magistero è in verità più specifica. Il punto decisivo al riguardo non è che nella Chiesa cattolica le donne non possono accedere all’ordinazione sacerdotale; il punto è che si deve accogliere la verità per la quale «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» (san Giovanni Paolo ii, Ordinatio sacerdotalis). 

Qui trova il suo senso pieno quel sentirsi parte di un corpo più grande, di un corpo che non è disarticolato, ma di un corpo che, per volontà esplicita del Signore Gesù, ha la sua guida in Pietro e nei suoi successori. Vorrei subito aggiungere che le ultime delibere del Cammino sinodale di voler rivolgere al Santo Padre Francesco la richiesta di riaprire tale questione smorzano certamente i toni tanto polemici del testo specifico circa l’accesso delle donne all’ordinazione sacerdotale e di questo non si può che essere riconoscenti. Certo, resta ancora una volta la questione della destinazione ultima di questi testi del Cammino sinodale. Il suggerimento fraterno rimane quello di approdare ad una sintesi più pacata e decisamente più in sintonia di quel “sentirci costitutivamente parte di un corpo più grande” che guida questo mio intervento.

La quinta ed ultima preoccupazione riguarda l’esercizio del magistero ecclesiale ed in particolare l’esercizio del magistero episcopale. Nei testi del Cammino sinodale resta quasi dimenticato il dettato della costituzione conciliare Dei Verbum ed in particolare la questione della tradizione della fede proprio grazie alla successione apostolica: «Gli apostoli poi, affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi “affidando il loro proprio posto di maestri”» (dv, 7).

Prima della scrittura del corpus neotestamentario, vi è infatti la comunità di discepoli e di discepole del Signore Gesù chiamata a portare a tutti gli uomini e le donne della terra il messaggio della buona novella del Dio per tutti amore. Questa comunità, però, è una comunità ordinata, fondata su un capo che è Pietro e posta sotto la guida dei Dodici, ai quali spetta proprio il compito di autenticare la testimonianza degli altri discepoli e delle altre discepole del Signore. Nel corso dei secoli, questo ordine nella diaconia di tutti al regno dei Cieli è reso possibile proprio grazie alla presenza e missione dei vescovi ed in speciale modo alla presenza e alla missione del vescovo di Roma. Ai quali spetta, proprio per ciò, uno speciale compito nell’accompagnare tutti a vivere la carità nella verità e la verità nella carità. E se è vero che il magistero sta sotto il giudizio della Parola è anche vero che la Parola diviene viva e risuona come vivente proprio grazie all’esercizio del magistero dei vescovi e del vescovo di Roma in particolare. Quanto è confortante per ogni vescovo sapersi sempre cum Petro e sub Petro!

Non è pertanto possibile assimilare a questo compito così delicato e decisivo nella vita della Chiesa cattolica altri ministeri in essa presenti come quello dei teologi e di esperti in altre scienze. 

Venerati confratelli, sono queste le preoccupazioni che nello spirito di quel sentirci tutti costitutivamente parte di un corpo più grande ho desiderato porgere alla vostra attenzione. La Chiesa universale ha bisogno della Chiesa che è in Germania, così come la Chiesa che è in Germania ha bisogno della Chiesa universale. Ma dobbiamo voler “avere bisogno” gli uni degli altri, dobbiamo voler attenderci gli uni gli altri, dobbiamo voler questa comunione di vita e di cammino. Ed in verità è proprio questo ciò che richiede il vostro sincero e profondissimo desiderio di essere sempre di più una Chiesa in cui tutti possono sentirsi a casa, in cui tutti possono sentirsi parte di una famiglia, una Chiesa in cui Dio rivela a tutti il suo volto di Padre, Figlio e Spirito Santo, soprattutto ora dopo le pagine drammatiche che abbiamo vissuto a causa dell’evidenza dei terribili abusi da parte di chierici contro i minori e di una loro gestione, da parte  di alcuni vescovi, non sempre all’altezza della gravità della situazione.

Il Signore benedica il nostro voler aver bisogno gli uni degli altri. 

di Luis Francisco Ladaria Ferrer


Tornare allo spirito degli Atti degli apostoli

Il cardinale prefetto del Dicastero per i vescovi


Nella Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, Papa Francesco, in comunione con il suo predecessore Benedetto xvi, prendeva atto del deterioramento della vita cristiana nel Paese e invitava tutto il popolo a fidarsi di Cristo come chiave per il rinnovamento; il Santo Padre scriveva trattarsi di «un deterioramento, certo sfaccettato e di non facile e rapida soluzione, che chiede un approccio serio e consapevole che ci spinga a diventare, alle soglie della storia presente, come quel mendicante a cui l’Apostolo disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At  3, 6)». Mi rifaccio a questo brano della lettera citata, per offrire alcune brevi considerazioni ecclesiologiche relative alla vostra ricerca sinodale, nello spirito degli Atti degli apostoli. Lo faccio da fratello nell’episcopato ma anche pensando ai bisogni dei semplici fedeli. 

Voi, successori degli apostoli in Germania, avete preso sul serio la tragedia degli abusi sessuali perpetrati dai chierici, e avete lanciato, in modo tipicamente tedesco, un’operazione di studio con le risorse della scienza, della fede e delle consultazioni sinodali, per giungere ad una revisione radicale che porrebbe fine a questo fallimento morale ed istituzionale. I dibattiti accesi che si sono svolti e le proposte di riforma che ne fuoriescono, meritano certamente plauso per l’attenzione, l’impegno, la creatività, la sincerità e l’audacia manifestata dal vostro Cammino sinodale, dove i laici hanno avuto un ruolo paritario se non preponderante. Dopo l’attento studio delle vostre conclusioni, viene spontaneo tributare un riconoscimento sincero al gigantesco sforzo di autocritica istituzionale, al tempo consacrato a queste riflessioni e all’investimento di lavoro in comune tra teologi, vescovi e pastori, uomini e donne, per raggiungere certi consensi, pur con fatica e notevoli tensioni. Ci compete ora reagire alle vostre proposte, che contengono molti elementi condivisibili di tipo teologico, organizzativo e funzionale, ma che sollevano pure gravi difficoltà dal punto di vista antropologico, pastorale ed ecclesiologico. 

Parecchi critici autorevoli dell’orientamento attuale del Cammino sinodale in Germania, parlano apertamente di uno scisma latente che la proposta dei vostri testi così come sono rischierebbe di avallare. So bene che non è vostra intenzione arrivare ad una rottura con la comunione universale della Chiesa, né favorire una vita cristiana al ribasso conforme al “Zeitgeist” più che al Vangelo; anzi, le concessioni che appaiono nelle vostre proposte vi sono state, per così dire, estorte dalla fortissima pressione culturale e mediatica; capisco che la vostra intenzione è proprio quella di evitare uno scisma, rendendo più credibili i ministri del Vangelo, moltiplicandoli e qualificandoli, e suscitando delle comunità cristiane più inclusive e rispettose di tutti gli atteggiamenti, da valutarsi coerentemente alla dignità umana e al concetto cristiano di persona. Colpisce comunque il fatto che l’agenda di un gruppo limitato di teologi di alcuni decenni fa, sia divenuta di colpo la proposta maggioritaria dell’episcopato tedesco: abolizione del celibato obbligatorio, ordinazione di viri probati, accesso della donna al ministero ordinato, rivalutazione morale dell’omosessualità, limitazione strutturale e funzionale del potere gerarchico, considerazione della sessualità ispirata alla Gender Theory, cambiamenti importanti proposti al Catechismo della Chiesa cattolica, eccetera. 

«Cosa è successo?», «Dove siamo arrivati?» si domandano increduli molti fedeli e osservatori. È difficile resistere all’impressione che la vicenda degli abusi, molto grave, sia stata comunque sfruttata per far passare altre idee non immediatamente connesse.  

Valutando l’insieme delle proposte, abbiamo l’impressione di trovarci davanti non solo a un’interpretazione più larga della disciplina o della morale cattolica, ma ad un cambiamento fondamentale che suscita serie preoccupazioni, come ha ora ricordato il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. Ci pare di stare di fronte ad un progetto di “cambiamento della Chiesa” e non solo a innovazioni pastorali in campo morale o dogmatico. Devo purtroppo constatare che questa proposta globale, già ampiamente pubblicizzata in Germania e altrove, ferisce la comunione ecclesiale, perché semina il dubbio e la confusione nel popolo di Dio. Ne riceviamo ogni giorno testimonianze spontanee che lamentano lo scandalo causato ai piccoli da questa proposta inaspettata in rottura con la Tradizione cattolica.  

Non desta sorpresa che questi risultati dividano, non solo la Conferenza episcopale locale e la Chiesa in Germania, ma l’episcopato mondiale, che non ha mancato di reagire con stupore e preoccupazione. Questo fatto deve farci riflettere circa il primo compito dei vescovi, che è l’insegnamento secondo il magistero della Chiesa e del Sommo Pontefice (cfr. lg 25). Ogni vescovo, dalla sua ordinazione e aggregazione al collegio dei successori degli apostoli, cum et sub Petro, è abilitato a rappresentare la Chiesa universale nella porzione particolare a lui affidata e a garantire la comunione della sua porzione con la Chiesa universale. I criteri di questa comunione sono elencati in Lumen gentium, in Christus Dominus e nel Codice.

Il fatto che la Lettera di orientamento di Papa Francesco nel giugno 2019 sia stata accolta come punto di riferimento spirituale ma non veramente come guida per il metodo sinodale, ha avuto notevoli conseguenze. Il calendario dei lavori, dopo questo distacco iniziale dal magistero del Pontefice a livello metodologico, ha visto crescere progressivamente la tensione col magistero ufficiale a livello contenutistico, sfociando in proposte apertamente contrarie all’insegnamento ribadito da tutti i Pontefici dal concilio ecumenico Vaticano ii in poi. Stupisce a riguardo, l’atteggiamento assunto nei confronti della decisione definitiva di san Giovanni Paolo ii circa l’impossibilità per la Chiesa cattolica di procedere all’ordinazione sacerdotale delle donne. Tale atteggiamento rivela un problema di fede nei confronti del magistero e un certo razionalismo invadente che non si conforma alle decisioni assunte se non per ciò che pare personalmente convincente o se non diffusamente recepito dal sentire comune. Questo esempio simbolico, sommato agli altri cambiamenti morali e disciplinari auspicati, mette a repentaglio la responsabilità dei vescovi nei confronti del loro primo ministero e getta un’ombra sull’insieme dello sforzo assembleare citato, che pare fortemente influenzato da gruppi di pressione, e risulta così giudicato da tanti come un’iniziativa rischiosa, destinata a deludere e fallire perché “uscita dai binari”.      

Grazie a Dio, questi testi elaborati e votati, ma ancora aperti ad ulteriori modifiche nell’ultima seduta prevista per marzo, comportano anche sviluppi apprezzabili per il ripensamento pastorale ed ecclesiologico, ad esempio: un senso spiccato della giustizia e dell’obbligo morale della riparazione verso le vittime di abusi, la promozione del sacerdozio battesimale, l’atteggiamento di riconoscimento dei carismi. Tenendo conto delle circostanze e delle tensioni acute che hanno accompagnato le sessioni al momento delle votazioni, avendo presente soprattutto la consultazione in corso per il Sinodo universale sulla sinodalità, ci pare necessaria una moratoria sulle proposte presentate e una revisione sostanziale da farsi in seguito, alla luce dei risultati del Sinodo romano. Abbiamo provvidenzialmente un’opportunità per abbinare le prospettive, adottando un cambiamento metodologico che potrebbe aiutare a migliorare le tesi del Cammino sinodale tedesco, nel senso di un ascolto più profondo dell’impostazione di Papa Francesco e del Sinodo universale dei vescovi. È ovvio che la metodologia del Sinodo universale è diversa da quella usata in Germania: è sicuramente meno parlamentare, più attenta alla partecipazione globale e al raggiungimento dei consensi formati in base all’ascolto spirituale profondo del popolo di Dio.  

Il motivo fondamentale di questa moratoria è la preoccupazione per l’unità della Chiesa, che poggia sull’unità dei vescovi in comunione e in ossequio a Pietro. Appoggiare questa proposta controversa di un episcopato in difficoltà, seminerebbe ancora più dubbi e confusione nel popolo di Dio. Avendo presente il panorama ecumenico e quello geo-politico mondiale sconvolto dalle guerre, è prevedibile che la diffusione ulteriore di questa proposta non risolverebbe i problemi a cui vorrebbe porre rimedio: le uscite massicce dei fedeli dalla Chiesa, l’esodo della gioventù, le cosiddette “cause sistemiche” degli abusi, la crisi di fiducia dei fedeli. 

Il limite principale di questa proposta è forse una certa impostazione apologetica, basata sui cambiamenti culturali invece di poggiare sull’annunzio rinnovato del Vangelo. Voi possedete oro e argento, scienza e prestigio ampiamente riconosciuti e gestite tutto con generosità, non dimenticatevi di testimoniare con forza e semplicità la fede in Gesù Cristo di cui il vostro popolo è mendicante.   

Con l’esempio e l’insegnamento di Papa Francesco, possiamo tornare allo spirito degli Atti degli apostoli, offrire anzitutto Gesù Cristo ai bisogni di cura e di conversione della nostra gente, non pretendere che le soluzioni culturali o istituzionali siano indispensabili per rendere credibile la figura di Gesù, pur proposta da ministri imperfetti ma fiduciosi nella grazia e misericordia divina. È questo il messaggio iniziale di Papa Francesco che bisogna ora riprendere e applicare alla revisione dei risultati del Cammino sinodale.

di Marc Ouellet