Durante l’udienza al World Jewish Congress il Pontefice invita ebrei e cristiani a un impegno comune

Arrestare questa guerra sacrilega e aprire vie di pace

 Arrestare questa guerra sacrilega e aprire vie di pace  QUO-267
22 novembre 2022

Ebrei e cristiani insieme «per arrestare la guerra e aprire vie di pace»: è questo l’impegno comune indicato dal Papa ai partecipanti all’Executive Committee Meeting del World Jewish Congress, ricevuti in udienza stamane, 22 novembre, nella Sala Clementina.

Cari Rappresentanti del World Jewish Congress, vi do il mio fraterno benvenuto! La ringrazio, Ambasciatore Lauder, per le sue cortesi parole. Questa visita testimonia e rinsalda i legami di amicizia che ci uniscono: sin dal Concilio Vaticano ii, la vostra organizzazione dialoga con la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e da anni organizza convegni di grande interesse.

Ebrei e cattolici, abbiamo in comune inestimabili tesori spirituali. Professiamo la fede nel Creatore del cielo e della terra, che non solo ha dato origine all’umanità, ma plasma ogni essere umano a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1, 26). Crediamo che l’Onnipotente non è rimasto distante dalla sua creazione, ma si è rivelato, non comunicando soltanto con alcuni, isolatamente, ma rivolgendosi a noi come popolo. Tramite la fede e la lettura delle Scritture trasmesse nelle nostre tradizioni religiose, possiamo entrare in relazione con Lui e diventare collaboratori della sua provvidente volontà.

Abbiamo anche uno sguardo simile sulla fine, abitati dalla fiducia che, nel cammino della vita, non procediamo verso il nulla, ma incontro all’Altissimo che ha cura di noi, incontro a Colui che ci ha promesso, alla conclusione dei giorni, un regno eterno di pace, dove terminerà tutto ciò che minaccia la vita e la convivenza umana. Il nostro mondo è segnato dalla violenza, dall’oppressione e dallo sfruttamento, ma tutto ciò non ha l’ultima parola: la promessa fedele dell’Eterno ci parla di un futuro di salvezza, di un nuovo cielo e di una nuova terra (cfr. Is 65, 17-18; Ap 21, 1) dove pace e gioia avranno stabile dimora, dove la morte sarà eliminata per sempre, dove Egli asciugherà le lacrime su ogni volto (cfr. Is 25, 7-8), dove non vi saranno più lutto, lamento a affanno (cfr. Ap 21, 4). Il Signore realizzerà questo futuro, anzi Lui stesso sarà il nostro futuro. E, sebbene esistano idee diverse nell’ebraismo e nel cristianesimo su come si configurerà tale compimento, la confortante promessa che abbiamo in comune permane. Essa alimenta la nostra speranza, ma non meno il nostro impegno, affinché il mondo che abitiamo e la storia che viviamo rispecchino la presenza di Colui che ci ha chiamati ad essere adoratori suoi e custodi dei nostri fratelli.

Cari amici, alla luce dell’eredità religiosa che condividiamo, guardiamo al presente come a una sfida che ci accomuna, come a un’esortazione ad agire insieme. Alle nostre due comunità di fede è affidato il compito di lavorare per rendere il mondo più fraterno, lottando contro le disuguaglianze e promuovendo una maggiore giustizia, affinché la pace non rimanga una promessa dell’altro mondo, ma sia già realtà in questo. Sì, la strada della pacifica convivenza comincia dalla giustizia che, insieme alla verità, all’amore e alla libertà, è una delle condizioni fondamentali per una pace duratura nel mondo (cfr. Giovanni xxiii , Lett. enc. Pacem in terris, 18.20.25). Quanti esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio, sono sfigurati nella loro dignità, a causa di un’ingiustizia che lacera il pianeta e rappresenta la causa soggiacente a tanti conflitti, la palude in cui ristagnano guerre e violenze! Colui che tutto ha creato secondo ordine e armonia ci invita a bonificare questa palude di ingiustizia che affossa la convivenza fraterna nel mondo, tanto quanto le devastazioni ambientali compromettono la salute della terra.

Iniziative comuni e concrete volte a promuovere la giustizia richiedono coraggio, collaborazione e creatività. E beneficiano grandemente della fede, della capacità di riporre la fiducia nell’Altissimo e di lasciarsi guidare da Lui, piuttosto che da meri interessi terreni, che sono sempre immediati e non lungimiranti, particolari e incapaci di abbracciare l’insieme. La fede ci ridesta invece al pensiero che ogni uomo è a immagine e somiglianza dell’Altissimo, chiamato a incamminarsi verso il suo regno. Le Scritture, poi, ci ricordano che poco o nulla possiamo fare se Dio non ci dà la forza e l’ispirazione: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127, 1). In altre parole, le nostre iniziative politiche, culturali e sociali per migliorare il mondo — quello che voi chiamate “Tiqqun Olam” — non potranno avere il buon esito sperato senza la preghiera e senza l’apertura fraterna alle altre creature in nome dell’unico Creatore, il quale ama la vita e benedice gli operatori di pace.

Oggi, fratelli e sorelle, in tante regioni del mondo, la pace è minacciata. Riconosciamo insieme che la guerra, ogni guerra, è sempre, comunque e dovunque una sconfitta per tutta l’umanità! Penso a quella in Ucraina, una guerra grande e sacrilega che minaccia ebrei e cristiani allo stesso modo, privandoli dei loro affetti, delle loro case, dei loro beni, della loro stessa vita! Solo nella volontà seria di avvicinarsi gli uni agli altri e nel dialogo fraterno è possibile preparare il terreno della pace. Come ebrei e cristiani, cerchiamo di fare tutto ciò che è umanamente possibile per arrestare la guerra e aprire vie di pace.

Cari amici, grazie di cuore per questa visita; l’Altissimo, che ha «progetti di pace e non di sventura» (Ger 29, 11), benedica le vostre opere buone. Egli vi accompagni nel cammino e guidi insieme sulla via della pace. Shalom!