Papa Francesco ad Asti
La celebrazione della messa in cattedrale

Il Re «a brasa aduerte»

 Il Re «a brasa aduerte»  QUO-266
21 novembre 2022

«Da queste terre mio padre è partito per emigrare in Argentina
 Sono venuto a ritrovare il sapore delle radici»


Papa Francesco ha presieduto la messa nella cattedrale di Asti domenica mattina, 20 novembre, nella solennità di Cristo Re dell’universo, xxxvii Giornata mondiale della gioventù. Ecco l’omelia del Pontefice.

Abbiamo visto questo ragazzo, Stefano, che chiede di ricevere il ministero di accolito nel suo percorso verso il sacerdozio. Dobbiamo pregare per lui, perché vada avanti nella sua vocazione e sia fedele; ma anche dobbiamo pregare per questa Chiesa di Asti, perché il Signore invii vocazioni sacerdotali, perché come voi vedete la maggioranza sono vecchi, come me: ci vogliono preti giovani, come alcuni di qua che sono bravissimi. Preghiamo il Signore perché benedica questa terra.

E da queste terre mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici. Ma oggi è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede. Esse si trovano nell’arido terreno del Calvario, dove il seme di Gesù, morendo, ha fatto germogliare la speranza: piantato nel cuore della terra ci ha aperto la via al Cielo; con la sua morte ci ha dato la vita eterna; attraverso il legno della croce ci ha portato i frutti della salvezza. Guardiamo dunque a Lui, guardiamo al Crocifisso.

Sulla croce appare una sola frase: «Costui è il re dei Giudei» (Lc 23, 38). Ecco il titolo: Re. Però, osservando Gesù, la nostra idea di re viene ribaltata. Proviamo a immaginare visivamente un re: ci verrà in mente un uomo forte seduto su un trono con delle insegne preziose, uno scettro tra le mani e anelli luccicanti tra le dita, mentre proferisce ai sudditi parole solenni. Questa, grosso modo, è l’immagine che abbiamo in testa. Ma guardando Gesù, vediamo che è tutto il contrario. Egli non è seduto su un comodo trono, ma appeso ad un patibolo; il Dio che «rovescia i potenti dai troni» (Lc 1, 52) opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa aduerte.

Solo entrando nel suo abbraccio noi capiamo: capiamo che Dio si è spinto fino a lì, fino al paradosso della croce, proprio per abbracciare tutto di noi, anche quanto di più distante c’era da Lui: la nostra morte —Lui ha abbracciato la nostra morte —, il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità e le nostre miserie. E Lui ha abbracciato tutto questo. Si è fatto servo perché ciascuno di noi si senta figlio: ha pagato con la sua servitù la nostra figliolanza; si è lasciato insultare e deridere, perché in ogni umiliazione nessuno di noi sia più solo; si è lasciato spogliare, perché nessuno si senta spogliato della propria dignità; è salito sulla croce, perché in ogni crocifisso della storia vi sia la presenza di Dio. Ecco il nostro Re, Re di ognuno di noi, Re dell’universo perché ha valicato i confini più remoti dell’umano, è entrato nei buchi neri dell’odio, nei buchi neri dell’abbandono per illuminare ogni vita e abbracciare ogni realtà. Fratelli, sorelle, questo è il Re che oggi festeggiamo! Non è facile capirlo, ma è il nostro Re. E la domanda da farci è: questo Re dell’universo è il Re della mia esistenza? Io credo a Lui? Come posso celebrarlo Signore di ogni cosa se non diventa anche il Signore della mia vita? E tu che oggi incominci questa strada verso il sacerdozio non dimenticarti che questo è il tuo modello: non aggrapparti agli onori, no. Questo è il tuo modello; se tu non pensi di essere sacerdote come questo Re, meglio fermati lì.

Fissiamo però ancora gli occhi in Gesù Crocifisso. Vedi, Lui non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui, ma Lui rimane lì, a brasa aduerte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti, salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati. Ma Signore, è vero? Con le mie miserie tu mi ami così? Ognuno in questo momento pensi alla propria povertà: “Ma, tu mi ami con queste povertà spirituali che ho, con queste limitazioni?”. E Lui sorride e ci fa capire che ci ama e ha dato la vita per noi. Pensiamo un po’ ai nostri limiti, anche alle cose buone: Lui ci ama come noi siamo, come siamo adesso. Lui ci dà la possibilità di regnare nella vita, se ti arrendi al suo amore mite che si propone ma non s’impone — l’amore di Dio non si impone mai — al suo amore che sempre ti perdona. Noi tante volte ci stanchiamo di perdonare la gente e facciamo la croce, facciamo la sepoltura sociale. Lui non si stanca mai di perdonare, mai, mai: sempre ti rimette in piedi, sempre ti restituisce la tua dignità regale. Sì, la salvezza da dove viene? Dal lasciarci amare da Lui, perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela. Fratelli, sorelle, mettiamoci spesso davanti al Crocifisso, lasciamoci amare, perché quelle brasa aduerte dischiudono anche a noi il paradiso, come al “buon ladrone”. Sentiamo rivolta a noi quella frase, l’unica che Gesù dice oggi dalla croce: «Con me sarai nel paradiso» (Lc 23, 43). Questo vuole e vuol dirci Dio, a tutti noi, ogni volta che ci lasciamo guardare da Lui. E allora capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, no: un Dio vicino, la vicinanza è lo stile di Dio: la vicinanza, con tenerezza e misericordia. Questo è lo stile di Dio. non ha un altro stile. Vicino, misericordioso e tenero. Tenero e compassionevole, le cui braccia aperte consolano e accarezzano. Ecco il nostro Re!

Fratelli, sorelle, dopo averlo guardato, che cosa possiamo fare? Il Vangelo oggi ci pone davanti a due strade. Di fronte a Gesù c’è chi fa da spettatore e chi si coinvolge. Gli spettatori sono molti, la maggioranza. Guardano, è uno spettacolo veder morire uno in croce. Infatti — dice il testo — «il popolo stava a vedere» (v. 35). Non era gente cattiva, tanti erano credenti, ma alla vista del Crocifisso restano spettatori: non fanno un passo in avanti verso Gesù, ma lo guardano da lontano, curiosi e indifferenti, senza interessarsi davvero, senza chiedersi che cosa poter fare. Avranno commentato, forse: “Ma guarda questo...” avranno espresso giudizi e pareri: “Ma è innocente, guarda questo così...” qualcuno si sarà lamentato, ma tutti sono rimasti a guardare con le mani in mano, a braccia conserte. Ma anche vicino alla croce ci sono degli spettatori: i capi del popolo, che vogliono assistere allo spettacolo cruento della fine ingloriosa di Cristo; i soldati, i quali sperano che l’esecuzione finisca presto, per andarsene a casa; uno dei malfattori, che scarica su Gesù la sua rabbia. Deridono, insultano, si sfogano.

E tutti questi spettatori condividono un ritornello, che il testo riporta tre volte: “Se sei re, salva te stesso!” (cfr. vv. 35.37.39) Lo insultano così, lo sfidano! Salva te stesso, esattamente il contrario di quello che sta facendo Gesù, che non pensa a sé, ma a salvare loro, che lo insultano. Però il salva te stesso contagia: dai capi ai soldati alla gente, l’onda del male raggiunge quasi tutti. Ma pensiamo che il male è contagioso, ci contagia: come quando noi prendiamo una malattia infettiva, ci contagia subito. E quella gente parla di Gesù ma non si sintonizza neanche un momento con Gesù. Prende la distanza e parla. È il contagio letale dell’indifferenza. Una brutta malattia l’indifferenza. “Questo non tocca me, non tocca me”. Indifferenza verso Gesù e indifferenza anche verso i malati, verso i poveri, verso i miseri della terra. A me piace domandare alla gente, e domando ad ognuno di voi; so che ognuno di voi dà l’elemosina ai poveri, e io vi domando: “Quando tu dai l’elemosina ai poveri, li guardi negli occhi? Sei capace di guardare agli occhi di quel povero o quella povera che ti chiede l’elemosina? Quando tu dai l’elemosina ai poveri, tu butti la moneta o gli tocchi la mano? Sei capace di toccare una miseria umana?”. Ognuno poi si dia la risposta oggi. Quella gente era nell’indifferenza. Quella gente parla di Gesù ma non sintonizza con Gesù. E questo è il contagio letale dell’indifferenza: che crea delle distanze con le miserie. L’onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci si abitua a girarsi dall’altra parte. È questo è un rischio anche per la nostra fede, che appassisce se resta una teoria, non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco. Allora si diventa cristiani all’acqua di rose — come io ho sentito dire a casa mia — che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo e anche, a loro non interessa Dio, né la pace. Questi cristiani soltanto di parola, superficiali!

Questa era l’onda cattiva, che era lì al Calvario. Ma c’è anche l’onda benefica del bene. Tra tanti spettatori, uno si coinvolge, cioè il “buon ladrone”. Gli altri ridono del Signore, Lui gli parla e lo chiama per nome: “Gesù”; tanti gli gettano addosso la loro rabbia, lui confessa a Cristo i suoi sbagli; molti dicono “salva te stesso”, Lui prega: «Gesù, ricordati di me» (v. 42). Chiede soltanto questo al Signore. Bella preghiera questa. Se ognuno di noi la recita tutti i giorni è una bella strada: la strada della santità: “Gesù ricordati di me.” Così un malfattore diventa il primo santo: si fa vicino a Gesù per un istante e il Signore lo tiene con sé per sempre. Ora, il Vangelo parla del buon ladrone per noi, per invitarci a vincere il male smettendo di rimanere spettatori. Per favore, questo è peggio di fare il male, l’indifferenza. Da dove cominciare? Dalla confidenza, dal chiamare Dio per nome, proprio come ha fatto il buon ladrone, che alla fine della vita ritrova la fiducia coraggiosa dei bambini, che si fidano, chiedono, insistono. E nella confidenza ammette i suoi sbagli, piange ma non su sé stesso, bensì davanti al Signore. E noi, abbiamo questa fiducia, portiamo a Gesù quello che abbiamo dentro o ci mascheriamo davanti a Dio, magari con un po’ di sacralità e di incenso? Per favore, non fare la spiritualità del trucco: quella è noiosa. Davanti a Dio: acqua e sapone, soltanto, senza trucco, ma l’anima così com’è. E da lì viene la salvezza. Chi pratica la confidenza, come questo buon ladrone, impara l’intercessione, impara a portare a Dio quello che vede, le sofferenze del mondo, le persone che incontra; a dirgli, come il buon ladrone: “Ricordati, Signore!”. Non siamo al mondo solo per salvare noi stessi, no: ma per portare i fratelli e le sorelle nell’abbraccio del Re. Intercedere, ricordare al Signore, apre le porte del paradiso. Ma noi, quando preghiamo, intercediamo? “Ricordati Signore, ricordati di me, della mia famiglia, ricordati di questo problema, ricordati, ricordati...” Attirare l’attenzione del Signore.

Fratelli, sorelle, oggi il nostro Re dalla croce ci guarda a brasa aduerte. Sta a noi scegliere se essere spettatori o coinvolti. Sono spettatore o voglio essere coinvolto? Vediamo le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione... Che cosa facciamo? Ci limitiamo a fare teorie, ci limitiamo a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dal “se” delle scuse al “sì” della preghiera e del servizio? Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, tutti; parliamo tutti i giorni di che cosa non va nel mondo e anche nella Chiesa: tante cose non vanno nella Chiesa. Ma poi facciamo qualcosa? Ci sporchiamo le mani come il nostro Dio inchiodato al legno o stiamo con le mani in tasca a guardare? Oggi, mentre Gesù, spogliato sulla croce, toglie ogni velo su Dio e distrugge ogni falsa immagine della sua regalità, guardiamo a Lui, per trovare il coraggio di guardare a noi stessi, di percorrere le vie della confidenza e dell’intercessione, di farci servi per regnare con Lui. “Ricordati Signore, ricordati”: Facciamo questa preghiera più spesso. Grazie.


Il ringraziamento del vescovo Marco Prastaro

L’incontro tanto atteso


Al termine della messa, il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro, ha rivolto al Papa  queste parole di ringraziamento.

Santo Padre, al termine di questa celebrazione eucaristica desidero ringraziarla — a nome di tutta la comunità astigiana — per questo incontro che abbiamo tanto atteso.  Quando venne eletto Papa, in quella sera lei disse di essere stato preso “quasi alla fine del mondo”. 

Oggi, con un po’ di orgoglio, ci piace pensare che Asti, la terra delle sue radici familiari, possa essere l’inizio del mondo. E lo è veramente, perché qui con lei abbiamo rinnovato le radici della nostra fede. L’Eucarestia, la Parola di Dio, il ministero petrino da lei esercitato, la fraternità che ci fa essere comunità, la presenza dei malati, dei poveri — che sono carne di Cristo —, tutto ci parla della presenza di Gesù fra noi. Di quel Gesù con il quale sempre nasce e rinasce la gioia.

Qui, dall’inizio del mondo, oggi rinnoviamo il nostro impegno missionario a portare la gioia del Vangelo fino alla fine del mondo, in ogni periferia esistenziale che incontreremo.

Grazie con tutto il cuore della sua presenza fra noi e del tempo che ci ha dedicato, grazie di averci confermato nella fede e dell’affetto così caldo e particolare che ci ha riservato. Grazie della sua visita, e torni quando vuole: questa è la sua città! Nel frattempo, noi continueremo a pregare per lei. Grazie, Santo Padre.


...e Stefano ha distribuito subito la Comunione


Ha subito distribuito la Comunione Stefano Accornero, appena qualche minuto dopo essere divenuto accolito per mano di Papa Francesco, che personalmente gli ha consegnato le ostie. Dandogli anche due delicati schiaffetti paterni sulla guancia e mettendo un accento, con il tono di voce, sulla parola “degna” nella formula del conferimento dell’accolitato: «Ricevi il vassoio con il pane per la celebrazione dell’Eucaristia e la tua vita sia degna del servizio alla mensa del Signore e della Chiesa». 

Ha iniziato così subito il suo servizio — tra un anno e mezzo sarà ordinato sacerdote — l’unico seminarista originario di Asti, durante la messa presieduta dal Papa nella cattedrale domenica 20 novembre, solennità di Cristo Re. E guardando Stefano, all’inizio dell’omelia, Francesco ha chiesto di pregare il Signore perché ad Asti «ci vogliono sacerdoti giovani».

Originario di Refrancore (un paese a 15 chilometri dalla città), 24 anni, con un diploma di liceo classico, Stefano  frequenta il seminario di Torino con altri 22 giovani piemontesi. «Il dono che oggi ho ricevuto — racconta — mi ha svelato il mistero di una Chiesa universale che ha un volto umano e che si fa vicina». E confida: «Quando ho saputo che la data concordata per il mio accolitato coincideva con la visita del Papa, ho subito pensato che sarebbe slittata: invece il vescovo mi ha detto che ci avrebbe pensato proprio il Papa!».

Stefano, con la sua testimonianza semplice di gratitudine e speranza, domenica ad Asti è stato come il “portavoce” degli oltre 200 giovani, venuti da tutte le parrocchie della diocesi per vivere con il Papa la “loro” Giornata mondiale. Gli animatori dell’équipe diocesana che sta preparando la Gmg di Lisbona e una rappresentanza delle cinque zone pastorali hanno trovato posto in cattedrale che, pur essendo la più grande del Piemonte, non ha potuto contenere tutti coloro che si sono raccolti attorno a Francesco. E così quasi tutti i giovani hanno partecipato alla celebrazione della messa e alla preghiera dell’Angelus sul piazzale antistante la cattedrale, seguendo il rito dai due maxischermi.

E i giovani sono stati i protagonisti nella celebrazione. Proprio l’équipe per Lisbona ha portato accanto all’altare la croce in legno disegnata da Fabio Celestre, 26 anni: è lo stesso giovane artista (laureato in scultura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e membro dell’équipe della Pastorale giovanile astigiana) che ha inventato il logo della visita del Papa, con lo slogan «L’incontro tanto atteso». 

Prima della messa, i giovani hanno vissuto l’esperienza di una piccola “processione” per poi entrare in cattedrale — con il canto Jesus Christ you are my life — portando la croce che esprime proprio il loro impegno verso la Giornata che si svolgerà in Portogallo nell’agosto 2023. E poi  hanno animato anche la liturgia della Parola e l’offertorio.

La croce dei giovani è divenuta subito un tutt’uno con la bellezza della cattedrale, con le tante opere che raccontano una lunga storia di fede popolare, e la croce pastorale usata dal Papa nella celebrazione: è il dono di artisti abruzzesi, in occasione della visita il 28 agosto scorso a L’Aquila, ispirati dalla ferula realizzata dallo scultore Lello Scorzelli per san Paolo vi. Da L’Aquila ad Asti, tra la gente delle province italiane, dunque.

La messa ha avuto inizio alle 11. Nella cornice di una splendida giornata di sole, per raggiungere la cattedrale il Papa, a bordo della vettura scoperta — accompagnato dal vescovo Marco Prastaro — ha percorso un “anello” di circa un chilometro e settecento metri per le strade del centro di Asti per abbracciare tutti, nessuno escluso: piazza Catena (dove erano presenti le persone malate e con disabilità, accompagnate dalle associazioni solidali), via Natta, via Gioberti, piazza Lugano, viale Partigiani, piazza Porta Torino, corso Alfieri (dove i nonni e il padre di Francesco hanno vissuto dal 1918, al loro arrivo ad Asti da Torino), piazza Cairoli e via Caracciolo. 

E Asti ha accolto questo suo figlio a braccia aperte, a brasa aduerte per dirla in piemontese, come in famiglia. A salutarlo, tra gli altri, anche un gruppo di sinti — Rosa Vassallo Bergoglio (la nonna del Papa) e la sua amica Prospera Gianasso, negli anni Venti del secolo scorso animarono con l’Azione cattolica una originale pastorale tra i nomadi — e famiglie ucraine con i cosiddetti “ultimi” della città.

Entrato in cattedrale, il Papa ha anzitutto salutato alcune persone anziane e malate, quindi i suoi familiari e le autorità. Presenti anche alcuni rappresentanti di diverse comunità religiose.

Francesco è l’ottavo Papa che ha visitato Asti. Il primo è stato Urbano ii, in città dal 27 giugno al 1° luglio 1095, che ha  consacrato proprio la ristrutturata cattedrale. E se Innocenzo ii il 20 aprile 1132 ad Asti ha celebrato la Pasqua, Pio vii ha  soggiornato 6 volte in città tra il 1804 e il 1815 anche “per colpa” di Napoleone: prima per andare a incoronarlo a Parigi e poi da prigioniero. Ma anche, finalmente libero, sulla strada per Torino per l’ostensione della sindone. Infine Giovanni Paolo ii è stato ad Asti e a Isola d’Asti il 25 e 26 settembre 1993 per beatificare Giuseppe Marello.

La celebrazione della messa è stata diretta da monsignor Diego Ravelli, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie. Hanno concelebrato il vescovo Prastaro (a conclusione della messa ha ringraziato il Pontefice con le parole che pubblichiamo integralmente a pagina 2), il vescovo emerito, monsignor Francesco Ravinale, e circa cinquanta sacerdoti.

Alla preghiera dei fedeli si è pregato perché «la Chiesa esprima nel mondo la giustizia nuova che Gesù ha promulgato dalla croce», perché il Signore «conservi» Papa Francesco «alla Chiesa come guida e pastore del popolo santo di Dio» e perché i giovani di Asti e del mondo «siano gioiosi missionari e testimoni del Vangelo».

Si è pregato, in particolare, «per i popoli che soffrono a causa della guerra», perché «tacciano le armi e si spenga in tutto il mondo odio e sete di vendetta». E perché «trovino conforto e sostegno tutti coloro che soffrono a causa della situazione economica attuale e per chi ha perso il lavoro». 

Al termine della messa — conclusa con il “grazie” del vescovo, il dono alla diocesi di un calice e la recita dell’Angelus — il Papa ha fatto rientro in auto in episcopio dove ha pranzato, in privato, con circa trenta familiari.

A servire a tavola anche alcuni giovani camerieri con sindrome di Down che lavorano nell’Albergo etico di Asti. E in cucina anche Success, 24 anni, nigeriana, scampata a un naufragio e sbarcata a Lampedusa, vittima della tratta e ora accolta ad Asti per una nuova vita dal Progetto internazionale accoglienza migranti, da vent’anni impegnato per liberare le giovani donne dalle reti criminali. Una migrante con una famiglia di emigranti.