Lettera al cardinale Omella per il quinto centenario della conversione di sant’Ignazio di Loyola

Le crisi mostrano che l’uomo non è padrone della Storia

 Le crisi mostrano che l’uomo  non è padrone della Storia  QUO-261
15 novembre 2022

«Per mezzo delle crisi, Dio ci dice che non siamo noi i padroni della Storia, con la maiuscola, e neppure delle nostre storie»: lo ha scritto Francesco in un messaggio inviato nei giorni scorsi al cardinale arcivescovo di Barcellona per la celebrazione tenutasi ieri nella città catalana del quinto centenario della conversione di sant’Ignazio di Loyola. Ecco una nostra traduzione dallo spagnolo del messaggio papale.

All’Eminentissimo Cardinale
Juan José Omella Omella
Arcivescovo di Barcellona
e Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola

Caro fratello,

Il 14 novembre si celebrerà a Barcellona un evento singolare, i 500 anni dall’arrivo di un povero soldato a un luogo recondito della geografia della Spagna, mentre era in cammino verso la Terra Santa. Il nostro protagonista, dopo aver servito il re e le sue convinzioni fino a versare il proprio sangue, era ferito nel corpo e nello spirito, si era spogliato di tutto e nutriva il proposito di seguire Cristo in povertà e umiltà. A lui in quel momento poco importava alloggiare in ostelli per i poveri o doversi rifugiare in una grotta per pregare, e ancor meno che questo comportasse l’essere “considerato stolto e pazzo” (e.e. 167). Eppure — paradossi del destino — cinque secoli dopo le autorità civili e religiose di quella regione, insieme al preposito generale dell’istituto religioso da lui fondato, la Compagnia di Gesù, si riuniscono in forma istituzionale per celebrare quell’evento.

Anche io desidero unirmi a questo atto, per il quale ho voluto che mi rappresentassi, pregandoti di far giungere il mio saluto a tutte le autorità presenti, sia civili sia ecclesiastiche e, attraverso di esse, al Popolo fedele di Dio, che ricorda sant’Ignazio di Loyola con devozione e affetto, e agli uomini di buona volontà che lo rispettano in quanto uomo integro e coerente nelle sue convinzioni. E anche ai membri della Compagnia di Gesù che come me lo venerano come fondatore.

È significativo in questo momento pensare che, per portarlo fino a lì, Dio si sia servito di una guerra e di una peste. La guerra, che lo fece uscire da Pamplona e fu il detonante della sua conversione, e la peste che gli impedì di arrivare a Barcellona e lo trattenne nella grotta di Manresa. È una grande lezione per noi, perché non ci mancano guerre e pesti per farci convertire. Possiamo quindi considerarle come un’opportunità per invertire la rotta seguita fino a ora e investire in ciò che è veramente importante, qualunque sia l’ambito in cui ci muoviamo. Perché, per mezzo delle crisi, Dio ci dice che non siamo noi i padroni della Storia, con la maiuscola, e neppure delle nostre storie, e per quanto siamo liberi di rispondere o meno alle chiamate della sua grazia, è sempre il suo disegno di amore a guidare il mondo.

In quella circostanza, Ignazio si dimostrò docile a questa chiamata, ma la cosa più importante è che non trattenne quella grazia per sé, ma la considerò fin dall’inizio come un dono per gli altri, come un cammino, un metodo che poteva aiutare altre persone a incontrare Dio, ad aprire il proprio cuore e a lasciarsi interpellare da Lui. Da allora i suoi esercizi spirituali, come altri cammini di perfezione, quali i dodici gradi di umiltà di san Benedetto, las moradas [il castello interiore] di santa Teresa, o più semplicemente ciò che ci propongono le beatitudini o i doni dello Spirito Santo, si presentano a noi come quella scala di Giacobbe che dalla terra ci porta al cielo, e che Gesù promette a quanti lo cercano sinceramente.

Che il Signore ti benedica, caro fratello, che benedica il Popolo che peregrina in quelle terre, e che la Vergine Santa vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me,

Fraternamente,

Francesco

Roma, san Giovanni in Laterano, 12 settembre 2022