Suor Grazia tra i profughi che dal Myanmar arrivano in Thailandia

È il potere dell’amore
che ci rende forti

 È il potere dell’amore che ci rende forti  QUO-261
15 novembre 2022

Suor Grazia Patthayaporn fa parte delle suore ministre degli infermi di san Camillo, più note come suore camilliane. In un’intervista con i media vaticani, suor Patthayaporn ha condiviso l’esperienza in un campo profughi al confine tra Thailandia e Myanmar e ha raccontato della sua missione nelle montagne con i cristiani karen.

Suor Patthayaporn ci racconta che nei tre campi di Maela, Umpiem Mai e Nupo, nella provincia di Tak, dove lavora, trovano rifugio molti dei profughi che fuggono dal Myanmar. I rifugiati arrivano sotto la protezione dell’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Acnur) e del governo thailandese. Secondo le stime dell’Unhcr, sono circa 90.000 i rifugiati dal Myanmar accolti nei nove campi temporanei, allestiti al confine tra i due Paesi.

Nel campo nel quale lavora suor Patthayaporn ci sono molti bambini, giovani, anziani e malati. La religiosa collabora con il Catholic Office for Emergency Relief and Refugees (Coerr), una ong che è un braccio operativo di Caritas Thailandia, coordinata con l’Unhcr e con altre organizzazioni cattoliche che forniscono servizi sociali indipendentemente a cristiani e non-cristiani.

Il lavoro tra le montagne è sempre una sfida. «Mi sento molto piccola — spiega la religiosa — ma anche molto felice perché il Signore mi permette di accompagnare queste persone. Le amo tutte, e loro sentono l’amore di Dio attraverso il nostro servizio».

È molto importante — ricorda suor Patthayaporn — lavorare insieme e lavorare in rete. «Cerchiamo di fare al meglio non per noi stesse, ma nel nome di Gesù Cristo», continua, cercando di raggiungere tutti perché tutti sono nostri fratelli e sorelle. «Questo è quello che ci rende forti: il potere dell’amore. Sento che più diamo, più riceviamo perché il nostro mezzo è Dio, Lui è la motivazione».

Ogni giorno, suor Patthayaporn riscopre di essere «un piccolo strumento di Dio» per tutte le persone che incontra. «Noi ascoltiamo, condividiamo. In tanti casi — dice — riusciamo a trovare il modo per migliorare la qualità di vita di queste persone. So bene che non è facile, ma insieme possiamo fare grandi cose». La sfida che riconosce la religiosa è nell’esiguo numero di cattolici, in Thailandia. «Ma noi sappiamo che Dio ci dà la forza, che anche la Chiesa ci dà la forza», proprio attraverso il lavoro in rete.

«Essere suora — spiega — non è difficile, significa rispondere all’amore di Dio e poi Dio farà ogni cosa. Devo soltanto aprire il mio cuore e rispondere alla sua chiamata, ovunque mi chiami. Questa è la grazia di Dio. Sempre più la mia vita è completa quando rispondo alla chiamata di Dio».

“Amare e servire i malati”: questo motto, ricevuto dalla beata Maria Domenica Brun Barbantini, la fondatrice del suo istituto, e da san Camillo, è la stella polare di suor Patthayaporn. La sua esperienza le ha insegnato che «le persone sono malate sotto molti aspetti diversi, non solo fisicamente… Essere ministra dei malati, curare le loro ferite significa che devo essere attenta alla chiamata di Dio che viene in molti modi. Attualmente siamo in Thailandia, alla frontiera con il Myanmar, da dove sentiamo cadere le bombe; e ogni volta che le sento, prego. Poi ci attiviamo per andare ad aiutare i civili colpiti e sostenerli nelle loro sofferenze, e così si accorgono che un po’ dell’amore di Dio arriva anche a loro…». È la consapevolezza che «Dio ci chiama a rispondere alle necessità della gente — ribadisce suor Patthayaporn — che fa crescere la nostra sensibilità ai loro bisogni».

La religiosa ricorda che si trovava in Italia quando è arrivata la notizia dell’ultima escalation della guerra civile in Myanmar. «Il mio cuore piangeva», confida: avendo lavorato in un campo profughi, conosceva l’entità della sofferenza che si sarebbe abbattuta sulla gente. «Quando sono tornata — racconta — mi è stata data l’opportunità di andare da loro, per consolarli. Io sento che Dio ci ama davvero perché ci dà la possibilità di condividere e di trovare nuove vie, innovazioni, miglioramenti» sul modo per aiutare queste persone. La suora sogna pure di «migliorare la qualità della vita dei cristiani collaborando con i non-cristiani»: lei si vede come un ponte in questo impegno, perché vive con la sua comunità tra cristiani, musulmani e buddisti. Oltre a fornire aiuto ai rifugiati che fuggono dalla guerra civile in Myanmar, suor Patthayaporn ci ricorda che esiste anche un altro problema: «Molte delle persone al confine con la Thailandia sono thai, ma pur essendo nati lì non riescono a ottenere il loro documento di identità», perché dovrebbero affrontare un lungo viaggio fino al luogo nel quale presentare la documentazione richiesta. Non essendo in possesso del documento di identità, queste persone non possono nemmeno usufruire dei benefici a cui hanno diritto i cittadini thailandesi. Anche in questo campo le suore camilliane hanno iniziato a offrire il loro aiuto, «coordinandoci anche con le autorità civili: il governo ha un modo per aiutarli. A volte, invece, hanno proprio bisogno di cibo, e questo ci dimostra che il governo ha anche dei limiti. È per questo che cerchiamo nuove vie per organizzare le cose in maniera efficace, per il bene di queste persone che stanno soffrendo. Sono felice perché Dio ci dona la sua saggezza. Nulla di quello che faccio, lo faccio da sola. Le persone sono contente del fatto che noi collaboriamo. Mi piacerebbe condividere la mia felicità dopo aver migliorato la qualità del nostro servizio, e per amare il nostro Dio. Tantissimo».

di Bernadette Reis


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