Il dovere di non abituarsi
alla cronaca

Le bare dei naufraghi di Lampedusa arrivate in nave a Porto Empedocle, 03 novembre 2022. Sono ...
11 novembre 2022

Un neonato di soli venti giorni è morto di freddo a largo di Lampedusa. L’hanno trovato su un barchino con la giovane madre di diciannove anni, che voleva portarlo in Italia per fargli curare un grave problema respiratorio. È questa la notizia? No. Questa è soltanto cronaca, una cronaca lugubre e ripetitiva, che ci perseguita da mesi.

Se facciamo una banalissima ricerca su Google, sono tantissimi i bambini che sono morti in mare. La scorsa estate è stata davvero tragica. Come dimenticare la madre abbracciata al figlio in fondo al mare? Bambini affogati, morti di stenti, bruciati, uccisi. È una tetra lunga cronaca, che può diventare qualcosa di più, farsi per noi “notizia” solo a patto che accettiamo di farne conoscenza e quindi esperienza, cioè se accettiamo di entrare in contatto con quella cosa lì, la accogliamo nell’anima. Altrimenti rimane la fredda registrazione di un fatto in una scansione cronologica. Tanto vale allora tenere un elenco dei “morti per acqua” nel nostro caro mare.

Eh già, il Mediterraneo, la culla della nostra civiltà, il “mare nostrum” che adesso però si nutre dei suoi figli. Nella mitologia greca era Chronos a divorare i propri figli. Oggi sempre Chronos (il “tempo”), divora ogni fatto della vita e, complice l’indifferenza, lo conduce all’oblio. Di fronte a queste tragiche storie, come salvarsi dall’ideologia (dobbiamo ammetterlo, l’attenzione dei media varia moltissimo, a seconda della “stagione”), o sfuggire alla facile retorica? Spesso sommergiamo questi fatti di commenti ridondanti, abusando di parole come, diritti, libertà, rispetto, solidarietà, eccetera, fino a svuotarle di significato. E il fatto non diventa notizia dentro di noi, per quanto rivestito di buoni sentimenti, non ce la fa a bucare la corteccia che abbiamo sul cuore e finisce per rimanere sulla soglia della pura cronaca.

Se ripenso a quando i miei figli erano bambini, la cosa che mi strugge è la consapevolezza della loro vulnerabilità, della loro purezza, che però era anche la loro forza, quella che da padre avevo il dovere di proteggere, l’energia del nostro futuro è nella magnifica fragilità dei nostri figli. Quale genitore può sopportare l’idea del figlioletto che muore in mare, in un transito tanto pericoloso e disperato? Abbiamo il dovere di non rassegnarci a un orizzonte così tetro, a non fare abitudine della cronaca. Per quanto imperfetti nei sentimenti, dobbiamo cercare la tragedia che è fuori dal nostro orto e accoglierla in noi, ogni volta come fosse la prima volta. Ogni volta farla diventare notizia.

di Nicola Bultrini