Ai formatori di seminari latinoamericani il Papa ricorda la missione del sacerdote

Con misericordia e tenerezza vicino al popolo di Dio

 Con misericordia e tenerezza vicino al popolo di Dio  QUO-258
11 novembre 2022

Pubblichiamo una nostra traduzione del discorso pronunciato a braccio in lingua spagnola dal Santo Padre, durante l’udienza — svoltasi ieri mattina, 10 novembre — ai 130 partecipanti al corso per rettori e formatori di seminari dell’America latina, che si tiene dal 7 al 18 novembre a Roma per iniziativa del Dicastero per il clero, in particolare della sezione Seminari, in collaborazione con la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre.

Ringrazio il cardinale per la sua presentazione, ringrazio i membri del Dicastero, il segretario, il sottosegretario, e il resto della banda per essere venuti qui. Ora vi leggerò un discorso di 12 pagine, che è un campionato... Vediamo dopo la terza pagina chi si ricorda di quello che ho detto. Ma per evitare questo rischio, lo darò per iscritto al segretario, affinché lo faccia conoscere, esce oggi su «L’Osservatore Romano». È quello che io penso sulla formazione sacerdotale, ma è una cosa pesante, leggetelo con tranquillità. Io piuttosto qui dirò tre o quattro cose che ho nel cuore, che voglio dirvi da vicino, per la vostra vita sacerdotale e soprattutto per la vita dei formatori del seminario.

Perché non è facile, vero? Al mio tempo ci mettevano tutti nella serie, e la formazione era per serie. “Oggi tocca questo, questo, questo...”. E chi sopportava fino alla fine si ordinava, gli altri cadevano lungo il cammino o abbandonavano. A quel tempo uscivano eccellenti sacerdoti così, eccellenti. Oggi non funziona più, perché è un’altra epoca, un’altra carne, un’altra materia prima. Altri giovani, altre preoccupazioni; allora, bene, dobbiamo formare questi giovani.

E una delle tentazioni più serie che oggi vive la Chiesa, voi lo sapete meglio di me, è quando ti presentano schemi rigidi di formazione. Vero? Tutta rigidità... Sono nate congregazioni religiose che sono un disastro, e si è dovuto pian piano chiuderle, congregazioni di una rigidità incredibile... E in fondo, dietro questa rigidità, si nasconde vero marciume. Allora è importante discernere bene, nel corso della formazione, come accompagnare i ragazzi. E la parola discernere credo sia una parola chiave. Se un formatore non ha la capacità di discernere, che dica al suo vescovo: “guarda, mandami a fare un’altra cosa, io per questo non sono tagliato”. Perché discernere presuppone silenzio, presuppone preghiera, presuppone pregare, presuppone accompagnare, presuppone capacità di soffrire, presuppone non avere la risposta fatta. Risposte fatte oggigiorno non servono ai ragazzi, anzi bisogna accompagnarli, con la dottrina chiara, questo sì, ma accompagnarli nelle diverse situazioni.

In questo lavoro che svolgete, le cose necessarie ce le ha il segretario lì, lo vedrete tutto scritto, c’è questo che va fatto. Perché c’è il problema del numero dei seminaristi, non ci può essere un seminario con quattro persone, no. “Non ne abbiamo altri”: allora unitevi. Punto.

E c’è una mania che io ho, che è di parlare della prossimità, perché credo che bisogna andare lì alla fonte di quello che è il nostro Dio. Il nostro Dio, lo stile di Dio è la prossimità. Questo lo dice Lui, non lo dico io. Nel Deuteronomio dice al Popolo di Dio: “Dimmi, quale popolo ha i suoi dei così vicini come tu hai me?”. La vicinanza. E questo deve contagiarci, ossia, il sacerdote, il seminarista, il sacerdote deve essere “vicino”. Vicino a chi? Alle ragazze della parrocchia? Alcuni sì, sono vicini, poi si sposano, va bene. È il movimento familiare cristiano che opera lì... Ma vicino a chi? Vicino come? E ci sono due aggettivi di questa vicinanza di Dio: Dio è vicino con misericordia e con tenerezza. E queste tre cose dovete ottenere nei ragazzi. Che siano sacerdoti, buone persone, misericordiosi ma con tenerezza. Non possiamo avere come sacerdoti dirigenti d’impresa di una parrocchia che dirigono gridando, che massificano tutto, che vivono semplicemente di tre o quattro cose e non sanno dialogare, o che sono incapaci di accarezzare un bambino, baciare un anziano, o che semplicemente non vanno a “perdere tempo” a parlare con i malati, che è perdere tempo, ma che stanno nei piani parrocchiali e tutto il resto. No, così non va bene. Vicinanza, misericordia e tenerezza.

A volte soffro quando incontro gente che piange perché è andata a confessarsi e le hanno detto di tutto. Se tu vieni a confessarti, perché hai fatto una, due, diecimila cavolate... ringrazia il Signore e perdonalo! Ma che l’altro provi ancora vergogna e tu insisti, insisti. “Non posso assolverti, perché sei in peccato mortale, devo chiedere il permesso al vescovo...”. Questo succede, per favore! Il nostro popolo non può stare nelle mani di delinquenti. E un parroco che opera così è un delinquente, nel vero senso della parola. Volente o nolente. Ossia, pastore vicino con misericordia e tenerezza. Vi è chiaro? Perché credo che questo vada sottolineato.

E semplicemente mi ripeto, perché questo lo ripeto sempre, ma credo che sia importante che ve le dica: le quattro vicinanze del sacerdote. Ci sono quattro vicinanze che devono essere, la prima la vicinanza con Dio. Sappiatelo, un sacerdote che non prega finisce nella spazzatura. Forse persevera fino alla vecchiaia ma nella spazzatura, ossia nella mediocrità. Non dico nel peccato mortale, no, nella mediocrità, che è peggio del peccato mortale. Perché il peccato mortale ti fa paura e ti vai subito a confessare. La mediocrità è uno stile di vita, né tanto né poco. E trai vantaggio da tutto ciò che puoi e così perseveri fino alla fine. In questo cade il sacerdote che non prega. Per favore pregate, seriamente, e chiedete a chi vi accompagna spiritualmente che vi insegni a pregare. Confidate nel modo di pregare dell’accompagnante o della accompagnante spirituale che avete. Per favore, in questo, non cedete.

Una delle cose che io chiedevo ai sacerdoti a Buenos Aires, quando visitavo la parrocchia e li vedevo in giro, non a tutti, ma a quelli che vedevo che erano molto accelerati nel lavoro, dicevo: “Come finisci la giornata?” “Esausto!” “E come vai a dormire?” “Prendo due o tre cose e poi me ne vado a letto. Lì vedo un po’ di televisione, mi rilasso un po’”. “Va bene, e non passi per la cappella prima?”. Non si era reso conto che per lo meno devi dare la buonanotte al padrone. Ossia, la necessità pastorale ti porta a smettere di pregare. Ma non perché devi pregare, devi sentire il bisogno di pregare. “Guarda Signore, sto in questo guaio, ho questo problema parrocchiale, quest’altro, con il vescovo di qui, di lì...” Parlare con il Signore e perdere tempo nella preghiera. Quanto più occupato è un sacerdote, più deve perdere tempo nella preghiera. Ossia vicinanza al Signore, nella preghiera. Prima vicinanza.

Seconda vicinanza: vicinanza al vescovo. In questo non negoziate mai. E trasmettete bene la dottrina ai ragazzi. Non c’è Chiesa senza vescovo. “Ma è un disgraziato”. Anche tu sei un disgraziato. Cioè, tra disgraziati vi capirete. Ma è tuo padre. E se non hai il coraggio di dire le cose in faccia, non dirle a un altro, te le tieni per te. O vai come un uomo dal tuo vescovo o gli chiedi al Signore di trovare una soluzione. Ma vicinanza a lui, cercalo. E il vescovo deve stare vicino ai sacerdoti, questo è certo. Ma cercarlo, stare vicino non per arruffianartelo perché ti dia quella parrocchia che ti piace o quell’altra che ti piace di più. No. Per sentire il padre, per discernere con il padre. E nel dire vicinanza dico rispetto. Una delle cose che voi non dovete mai permettervi di fare è fare quello che hanno fatto i due figli di Noè: morire dalle risate di fronte al padre ubriaco. Fate come il terzo: andate e copritelo. È vero che a volte ci sono vescovi che Dio me ne scampi e liberi!... Che puoi farci, figlio... C’è di tutto nella vigna del Signore. Coprilo, è tuo padre. Sii coraggioso, parla con lui, ma non usare la carne ferita e peccatrice di quel vescovo per divertirti con commenti con gli altri o per giustificare le tue cose. È tuo padre. Vicinanza a Dio primo. Vicinanza al vescovo secondo. E cercarlo, non per arruffianartelo, ma per stargli vicino o almeno rispettarlo. Ma con il vescovo non si gioca, perché è Cristo per voi.

Terzo, vicinanza tra i sacerdoti. Guardate, uno dei vizi più brutti che abbiamo noi, razza clericale, è il mormorare: quando passiamo in rassegna, guarda che.... Parliamo male dei compagni. Sono tuoi fratelli! Se non hai i pantaloni per dire le cose in faccia, mandale giù. Ma non andare a dirle a un altro come una vecchia pettegola! E a volte i pettegolezzi dei sacerdoti, dopo le riunioni del collegio presbiterale, per esempio, escono fuori e “hai visto quello, hai visto quell’altro...”. È tuo fratello, sì è un disgraziato... ma pure tu. Ma per favore, siate uomini, virilità in questo, non siate vecchie pettegole, per favore. Lo dico a voi perché lo insegniate ai ragazzi. Se vedete un seminarista che ha la lingua lunga, mandatelo un po’ fuori che provi il lavoro duro, che capisca quanto è duro il lavoro, e poi vedete se riaccoglierlo o non riaccoglierlo. Ma di pettegoli ce ne sono pure troppi nella Chiesa, ce ne sono troppi ovunque. Non formiamo più pettegoli, che questo ci rovina la vita.

E la quarta vicinanza è con il popolo di Dio. Mi dispiace davvero quando vedo sacerdoti tanto “tirati a lucido”, che si sono dimenticati del popolo dal quale sono stati presi. Quello che dice Paolo a Timoteo, no? “Ricordati di tua madre e di tua nonna”. Ossia pensa da dove sei uscito, che ti hanno preso dietro al gregge. Non ti dimenticare del tuo popolo. E insegna ai ragazzi a provare amore per il loro popolo, da dove sono usciti. Non devono tirarsela come fossero extraterrestri perché stanno studiando filosofia, teologia, o quello che è, perché diventeranno sacerdoti, separati. Che non si dimentichino dell’odore del popolo di Dio, che è il motivo per cui sono lì.

Voi come formatori dovete formare i ragazzi in queste quattro vicinanze: vicinanza con Dio nella preghiera, vicinanza con il vescovo, non si negozia il vescovo. Terzo, vicinanza nel collegio presbiterale, formateli perché siano buoni fratelli. E quarto, vicinanza con il popolo di Dio, che non perdano l’odore all’appartenenza dalla quale vengono.

Bene, è questo che volevo dirvi invece di leggere queste, quante erano, dodici pagine? Sono molto belle, certo, perché sono passate per varie mani, e sono state ben pensate. Vi serviranno. Ma questo è quello che ho nel cuore, e formateli così, per favore. Che non escano fuori sacerdoti rachitici, spiritualmente o umanamente, o tipi che restano nel seminario perché non sanno che cosa fare della loro vita fuori.

Bene, pregate per me, pregate tra di voi, aiutatevi, non perdete lo spirito di cameratismo tra voi. Parlate di cose serie insieme, ridete insieme, andate a mangiare una pizza insieme. Tutto ciò che sia fraternità che vi aiuti ad andare avanti. Ora vi do la benedizione e poi vi saluto uno per uno.