La testimonianza di suor Juliana Seelmann

Accogliere Cristo nei rifugiati

 Accogliere Cristo nei rifugiati   QUO-255
08 novembre 2022

Un viaggio ad Assisi e i primi incontri con la comunità francescana pongono un piccolo seme nel cuore di Juliana Seelmann, nata nel 1983 in un villaggio vicino a Würzburg, in Baviera. I contatti con le religiose francescane continuano, Juliana conosce le suore della comunità di Oberzell, frequenta le giornate di orientamento e poi i fine settimana in comunità e il semino inizia a germogliare. Però, la strada fino all’entrata in convento è ancora davvero lunga. Inizialmente, l’infermiera è convinta che la sua strada sia accompagnare i malati gravi e i moribondi; nel 2009, a 26 anni, Juliana decide di unirsi alle ancelle della santa infanzia di Gesù del terz’ordine di san Francesco o, in breve, “francescane di Oberzell”.

Il caso vuole che nel 2009 suor Juliana sia chiamata a collaborare nel centro d’accoglienza di Würzburg. Lei accetta e dopo alcuni mesi afferma: «Non posso più andar via da qui». Il solo fatto che lei ci sia produce tanto bene.

Nel lavoro con i rifugiati suor Juliana riconosce un grande parallelo con il lavoro della fondatrice dell’ordine, Antonia Werr, che nella metà del xix secolo si dedica alle donne che escono di prigione per aiutarle a integrarsi nella società.

Nel centro d’accoglienza per i richiedenti asilo appena fuori Würzburg vivono circa 450 persone tra donne, uomini e bambini; l’età varia dal neonato all’anziano; di loro si prende cura un gruppo di persone, come in uno studio medico. Nella struttura, quando si tratta della vita in comune delle persone, l’origine o la religione non hanno peso; quello che conta è aiutare chi si trova in difficoltà. «Spesso — racconta suor Juliana — quello che ci sembra “estraneo” si rivela poi come “familiare”». Sorridendo, ci racconta un episodio avvenuto con un giovane iracheno musulmano. «Noi suore francescane di Oberzell portiamo al collo una medaglia, su un lato c’è san Francesco e sull’altro la Madonna. Un giovane iracheno mi chiede se quella è Maria. Sorpresa, gli rispondo di sì. Allora lui mi dice che anche lui vorrebbe avere una medaglia così. Ho sorriso un po’, poi gli ho detto che no, non è possibile perché per averla bisogna entrare in comunità “e tu sei un uomo”. Ci siamo fatti una risata, ma da lì è nato un discorso molto profondo nel quale mi ha raccontato quanto sia importante Maria per lui ma anche nell’islam. È stata una chiacchierata commovente e molto particolare».

Il “sistema-Dublino” vigente in Europa stabilisce che le persone rifugiate debbano fare richiesta d’asilo nel Paese di prima accoglienza. Questo significa che tutte quelle persone — e sono la maggioranza — che arrivano in Italia, in Grecia e in Spagna (i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo) non possono continuare il viaggio nei Paesi più a nord dove vorrebbero presentare la loro richiesta di asilo, e questo fa sì che in questi luoghi di prima accoglienza si creino anche situazioni da “lager” disumane. A causa proprio di questo sistema suor Juliana è finita nei titoli dei media. La sua colpa è quella di aver concesso il diritto d’asilo in chiesa a persone che avevano l’obbligo di lasciare il Paese dopo avere raggiunto l’Italia come Paese di prima accoglienza per proseguire poi per la Germania. Suor Juliana racconta: «Alcuni anni fa, la comunità aveva deciso di concedere il diritto di asilo in chiesa per principio: la comunità l’aveva già fatto in diverse altre occasioni. Per avere diritto all’asilo in chiesa — prosegue — si deve presentare una domanda che viene accuratamente esaminata, e il diritto d’asilo viene concesso solo in casi di vera necessità. Nel caso del processo giudiziario di cui si è parlato, si trattava di due donne nigeriane che erano diventate vittime della prostituzione forzata dopo aver subito già nella loro infanzia abusi sessuali. L’espatrio in Italia — spiega ancora suor Juliane, facendo l’esempio di un’altra donna — avrebbe significato sicuramente il ritorno nel giro della prostituzione. Quella donna era gravemente traumatizzata e aveva bisogno di un luogo per riposarsi un attimo, lontana dalla paura di tornare alla prostituzione e alla violenza». Nel 2021 suor Juliana è stata condannata, nel 2022 assolta in appello.

La forza di andare avanti e di prendersi a cuore ogni giorno il destino di persone traumatizzate, con storie incredibili, suor Juliana la prende dalla missione dell’ordine. «La cosa importante nella nostra spiritualità è il fatto che Dio si è fatto uomo, si è fatto piccolo. E siccome Dio si mostra vulnerabile e impotente, noi pure ci lasciamo toccare dalla realtà della vita degli uomini — aggiunge la francescana — e questo è il motore che mi spinge. Questo mi tocca, questo mi coinvolge».

È lo scambio di esperienze in seno alla squadra del centro d’accoglienza per richiedenti asilo che consente a suor Juliana di elaborare quello che ascolta e che vive. Senza tralasciare, ovviamente, la vita nel convento. «Mi sento sostenuta dalle mie consorelle — conclude — che sempre portano le preoccupazioni mie e quelle delle persone con loro nelle preghiere».

di Sabine Meraner


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