Papa Francesco in Bahrein
Gli ultimi appuntamenti con la comunità cattolica sabato in una scuola
e domenica nella chiesa più antica del Golfo

Il sorriso del cuore

 Il sorriso del cuore  QUO-254
07 novembre 2022

«Il sorriso del cuore» che traspare dai volti gioiosi, sia quelli pieni di speranza dei bambini e dei giovani, sia quelli degli adulti segnati dalle fatiche quotidiane: è quel «sorriso del cuore» che Papa Francesco ha esortato a non perdere mai nel rivolgersi ai cattolici del Bahrein e degli altri Paesi — Kuwait, Qatar e Arabia Saudita — che compongono la minuscola ma dinamica Chiesa del vicariato apostolico di Arabia del Nord. Tra sabato pomeriggio e domenica, il Pontefice ha voluto dedicare le tappe conclusive del suo trentanovesimo viaggio internazionale al piccolo gregge che vive nel Paese conosciuto appunto come “Terra dei sorrisi” e in quelli circostanti: nazioni alle porte del grande continente asiatico, che fornisce linfa vitale al cattolicesimo del Golfo. Sono infatti soprattutto indiani, filippini e di altre nazioni dell’Asia i migranti che giungono in questa regione desertica, resa ricca dal petrolio, per lavorare senza rinunciare alla loro identità cristiana.

Il vescovo di Roma ne ha incontrate diverse realtà ieri a Manama e la sera precedente, sabato, a Isa Town, dopo che al mattino aveva celebrato per loro la messa nello stadio nazionale di Riffa. Una presenza onorata nonostante i dolori al ginocchio che hanno reso particolarmente difficoltosi i suoi spostamenti in questi quattro giorni. Ma anche in sedia a rotelle o appoggiandosi al suo bastone Papa Bergoglio non ha mancato di stringere mani, carezzare visi, asciugare lacrime, incoraggiare.

Nella capitale Manama con il clero e i catechisti


Nella capitale, domenica, dapprima ha dato appuntamento al clero, ai consacrati, alle religiose e ai catechisti laici impegnati al servizio dei due milioni di cattolici sparsi come minoranza nei quattro Paesi del vicariato apostolico, in alcuni dei quali si registrano restrizioni in materia di libertà religiosa: una «Chiesa migrante nel deserto» l’ha definita l’ordinario locale, il vescovo cappuccino Hinder, presentandola al Papa nella chiesa del Sacro Cuore, il più antico tempio cattolico della regione.

Il nome Manama evoca un “luogo di sogni” e con i suoi duecentomila abitanti è la maggiore città del Paese. Si trova all’estremità settentrionale dell’isola più grande delle 33 che formano lo Stato. Qui i resti archeologici intorno alla fortezza portoghese patrimonio dell’Unesco, testimoniano insediamenti umani dalla notte dei tempi. L’area era infatti occupata dall’antica civiltà Dilmun.

Nella nazione che, grazie alla sua posizione, è sempre stata al centro del commercio marittimo internazionale, la capitale verso la fine del xix secolo si è trasformata in uno dei porti più importanti del Golfo. E la successiva scoperta del petrolio ha portato un cambiamento dell’economia, facendone anche un importante centro finanziario del Medio Oriente.

La skyline di palazzi e grattacieli mostra visivamente questa commistione tra tradizione e modernità, di cui sono espressione una delle più grandi moschee del mondo, Al-Fateh, che può accogliere circa 7.000 fedeli sotto la sua imponente cupola in fibra di vetro, e il Bahrain World Trade Center, capolavoro di architettura contemporanea.

Punto di riferimento per i cattolici è invece la parrocchia del Sacro Cuore, costruita nel 1939. Fu lo sceicco Haman Bin Isa Al Khalifa a offrire l’appezzamento di terreno nel centro storico su cui è sorto l’edificio che, come quelli del quartiere circostante, ha il caratteristico colore della sabbia del deserto.

Nel corso degli anni, con la crescita della comunità cristiana, esso è stato ampliato e sono stati aggiunti il campanile e un centro polivalente. Il Papa vi è stato accolto da tre bambini che, accompagnati da una religiosa, gli hanno offerto fiori. Sono stati il vescovo Hinder e il parroco Xavier Marian D’Souza a dargli il benvenuto. Da cinque anni alla guida della comunità, il sacerdote — cappuccino come il presule e come la maggior parte dei preti presenti nella regione — ha porto al Papa il crocifisso e l’acqua benedetta per l’aspersione. All’interno, le testimonianze di un’operatrice pastorale e di una suora hanno introdotto la lettura del Vangelo (Giovanni 7, 37-39) in inglese. Dopo il suo discorso, in cui ha lanciato appelli per la pace in Etiopia e in Ucraina, il Pontefice ha guidato la recita dell’Angelus domenicale. Al termine del quale ha firmato il libro d’oro: «Con animo grato porto nel cuore e affido al Signore i volti e le storie dei fratelli e delle sorelle che qui ho incontrato: Dio li colmi della gioia dello Spirito, di frutti di unità e di pace», ha scritto.

Toccante fuoriprogramma con una decina di pellegrini


Quindi un toccante fuoriprogramma in privato: dopo aver visitato l’antica chiesa del Sacro Cuore con il suo Seguito, e prima di ritornare per una breve pausa alla residenza, Francesco ha incontrato in una sala del complesso parrocchiale un gruppo di una decina di pellegrini cattolici di quest’area geografica. Prendendo la parola, li ha ringraziati per la loro testimonianza, in comunione con tutta la Chiesa, e ha consigliato loro di non cessare di affidarsi alla preghiera e non perdere il senso dell’umorismo, «il sorriso del cuore». Quindi con commozione ha impartito loro la benedizione e li ha salutati individualmente.

A Isa Town con studenti e studentesse


Ed è dedicata al Sacro Cuore anche la scuola in cui sabato pomeriggio il vescovo di Roma aveva dato appuntamento ai giovani bahreniti.

Solo una grande arteria viaria separa Riffa, dove era stato al mattino per celebrare la messa nello stadio nazionale del Bahrein, da Isa Town, dove si è recato nell’istituto educativo. E da un lato all’altro della strada sono visibili a occhio nudo sia l’impianto sportivo della prima città, sia la scuola della seconda: un fabbricato in cemento grigio all’esterno, ma pieno di colori e di vitalità all’interno delle sue mura.

Nel cortile addobbato a festa, il Papa è stato accolto dalla direttrice, la giovane Roselyn Thomas, delle suore del Carmelo apostolico, da due docenti e da studentesse e allievi che gli hanno presentato un omaggio floreale. Si è recato quindi nella palestra dove, sulle pareti, grandi fotografie in bianco e nero illustravano la storia dell’istituto secondario cattolico che prepara agli studi universitari.

Nata accanto all’omonima chiesa di Manama negli stessi anni ’40 del secolo scorso, la scuola del Sacro Cuore nel 1953 fu affidata alle suore missionarie Comboniane che si impegnarono a offrire un’educazione multiculturale mirata all’eccellenza accademica e a un comportamento improntato ai valori dell’onestà e della giustizia.

Trasferita dalla capitale nell’attuale sede di Isa Town, città in cui vive una comunità con ascendenze persiane, nel 2003 venne affidata alle suore del Carmelo apostolico, fondate in Kuwait dalla venerabile madre Veronica della Passione (Sophie Leeves, 1823-1906).

All’ingresso del Pontefice un ballo tradizionale ha introdotto le testimonianze di tre giovani, un ex studente musulmano e due cattolici, un maschio e una femmina, in rappresentanza degli ottocento presenti.

I quali tutti insieme hanno affidato le loro attese di pace a sei messaggi che sono stati letti davanti a Francesco e poi simbolicamente deposti tra i rami di un albero. Sul palco si sono alternati il bahrenita Yousif Karim, che in arabo ha espresso le proprie attese per la concordia e l’armonia nel mondo; Febi Dennis dall’India, in inglese, per i giovani del Golfo; la connazionale Rheanna Kantipudi, in francese, per gli educatori, i genitori e gli anziani. Indiana anche Cynthia Cyril, che in hindi ha pregato per gli artisti e il mondo della cultura; mentre Ramisa Ismail, dello Sri Lanka, in singalese, per chi utilizza internet e i social media. Infine per tutti i presenti l’intenzione in tagalog di Jeremiah Kylle, delle Filippine.

Al termine dell’incontro, dopo aver guidato la recita del Padre Nostro e impartito la benedizione, il Pontefice ha firmato il registro dell’istituto. «Dedicare tempo, passione ed energie a educare i giovani — ha scritto sintetizzando quanto auspicato nel suo discorso — è costruire la pace. Che questa scuola — e ogni scuola! — sia un cantiere aperto e fraterno di speranza, dove si lavora per realizzare i sogni più grandi dei piccoli».

dal nostro inviato
Gianluca Biccini