Papa Francesco in Bahrein
L’intervento del Pontefice al “Bahrain Forum for Dialogue”

Porre fine al conflitto
in Ucraina e avviare
seri negoziati di pace

 Porre fine al conflitto in Ucraina e avviare seri negoziati di pace  QUO-252
04 novembre 2022

No alla bestemmia della guerra e all’uso della violenza


Momento centrale della mattina di venerdì 4 novembre, seconda giornata del viaggio di Papa Francesco, è stato la chiusura del “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”. Il Pontefice ha partecipato alla cerimonia, svoltasi nella piazza Al-Fida’, presso il complesso del Palazzo reale Sakhir di Awali, pronunciando il discorso che pubblichiamo di seguito.

Maestà,
Altezze Reali,
caro Fratello, Dottor Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar,
caro Fratello Bartolomeo, Patriarca Ecumenico,
distinte Autorità religiose e civili,
Signore e Signori!

Vi saluto cordialmente, grato per l’accoglienza ricevuta e per la realizzazione di questo Forum di dialogo, organizzato sotto il patrocinio di Sua Maestà il Re del Bahrein. Tale Paese trae il proprio nome dalle sue acque: la parola Bahrein evoca infatti “due mari”. Pensiamo alle acque del mare, che mettono in contatto le terre e in comunicazione le genti, collegando popoli distanti. «Ciò che la terra divide, il mare unisce», recita un antico detto. E il nostro pianeta Terra, guardandolo dall’alto, si presenta come un vasto mare blu, che congiunge rive diverse. Dal cielo sembra ricordarci che siamo un’unica famiglia: non isole, ma un solo grande arcipelago. È così che l’Altissimo ci vuole e questo Paese, un arcipelago di oltre trenta isole, può ben simboleggiarne il desiderio.

Eppure, viviamo tempi in cui l’umanità, connessa come mai prima, risulta molto più divisa che unita. Il nome “Bahrein” può aiutarci ancora a riflettere: i “due mari” di cui parla si riferiscono alle acque dolci delle sue sorgenti sottomarine e a quelle salmastre del Golfo. Similmente, oggi ci troviamo affacciati su due mari dal sapore opposto: da una parte il mare calmo e dolce della convivenza comune, dall’altra quello amaro dell’indifferenza, funestato da scontri e agitato da venti di guerra, con le sue onde distruttrici sempre più tumultuose, che rischiano di travolgere tutti. E, purtroppo, Oriente e Occidente assomigliano sempre più a due mari contrapposti. Noi, invece, siamo qui insieme perché intendiamo navigare nello stesso mare, scegliendo la rotta dell’incontro anziché quella dello scontro, la via del dialogo indicata da questo Forum: «Est e ovest per la coesistenza umana».

Dopo due tremende guerre mondiali, dopo una guerra fredda che per decenni ha tenuto il mondo con il fiato sospeso, tra tanti disastrosi conflitti in ogni parte del globo, tra toni di accusa, minacce e condanne, ci troviamo ancora in bilico sull’orlo di un fragile equilibrio e non vogliamo sprofondare. Un paradosso colpisce: mentre la maggior parte della popolazione mondiale si trova unita dalle stesse difficoltà, afflitta da gravi crisi alimentari, ecologiche e pandemiche, nonché da un’ingiustizia planetaria sempre più scandalosa, pochi potenti si concentrano in una lotta risoluta per interessi di parte, riesumando linguaggi obsoleti, ridisegnando zone d’influenza e blocchi contrapposti. Sembra così di assistere a uno scenario drammaticamente infantile: nel giardino dell’umanità, anziché curare l’insieme, si gioca con il fuoco, con missili e bombe, con armi che provocano pianto e morte, ricoprendo la casa comune di cenere e odio.

Queste sono le amare conseguenze, se si continuano ad accentuare le opposizioni senza riscoprire la comprensione, se si persiste nell’imposizione risoluta dei propri modelli e delle proprie visioni dispotiche, imperialiste, nazionaliste e populiste, se non ci si interessa alla cultura dell’altro, se non si presta ascolto al grido della gente comune e alla voce dei poveri, se non si smette di distinguere in modo manicheo chi è buono e chi cattivo, se non ci si sforza di capirsi e di collaborare per il bene di tutti. Queste scelte stanno davanti a noi. Perché in un mondo globalizzato si va avanti solo remando insieme, mentre, navigando da soli, si va alla deriva.

Nel mare in burrasca dei conflitti teniamo davanti agli occhi il Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, nel quale si auspica un fecondo incontro tra Occidente e Oriente, utile a risanare le rispettive malattie1. Siamo qui, credenti in Dio e nei fratelli, per respingere “il pensiero isolante”, quel modo di vedere la realtà che ignora il mare unico dell’umanità per focalizzarsi solo sulle proprie correnti. Desideriamo che le liti tra Oriente e Occidente si ricompongano per il bene di tutti, senza distrarre l’attenzione da un altro divario in costante e drammatica crescita, quello tra Nord e Sud del mondo. L’emergere dei conflitti non faccia perdere di vista le tragedie latenti dell’umanità, come la catastrofe delle disuguaglianze, per cui la maggior parte delle persone che popolano la Terra sperimenta un’ingiustizia senza precedenti, la vergognosa piaga della fame e la sventura dei cambiamenti climatici, segno della mancanza di cura verso la casa comune.

Su tali temi, dibattuti in questi giorni, i leader religiosi non possono non impegnarsi e dare il buon esempio. Abbiamo un ruolo specifico e questo Forum ci offre un’ulteriore opportunità in tal senso. È nostro compito incoraggiare e aiutare l’umanità, tanto interdipendente quanto disconnessa, a navigare insieme. Vorrei dunque delineare tre sfide, che emergono dal Documento sulla Fratellanza umana e dalla Dichiarazione del Regno del Bahrein, su cui si è riflettuto in questi giorni. Esse riguardano l’orazione, l’educazione e l’azione.

Anzitutto l’orazione, che tocca il cuore dell’uomo. In realtà, i drammi che soffriamo e le pericolose lacerazioni che sperimentiamo, «gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo» (Gaudium et spes, 10). Lì sta la radice. E dunque, il pericolo maggiore non risiede nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nell’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini. Non è un difetto della nostra epoca, esiste da quando l’uomo è uomo e con l’aiuto di Dio è possibile porvi rimedio (cfr. Lett. enc. Fratelli tutti, 166).

Ecco perché la preghiera, l’apertura del cuore all’Altissimo è fondamentale per purificarci dall’egoismo, dalla chiusura, dall’autoreferenzialità, dalle falsità e dall’ingiustizia. Chi prega, riceve nel cuore la pace e non può che farsene testimone e messaggero; e invitare, anzitutto attraverso l’esempio, i propri simili a non diventare ostaggi di un paganesimo che riduce l’essere umano a ciò che vende, compra o con cui si diverte, ma a riscoprire la dignità infinita che ciascuno porta impressa. L’uomo religioso, l’uomo di pace è colui che, camminando con gli altri sulla terra, li invita, con dolcezza e rispetto, a elevare lo sguardo al Cielo. E porta nella sua preghiera, come incenso che sale verso l’Altissimo (cfr. Sal 141, 2), le fatiche e le prove di tutti.

Ma, perché ciò possa avvenire, una premessa è indispensabile: la libertà religiosa. La Dichiarazione del Regno del Bahrein spiega che «Dio ci ha indirizzati verso il dono divino della libertà di scelta» e dunque “ogni forma di costrizione religiosa non può portare una persona a una significativa relazione con Dio”. Ogni costrizione, cioè, è indegna dell’Onnipotente, in quanto Egli non ha consegnato il mondo a degli schiavi, ma a delle creature libere, che rispetta fino in fondo. Impegniamoci allora perché la libertà delle creature rispecchi quella sovrana del Creatore, perché i luoghi di culto siano protetti e rispettati, sempre e ovunque, e la preghiera sia favorita e mai ostacolata. Ma non è sufficiente concedere permissioni e riconoscere la libertà di culto, occorre raggiungere la vera libertà di religione. E non solo ogni società, ma ogni credo è chiamato a verificarsi su questo. È chiamato a chiedersi se costringe dall’esterno o libera dentro le creature di Dio; se aiuta l’uomo a respingere le rigidità, la chiusura e la violenza; se accresce nei credenti la vera libertà, che non è fare quel che pare e piace, ma disporsi al fine di bene per cui siamo stati creati.

Se la sfida dell’orazione riguarda il cuore, la seconda, l’educazione, concerne essenzialmente la mente dell’uomo. La Dichiarazione del Regno del Bahrein afferma che «l’ignoranza è nemica della pace». È vero, dove mancano opportunità di istruzione aumentano gli estremismi e si radicano i fondamentalismi. E, se l’ignoranza è nemica della pace, l’educazione è amica dello sviluppo, purché sia un’istruzione veramente degna dell’uomo, essere dinamico e relazionale: dunque non rigida e monolitica, ma aperta alle sfide e sensibile ai cambiamenti culturali; non autoreferenziale e isolante, ma attenta alla storia e alla cultura altrui; non statica ma indagatrice, per abbracciare aspetti diversi ed essenziali dell’unica umanità a cui apparteniamo. Ciò consente, in particolare, di entrare nel cuore dei problemi senza presumere di avere la soluzione e di risolvere in modo semplice problemi complessi, bensì con la disposizione ad abitare la crisi senza cedere alla logica del conflitto. La logica del conflitto ci porta sempre a una distruzione. La crisi ci aiuta a pensare e a maturare. È infatti indegno della mente umana credere che le ragioni della forza prevalgano sulla forza della ragione, utilizzare metodi del passato per le questioni presenti, applicare gli schemi della tecnica e della convenienza alla storia e alla cultura dell’uomo. Ciò richiede di interrogarsi, di entrare in crisi e di saper dialogare con pazienza, rispetto e in spirito di ascolto; di imparare la storia e la cultura altrui. Così si educa la mente dell’uomo, alimentando la comprensione reciproca. Perché non basta dirsi tolleranti, occorre fare veramente spazio all’altro, dargli diritti e opportunità. È una mentalità che comincia con l’educazione e che le religioni sono chiamate a sostenere.

In concreto, vorrei sottolineare tre urgenze educative. In primo luogo, il riconoscimento della donna in ambito pubblico: “nell’istruzione, nel lavoro, nell’esercizio dei propri diritti sociali e politici” (cfr. Documento sulla fratellanza umana). In questo, come in altri ambiti, l’educazione è la via per emanciparsi da retaggi storici e sociali contrari a quello spirito di solidarietà fraterna che deve caratterizzare chi adora Dio e ama il prossimo.

In secondo luogo, «la tutela dei diritti fondamentali dei bambini» (ibid.), perché essi crescano istruiti, assistiti, accompagnati, non destinati a vivere nei morsi della fame e nei rimorsi della violenza. Educhiamo, ed educhiamoci, a guardare le crisi, i problemi, le guerre, con gli occhi dei bambini: non è ingenuo buonismo, ma lungimirante sapienza, perché solo pensando a loro il progresso si specchierà nell’innocenza anziché nel profitto, e contribuirà a costruire un futuro a misura d’uomo.

L’educazione, che inizia nell’alveo della famiglia, prosegue nel contesto della comunità, del villaggio o della città. Per questo mi preme sottolineare, in terzo luogo, l’educazione alla cittadinanza, al vivere insieme, nel rispetto e nella legalità. E, in particolare, l’importanza stessa del «concetto di cittadinanza», che «si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri». Occorre impegnarsi in questo, affinché si possa «stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli» (ibid.).

Veniamo così all’ultima delle tre sfide, quella che concerne l’azione, potremmo dire le forze dell’uomo. La Dichiarazione del Regno del Bahrein insegna che “quando si predicano odio, violenza e discordia si dissacra il nome di Dio”. Chi è religioso rigetta questo, senza alcuna giustificazione. Con forza dice “no” alla bestemmia della guerra e all’uso della violenza. E traduce con coerenza, nella pratica, tali “no”. Perché non basta dire che una religione è pacifica, occorre condannare e isolare i violenti che ne abusano il nome. E nemmeno è sufficiente prendere le distanze dall’intolleranza e dall’estremismo, bisogna agire in senso contrario. «Per questo è necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre condannare un tale terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni» (Documento sulla Fratellanza umana). Anche il terrorismo ideologico.

L’uomo religioso, l’uomo di pace, si oppone anche alla corsa al riarmo, agli affari della guerra, al mercato della morte. Non asseconda “alleanze contro qualcuno”, ma vie d’incontro con tutti: senza cedere a relativismi o sincretismi di sorta, persegue una sola strada, quella della fraternità, del dialogo, della pace. Questi sono i suoi “sì”. Percorriamo, cari amici, questa via: allarghiamo il cuore al fratello, avanziamo nel percorso di conoscenza reciproca. Stringiamo tra di noi legami più forti, senza doppiezze e senza paura, in nome del Creatore che ci ha posto insieme nel mondo quali custodi dei fratelli e delle sorelle. E, se diversi potenti trattano tra di loro per interessi, denaro e strategie di potere, dimostriamo che un’altra via d’incontro è possibile. Possibile e necessaria, perché la forza, le armi e il denaro non coloreranno mai di pace il futuro. Incontriamoci dunque per il bene dell’uomo e in nome di Colui che ama l’uomo, il cui Nome è Pace. Promuoviamo iniziative concrete perché il cammino delle grandi religioni sia sempre più fattivo e costante, sia coscienza di pace per il mondo! E qui rivolgo a tutti il mio accorato appello, perché si ponga fine alla guerra in Ucraina e si avviino seri negoziati di pace.

Il Creatore ci invita ad agire, specialmente a favore di troppe sue creature che non trovano ancora abbastanza posto nelle agende dei potenti: poveri, nascituri, anziani, ammalati, migranti... Se noi, che crediamo nel Dio della misericordia, non prestiamo ascolto ai miseri e non diamo voce a chi non ha voce, chi lo farà? Stiamo dalla loro parte, adoperiamoci per soccorrere l’uomo ferito e provato! Così facendo, attireremo sul mondo la benedizione dell’Altissimo. Egli illumini i nostri passi e congiunga i nostri cuori, le nostre menti e le nostre forze (cfr. Mc 12, 30), perché all’adorazione di Dio corrisponda l’amore concreto e fraterno al prossimo: per essere insieme profeti di convivenza, artefici di unità, costruttori di pace. Grazie.

 

1 «L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente» (Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, 4 febbraio 2019).