#UnRiparoPerAnnamaria

 #UnRiparoPerAnnamaria  ODS-004
05 novembre 2022

La signora Annamaria ha i capelli del colore del grano nel mese di luglio e gli occhi scuri e tristi dove puoi intravedere solo le ombre di una vita difficile. Ogni settimana, puntualmente, spedisce agli amici un sms con il suo “Buona domenica”. Di solito è prima delle sei del mattino, quando, sistemato in un borsone tutto quello che ha, comincia la sua giornata in strada.

Per parecchio tempo, la signora Annamaria è stata ospite di un centro della Caritas a Roma. Un ricovero in ospedale e, poi, la pandemia l’hanno costretta però a lasciare quella che ormai considerava una casa. Coi soldi della pensione sociale è riuscita per un po’ a pagare la retta in una casa per ferie, ancora a corto di turisti. Operatori e volontari hanno fatto di tutto per convincerla a trovare una sistemazione dignitosa, ma le faceva troppa paura di pensarsi in una casa di riposo. E anche quando una volontaria le ha offerto ospitalità in casa sua ha detto “no”: non per orgoglio — Annamaria non è capace di un tale sentimento —, ma per non sentirsi a disagio pensando di disturbare l’armonia e l’equilibrio di una giovane famiglia.

Così se n’è andata a Bologna. “A trovare un’amica”, ha detto salutando. Chissà? Di sicuro ha trascorso parecchi mesi per strada, portandosi dietro il suo borsone, i suoi acciacchi e anche i postumi di un incidente — è stata investita da un’automobile — che le rendono doloroso camminare e salire le scale.

Qualche settimana fa la signora Annamaria è tornata a Roma: è qui che ha la residenza, il medico assegnatole dal servizio sanitario, le persone e i luoghi che le sono più familiari. Gli amici si sono passati subito la voce per cercare una struttura adatta ad accoglierla. Ma, in attesa del colloquio necessario a stabilire se la struttura fosse adatta ai suoi bisogni, come darle un riparo?

Al di fuori della rete della solidarietà sostenuta dalle istituzioni civili, dalla comunità ecclesiale e dal volontariato sociale, trovare a Roma un tetto d’emergenza per un senza dimora è un’impresa quasi impossibile. Tanto più adesso che il turismo è ripreso “alla grande” e anche nelle pensioni di ultima categoria c’è il “tutto esaurito”. E, se pure provi a spiegare che si tratta di un’opera di carità, la risposta non cambia, anche là dove non te lo aspetteresti.

A Roma si calcola che vi siano tra le sette e le ottomila persone senza dimora. Basta girare dalle parti della stazione Termini o di piazza San Pietro per capire che però non ci sono posti letto per tutti. Serve un supplemento di generosità. Soprattutto ora, per prepararsi ad affrontare l’inverno. E soprattutto per le donne, e sono tante, che in strada subiscono minacce, soprusi e violenze e quando si lamentano si sentono rispondere: “Se ti danno fastidio, cercati un altro posto”, come se le vittime non fossero loro.

A fine settembre le cronache cittadine hanno riportato il caso di una madre nigeriana e dei suoi tre bambini (uno, tre e cinque anni) che solo grazie all’intervento e all’insistenza di due poliziotti sono stati tolti dalla strada, dove già avevano trascorso una notte.

Anche la signora Annamaria adesso ha un tetto. È stata accolta, fino a quando non si troverà una sistemazione più adatta alle sue condizioni fisiche, a Palazzo Migliori, la casa per i senza casa voluta da Papa Francesco e affidata all’Elemosineria apostolica.

Ma per le tante Annamaria che ancora vivono in strada serve di più. E tu/noi, insieme, puoi/possiamo fare di più. Ciascuno secondo le sue possibilità, perché nessuno è così povero da non avere neanche una carezza da donare all’altro.

Sarebbe bello perciò che proprio nel mese in cui si celebra la Giornata dei Poveri — alla quale è dedicato questo numero dell’«Osservatore di Strada» — l’esempio partisse dalla comunità dei cristiani con un gesto di misericordia concreta: riservare gratuitamente ai poveri una camera nelle strutture alberghiere gestite da enti religiosi. In un momento in cui la crisi economica colpisce tutti, a partire da chi ha meno, si potrebbe così portare soccorso a tante persone in difficoltà senza dover mettere in piedi interventi complessi e costosi e senza dover rinunciare ad attività che sono comunque utili e necessarie per sostenere la vita di tante comunità e il loro servizio alla carità. E se a questo gesto si unisse anche la disponibilità di associazioni laicali, comunità, parrocchie, famiglie e singole persone, unendo il proprio piccolo sforzo a quello degli altri, potremmo pensare di riuscire ad evitare l’ennesima “emergenza freddo”.

La Chiesa “ospedale da campo” ha bisogno di “barellieri” e donare #UnRiparoPerAnnamaria può diventare il segno di come fare di questa città, che già pensa al Giubileo, una vera città dell’accoglienza capace di vincere la cultura dello scarto.

di Piero Di Domenicantonio

Piero Di Domenicantonio