Sulla porta di casa Lesia, la storia di una madre e dei suoi figli

Una famiglia per ricominciare a vivere

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05 novembre 2022

Ma per te cosa significa essere una madre, oggi? «L’Osservatore di Strada» lo ha chiesto a Lesia, 34 anni, madre di Dasha e Misha, 12 e 10 anni, fuggita da Kiev, terra di guerra, per arrivare a Roma, terra straniera, dopo un viaggio di 2500 chilometri attraverso Moldavia, Romania, Ungheria e Slovenia. «Non contavo su nulla», racconta al nostro giornale, «solo sul fatto di essere al sicuro dalla morte e di rimanere viva».

Fuga, ricerca e stabilità. Forse è una storia sbagliata, a tratti speciale, indubbiamente unica. E, per raccontarla, Lesia inizia dalle origini.

«Dopo una settimana di notti insonni per le forti esplosioni e le finestre che vibravano, per il bagliore del fuoco alla finestra, ho avuto davvero paura per i miei figli. Le speranze che la guerra in Ucraina finisse in pochi giorni si sono dissolte. E quando ho sentito le esplosioni sempre più vicine, abbiamo deciso di scappare». Arrivando a Roma, perché «qui vive mia madre che, già alla vigilia della guerra e poi per tutti i giorni successivi, ha insistito affinché andassimo da lei. Tutti i miei amici hanno insistito. Nessuno si aspettava una svolta simile».

Ed ecco, la ricerca della stabilità. Ripartendo da zero. O quasi. Perché il calore e la coralità dell’accoglienza hanno reso tutto più immediato. Piacevole. «Arrivata in Italia, ho subito ricevuto un’assicurazione sanitaria, le vaccinazioni e poi i documenti necessari». Ma è stata la vicinanza della parrocchia romana di San Giovanni Crisostomo ad aver cambiato tutto.

Grazie al supporto del parroco don Massimo Tellan e alla Caritas parrocchiale, Lesia, Misha e Dasha hanno trovato persone disposte ad accoglierle a casa. Fin da subito i bambini sono andati nella scuola paritaria Paolo vi , hanno iniziato a frequentare in parrocchia i corsi di calcetto e danza. Poi i corsi di lingua italiana per Lesia e per le altre persone ucraine nel quartiere.

Tutto è iniziato, tutto sta procedendo. Anche dopo mesi dal loro arrivo. Quasi con normalità. Ma sempre con estrema riconoscenza e rispetto, come racconta la coppia che ha ospitato Lesia e i suoi due figli: «Alle maestre di Misha e Dasha abbiamo detto di preoccuparsi se mai un giorno dovessero arrivare a scuola con un solo minuto di ritardo. Non è mai successo. Perché sono bambini educati, precisi. Con un grande rispetto verso l’autorità materna. Non abbiamo esitato a dare loro le chiavi di casa e del garage a pochi giorni dall’arrivo. Tutti hanno apprezzato questa accoglienza, tanti ci hanno chiesto come fosse possibile farlo con perfetti sconosciuti, pochi ci hanno aiutato davvero attraverso il supporto morale ed economico. Ma non vogliamo essere lodati per quello che stiamo facendo. Noi abbiamo accolto perché volevamo e potevamo. Non basta la volontà. Bisogna avere la disponibilità e noi, in quel momento, l’avevamo».

E, comunque, le difficoltà non sono mancate. Se l’esperienza dell’inserimento sociale procede a gonfie vele, non si può dire lo stesso sul piano dell’accoglienza burocratica. Come dimostra, non da ultimo, una multa perché il permesso di soggiorno temporaneo era scaduto da pochi giorni e non ancora rinnovato.

«Tu devi lavorare nello stesso campo in cui hai studiato, non devi accontentarti», è stato detto a Lesia da chi l’ha accolta. E così è stato. Dopo poche settimane, è iniziata la ricerca di un posto di lavoro come infermiera, perché, a Kiev, Lesia lavorava in un laboratorio medico. Ma la trattativa per il rilascio del diploma, necessario per lavorare in ambito sanitario, è in corso da mesi senza alcun successo. La strada è lunga e difficile, nonostante un possibile lavoro fosse già stato trovato. «È capitato spesso di sentirsi soli — prosegue la signora che ha ospitato i tre ucraini —, gli aiuti alle persone che fuggono dall’Ucraina sono tanti, ma è inutile riempirsene la bocca se poi non c’è alcun inserimento dal punto di vista lavorativo per queste persone. Si tratta di donne costrette a fuggire. Chi è rimasto qui vorrebbe riavvicinarsi alla normalità. Ma quasi sempre non riesce. Perché è tutto così complicato?».

Se per certe domande le risposte sono enigmatiche quanto l’eccessiva burocrazia, per tante altre una risposta c’è. Anche quando è difficile riordinare i pensieri e le emozioni. «Diventare madre mi ha fatto apprezzare la vita — risponde Lesia —, crescere con i propri figli, godere delle piccole cose, ridere con e per i loro sorrisi: tutto questo è una grande felicità. No, non cerco di essere una madre perfetta. Cerco di essere me stessa e di ascoltare i miei figli, conoscere le loro esigenze e godermi la mia vita. Essere madre e donna allo stesso tempo è un processo difficile. Significa immergersi a capofitto nella vita dei propri figli senza dimenticare sé stessi. La ricerca dell’equilibrio richiede sforzi. Ma non posso nascondere che ciò per cui provo più paura è il futuro di Misha e Dasha. I loro obiettivi e desideri. Perché avere un obiettivo e un desiderio rende più facile raggiungere i propri risultati. La sfida è tutta qui: trovare, capire i propri obiettivi e desideri. Il percorso viene mettendosi in strada».

di Guglielmo Gallone